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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

Ricordate il tubo di refrigerazione della nuova pista .....
. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di - Mazzarri (Lista Boggi Sindaco)
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per Fiab Pisa
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Cena per la Liberazione 24 aprile
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Assemblea soci Coop.
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Cascina, 27 aprile
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CNA AREA VALDERA
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
ad oggi la situazione è peggiorata
ora anche tir, pulman turistici , trattori, camion con cassoni per massi,
etc. . E ad alta velocita,
inquinamento .....
LIBRI
Le emozioni letterarie di Lily

7/4/2016 - 6:13



“C’è qualcuno che si sentiva in guerra, che lo aveva deciso da solo, che si mise a sparare“.

Questa è la folgorante verità che è contenuta all‘interno del libro di Mario Calabresi “Spingendo la notte più in là“. La pronuncia la figlia di una vittima del terrorismo, per spiegare ai suoi figli la morte del nonno, medico che aveva denunciato gli infermieri che sabotavano l‘ospedale in cui lavorava. Marangon, così si chiamava, fu ucciso il 17 febbraio 1981 dalle brigate rosse. La moglie assisté dalla finestra all‘omicidio e accorrendo non poté che dire al marito già morto, mettendogli le mani sul viso coperto di sangue “Ci dobbiamo salutare“.
In questo libro c‘è tutta l‘umanità, il dolore, la disperazione di chi si è visto squassare la vita da una violenza che molti di noi tacitamente giustificavano in qualche modo. Ma non c’era una guerra civile in quegli anni, c‘erano ingiustizie e sete di cambiamento, sacrosante lotte, voglia di libertà ed eguaglianza. Qualcuno ha pensato che dovesse passare attraverso la violenza ed il sangue versato. In nome di tutti, con l‘arroganza e la presunzione di imporre un‘idea della libertà declinata nella loro versione. Nel libro la vicenda del commissario Calabresi di cui l‘autore è il figlio, è emblematica del clima d‘odio, di vendetta, di intolleranza che c’era in quegli anni. La morte del padre ha devastato la vita di Mario Calabresi e della sua famiglia. Per anni si è sentito prigioniero dei pregiudizi rivolti a suo padre, considerato l‘assassino dell‘anarchico Pinelli. Per anni, nonostante un giusto processo svolto dal giudice D‘Ambrosio avesse stabilito che il commissario Calabresi non poteva aver commesso il fatto, la sinistra ha mantenuto un atteggiamento connivente con questa tesi. Tutto questo poteva portare un uomo come Mario a chiudersi in uno sguardo torvo e avvelenato verso il mondo. Lo ha salvato sua madre, giovane donna all‘epoca dell‘omicidio, che ha insegnato ai suoi figli la tolleranza ed il rispetto delle opinioni altrui. Mai l‘odio.

“La giustizia appartiene allo stato  non sono questioni private“ afferma Gemma Calabresi.

Non tutti coloro che hanno vissuto questo dramma e le cui storie sono riportate insieme alla sua in questo libro, hanno avuto  la stessa fortuna. La figlia del poliziotto Custra, ucciso nel 1977 durante una manifestazione di piazza da quel ragazzo che fu immortalato mentre a piedi divaricati impugna la P 38, non ha avuto più una sua vita. Lei è nata dopo pochi giorni la morte del padre ed ha sopportato il dolore ammutolito della madre e il silenzio dello stato. Qualche volta, molte volte la mancanza di decenza degli ex brigatisti. Avrebbero dovuto scegliere un basso profilo, perlomeno non cercare di entrare nelle istituzioni che avevano sempre combattuto. La sua scelta, la scelta obbligata di questa piccola donna, è stata l‘anoressia e la bulimia. Non sempre la vita ti permette di sciogliere il nodo che hai dentro, e le scelte sono “obbligate“.
Ti chiedo perdono Antonia Custra, da parte mia e di uno stato latitante. (Non sono sicura che Sofri abbia “ordinato“ l‘esecuzione materiale di Calabresi. Sicuramente è responsabile del clima d‘odio fomentato da Lotta continua). D‘altronde non posso neppure dimenticare Franco Serantini, ucciso barbaramente dalla polizia a Pisa. Erano tempi difficili, i nemici andavano uccisi. Non erano persone portatori di una vita unica ed irripetibile.

Adesso serve pacificazione ma anche memoria.

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