Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Rieccoci a leggere le scorribande di Mario Bitossi nel suo “Gli uomini e il mondo” e rieccoci a leggere di Migliarino, del suo cibo e dei suoi personaggi in una maniera dolce, nostalgica, un poco demodé, ma piena di fascino tanto da aver toccato l’animo gentile del lettore dal burbero nomignolo.
[…] Ponte sul Serchio di Migliarino Pisano, sosta di rustica poesia, come è sano e bello vagare su l’acqua cerulea e tranquilla del fiume, aspettando che l’ora del desinare scocchi sul quadrante immaginario dell'appetito, regolato da una cuoca sagace, regina linda e polpacciuta in un mondo di pentole, di padelle, di casseruole, di tegami, di teglie, con un mestolo per scettro e un trono che non si vede ma s’indovina, ampio per contenerla tutta senza indiscreti sconfinamenti. Questa frusciante acqua, questa seta liquida scorrente sulle ghiaiette rotonde, vien giù chiara e fresca dai monti di Lucchesia ove sembra che i poeti fioriscono come i rosolacci nel grano, e ridice tutti gli stornelli, gli strambotti, i rispetti, le ottave villerecce raccolte man mano che passava tra i campi, rasentava le vie, le case, i borghi:
“Quando t’amavo io t’amava il sole,
ti amavano le stelle, i pesci, il mare ».
Qui a Ponte sul Serchio il fiume sente già la salsedine marina, come l’aria è satura degli effluvi balsamici delle pinete di S. Rossore e del Gombo tra le due foci gemelle e le grasse trote di Castelnuovo della Garfagnana han ceduto le pasture alle anguille, ai muggini, ai lucci, ai pesciolini argentei ed anonimi onde fa si ricca mattanza la rete a bilancia sempre pronta a soddisfare l’umana ghiottoneria. D’altronde l’agricoltura celebra in questa plaga felice uno dei suoi trionfi più splendidi; messi opime, frutteti a dovizia, ortaggi saporiti e bestiame grasso di Albavola, di Malaventre, di Migliarino, di Metato, di Nodica. Fra l’appetito e la ricchezza dei mezzi per soddisfarlo, anche il più spirituale dei poeti sente una certa inclinazione verso la scuola di Ragueneau.
Andiamo dunque a vedere quel che ha saputo combinare di buono la nostra cuoca, nell’ospitale cucina all’ombra dei platani dalle chiome lussureggianti: la tovaglia candida è già distesa come una bandiera di pace, Maria (si chiama cosi?) sorride per concedere agli ospiti un aperitivo della sua grazia ingenua non ancora quadrilustre.
Sincere sono le sue labbra, sinceri i suoi occhi, il colorito delle guance, i capelli, e sincero è il vino nel litro dall’ampia gola. La sue pelle è bruna e dorata come la crosta del pane fragrante.
Non so del suo cuore, me lo immagino tenero come quel pollastro che per noi ha sacrificato la nobile e canterina esistenza ed ora intravediamo sul fornello tra il fervore dell’olio caldo, circondato da una corte odorosa di patatine. È inutile dire che giacche, cravatte, cappelli sono volati lontano da un pezzo e che prudenza consiglia il cauto allentamento di uno o più fori della cintola dei pantaloni: il rimboccar le maniche e lo sbottonare il collo della camicia fan parte di una voluttà che cerca di riunire tutti i coefficienti per essere completa in ogni particolare.
E, accolto da esclamazioni di giubilo, ecco arrivare trionfante, pittoresco, allettante, il capace vassoio colmo di spaghetti con le vongole.
La vita e bella: il prossimo, che mi hanno insegnato ad amar come me stesso, cerca di straziarcela con le sue ipocrisie, con le sue convenienze mendaci, con le barbare usanze degli uomini civili, le conferenze, la radio, le motociclette, i filodrammatici, i concerti dei fanciulli prodigio, i premi letterari, i romanzi degli scrittori moderni, le novelle delle scrittrici fra i venti e i settanta anni, il fosgene, l’iprite, la musica del jazz, l’abolizione dei monumenti vespasiani e le fiere di beneficenza, ma davanti ad un vassoio di spaghetti con le vongole ci si sente disposti al perdono e all’oblio, alla pace e alla gioia. Il “sor” Ugo, prima amico e poi trattore, fa capolino per bearsi del nostro godimento. Hanno messe tante lapidi per ricordare che qui Shelley ha scritto il Prometeo liberato, là Francesco Domenico Guerrazzi L’Assedio di Firenze e la Predica del Venerdì Santo: propongo di inaugurare una lapide sulla unica casa di Ponte sul Serchio, unica ma ospitalissima, con l’epigrafe: “Qui vive e vivrà per lunghi anni la sorridente figura di Ugo Marchetti il poeta degli spaghetti con le vongole il mago dell’ anguilla fritta”. Faremo, quel giorno, una bella cerimonia alla presenza del consultore comunale, del capostazione, del vicebrigadiere dei Reali Carabinieri, e ne parleremo a lungo sui giornali perché non è detto che se il “sor” Ugo e modesto come la violetta, il merito debba sempre rimanere sconosciuto.
E la sera, dopo una generosa distribuzione di vino bòno e poncini alla vera cimosa, balleremo sull’aia le vecchie polche e i venerandi valzer dei nostri nonni, che la sapevan lunga e non si facevano portare davanti al Pretore quando ballavano colle loro ballerine strizzandole un po’ più dell’onesto.
La seduta, davanti alla tavola imbandita, è lunga: a tavola non s’invecchia, anzi, più si va avanti e più ci si sente giovani, disposti all’allegria e alla confidenza. Malgrado lo stellone del sole, che s’indovina feroce sulle strade bianche a perdita d’occhio, si gode un fresco delizioso, ché gli alberi ci offrono la loro ombra amichevole. Così le portate si susseguono e i litri colmi spariscono per incanto: dopo il cacio pecorino con le pere, il conteggio dei gotti asciugati si fa più difficile, anche perché gli occhi si socchiudono per l’ imminente pisolino del post-prandium. Dolce è il passaggio tra la veglia e il sonno e i cari sogni della felicità si affollano, scorrono sulle bobine di un cinematografo invisibile e misterioso, fausti presagi di tesori rinvenuti entro una vecchia ciabatta, di numeri che verranno immancabilmente estratti alla ruota di Firenze, di fanciulle appena conosciute che sorridono per chiederci amore, di lepri grosse come capretti, in posa come davanti all’obbiettivo del fotografo, a dieci metri dalle bocca del nostro fucile rimasto silenzioso per tutta la mattina. Le immagini si sovrappongono: allunghi una mano per ghermire la bella figliola e stringi in pugno la zampetta della lepre che fugge, lasciandoti come preda il suo arto miracolosamente staccatosi da lei mentre una voce sconosciuta risuona e ti consola:
“Non disperarti; donna, lepre e zampetto, sette, settantatré, settantasette”.
Stasera, indorati dal sole occiduo cha sta per tuffarsi dietro la pineta, torneremo passo passo verso casa. […]
Qui termina la “giornata di caccia” che l’autore aveva detto a sua moglie di voler fare in campagna e, alla domanda se avesse preso qualcosa risponde ”che vuoi, l’asciuttore, la polvere, ma ho tre numeri garantiti” e alla successiva se avesse almeno mangiato qualcosa “sì, ho fatto uno spuntino…”