Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
MEZZINA
Lett: MEZZINA. [Brocca da bere].
Era una brocca di rame, probabilmente utilizzata come unità di misura dei liquidi.
Mezzina era chiamata anche la pancetta di maiale, la parte del ventre dell’animale che veniva salata, pepata, arrotolata e legata con uno spago. Pregiata e saporita era quella preparata artigianalmente da Palazzino, nella macelleria accanto alla merceria della Giovanna, davanti a Figarino.
MIGLIARINO
Esiste una versione fantastica dell’origine del nostro paese, leggiamola da Umberto:
“Le zanzare avevano sempre pinzato.
Una di loro, del genere anopheles diffondeva, con la puntura, una malattia che provocava febbri altissime, anemia e in molti casi la morte.
Le popolazioni che abitavano nei luoghi umidi, i più adatti alla prolificazione dell’insetto, attribuivano la malattia alla combinazione dell’acqua salata con quella dolce, tale da provocare la putrefazione della vegetazione interna e quindi un’aria cattiva: la mal-aria.
Intorno al lago di Massaciuccoli si creò quindi una zona così insalubre e pericolosa, che le comunità sotto il dominio lucchese inviarono a colonizzare quella terra ergastolani e condannati a morte.
Anche dalla parte del lago che guardava Pisa ci furono epidemie e fughe di popolazione, perché la quasi totalità degli abitanti soffriva di diarrea, vomito e dolori intestinali, sia per la presenza delle zanzare che per l’ingestione di acque inquinate.
I superstiti si radunarono nella chiesa costruita al limite della zona paludosa e pregarono giorni interi per un miracolo che alleviasse la loro sofferenza.
Una mattina i paesani furono svegliati da un fragore assordante di milioni di ali che battevano volando sul padule.
Era uno stormo smisurato di uccellini di color cinerino, con la testa nera e una grande macchia scura sotto la gola che, in un batter d’occhio, mangiarono tutte le zanzare e tutte le larve che erano nel raggio di chilometri.
E così, come erano venuti, se ne andarono e se ne andarono anche i dolori di pancia e le malattie di stomaco.
Quegli uccellini che, in altri momenti e in altri luoghi, si cibavano di miglio, si chiamavano appunto migliarini di palude e Migliarino si chiamò, in loro onore, il nuovo paese costruito lì vicino, su un terreno più asciutto.
La località vicino alla chiesa si chiamò invece Malaventre, in ricordo di quei mal di pancia.”
Ed ecco invece quella storica.
L’antico Migliarino non era una località precisa, né era un nucleo abitativo, un pagus, un vicus, o una statio. Era semplicemente un’immensa distesa di boschi [e paludi] dove si era addentrata la romana “Via Aurelia” nel suo tracciato costiero e dove non viveva nessuno, tranne animali selvatici. Questo fino al suo passaggio da tipica Selva Palatina, selva che serviva per le cacce “di palazzo” dei signori che si avvicendavano al potere italiano o toscano, a Tenuta di una nobile e ricca famiglia fiorentina: i Salviati.
La strada romana, chiamata con i diversi nomi di “Aurelia”, “Emilia”, “di Pietrasanta”, “regia”, “romana”, manteneva, sepolte dalla e nella vegetazione, alcune pietre miliari che fecero conoscere quel luogo, la tenuta Salviati cioè, come al “MIGLIARINO”.
La storia antica di Migliarino è molto legata alla famiglia Salviati. Si può dire che il primo impulso alla nascita di una comunità deriva proprio dalla loro attività sul territorio.
Alla famiglia si deve infatti l’impianto dei pini marittimi lungo la fascia costiera, le bonifiche e le canalizzazioni del padule grande di Vecchiano e di Malaventre, la bonifica di Fugata. La macchia viene divisa in quadrati, la terra in poderi (52 nel 1840), ognuno affidato a mezzadria ad un colono con la sua famiglia. Pietro Bertelli e famiglia, ad esempio, ha il Podere dell’Isoletta, mentre Stefano Puccini quello del Fiumaccio e Antonio Sereni il podere del Troncolo. Esiste una rigida gerarchia che passa dal colono al capoccia e poi al fattore, fino ai funzionari amministrativi e alle guardie. Ogni colono vive in una casa poderale che è completamente autosufficiente, un’unità indipendente che si occupa di coltivare una parte del territorio del padrone e versa a questo il pattuito per la mezzadria. In cambio ottiene un minimo di strutture sociali come una Cappella, una Scuola per i figli (diurna per i bambini e notturna peri ragazzi), uno Spaccio ed in seguito anche un Circolo Aziendale, più tardi anche un Cinema ed un Ricreatorio aziendale.
La situazione rimane immobile, immutata, per molti anni e la vita lenta e monotona fino a quello che possiamo considerare un primo evento significativo : l’apertura del ponte sul Serchio e il conseguente aumento dei traffici di persone e beni sulla via Aurelia. Ciò determina un grande impulso alla nascita di nuove abitazioni lungo la strada, di giorno in giorno più trafficata, e il conseguente spostamento del baricentro della vita della comunità dalla residenza dei Salviati, dove si trovavano tutte le strutture idonee al vivere sociale, alla zona lungo l’Aurelia, dove sempre più vivaci diventano le attività umane. Più vitali ed anche diversificate rispetto alle semplici attività agricole precedenti: compaiono le prime botteghe, mescite di vino e liquori, bar e ristoranti.
Si viene a creare, in quegli anni, quella prima frattura fra gli abitanti delle due zone del paese che si andrà accentuando e troverà il suo culmine sul finire degli anni sessanta.
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Il disboscamento di alcune parti di pineta dette spazio a campi e case sparse di contadini. I duchi Salviati edificarono una chiesa (1819) ed una scuola (1858), uno spaccio, ma la località non era ancora paese bensì un territorio dove le abitazioni, disseminate a grande distanza le une dalle altre, erano in comunicazione fra loro mediante strade impraticabili. Nelle meno cattive si viaggiava appena con carri trainati da buoi, ed è con questo mezzo che le nostre suore andavano a visitare i malati e i bisognosi, le altre erano delle vere fosse, dove si camminava a stento, affondando nel fango durante l’inverno e coprendosi di polvere durante l’estate (dalle memorie di Suor Dulac 1886).
[ Suor Dulac faceva parte di quelle Figlie della Carità che hanno operato a Migliarino fino dal 1859]
Si occupavano delle cure ambulatoriali dei malati, delle visite dei poveri a domicilio, della gestione di una farmacia e dell’assistenza materiale e spirituale di tutti coloro che si trovavano in difficoltà. Suor Celestina Dulac (detta la suora dei Poveri), giunse a Migliarino verso la fine del 1861. Infermiera, si occupò più delle altre della visite dei malati al loro domicilio fino al 1885, anno della sua morte ad appena 58 anni. Nel 1876 arrivò una quinta suora e furono aperte le scuole elementari. All’inizio del secolo le suore erano diventate otto (1908) e si occupavano non solo della scuola (90 alunni) e della farmacia, ma gestivano anche un Asilo (140 bambini), una scuola di cucito e ricamo, un laboratorio di tessitura con 20 operaie.
Fra le associazioni cattoliche meritano un ricordo le Figlie di Maria.
Erano una trentina di iscritte, tutte figlie dei coloni, che dopo aver lavorato una settimana nei campi la domenica si riunivano dalle Suore, ascoltavano la Messa, pranzavano e poi trascorrevano il resto della giornata parlando e scherzando. Il vestire era semplice, sottana lunga e zoccoli, impreziositi però da un bel nastro celeste, simbolo dell’associazione. Testimonianze raccontano di una vita semplice ma felice, ed anche di norme severissime, fatte rispettare dalla superiora, Suor Denis.
Se qualche ragazza fidanzata si fosse permessa di andare a spasso col fidanzato a prendere il caffè sarebbe stata subito richiamata dalla suora francese che in uno incerto italiano avrebbe detto:
“siete andata a bere la poncia con l’amanta, posate la nastra!” e la poveretta avrebbe dovuto deporre il nastro e lasciare l’Associazione.
Nell’agosto del ’43 fu bombardata Pisa e fra gli abitanti di Migliarino si diffuse il panico per la possibilità del bombardamento dei due ponti sul Serchio. I ponti infatti subirono ben 32 bombardamenti fino a che furono completamente demoliti (in parte furono minati), ma con essi fu demolita completamente anche la parte del paese ad essi vicina.
La chiesa fu fatta saltare dai tedeschi (?) e la gente andò a rifugiarsi nei campi o nel bosco.
Quando cominciarono le cannonate americane nel luglio del ’44 moltissimi abitanti, molti anche feriti, furono accolti e ospitati dalle suore. Molti uomini furono nascosti in soffitta ed in altri luoghi segreti per farli sfuggire ai rastrellamenti tedeschi.
Nell’agosto, sempre del 1944, l’Istituto fu colpito da una cannonata che fece una quindicina di feriti e due morti. Per portare soccorso ai feriti gli uomini nascosti uscirono dai loro nascondigli ma furono visti dai tedeschi che così si accorsero dell’inganno. Le suore subirono da quel momento in poi visite frequenti e saccheggi di suppellettili e generi alimentari che si protrassero fino all’8 settembre quando finalmente i tedeschi se ne andarono per lasciar posto agli alleati che portarono cibo, medicinali, indumenti.
Furono proprio le suore incaricate della distribuzione di questi generi di prima necessità e a questa loro si dedicarono, fornendo anche tutto quel conforto spirituale necessario a chi aveva perduto qualcuno o qualcosa di caro durante la guerra. Lo stesso Istituto ospitò poi, anche per anni, intere famiglie rimaste senza casa in attesa di una loro sistemazione.
Negli anni l’attività delle suore si è modificata, il laboratorio di tessitura è stato soppresso per i notevoli cambiamenti tecnici avvenuti in questo settore e l’attività delle suore si è concentrata prevalentemente sull’istruzione (scuola materna e scuole elementari con insegnanti abilitate), e su tutte quelle attività di conforto materiale e spirituale in linea con i tempi, ma sempre ispirata agli stessi principi di carità e di amore per il prossimo.
Era la comunità di Vecchiano che aveva giurisdizione sul popolo di S.Frediano, Sant’Alessandro, Avane, Filettole, Nodica e Malventre.
Quando nel 1844 l’Arno esondò a Vicopisano causando enormi danni, vennero chiesti aiuti a tutti i comuni del pisano. Il popolo di Vecchiano, al completo delle due frazioni, racimolò 13 lire in contanti ed altrettante ricavate dalla vendita di uova, canapa, granturco e fagioli. Il popolo di Nodica diede in totale 22 lire. Il popolo di Avane 6 lire in canapa e 7 in contanti. Il popolo di Filettole 32 lire (7 in contanti e 25 da ricavato di olio, grano, granturco e canapa). Il popolo di Malaventure 13 lire di granturco e la Tenuta di Migliarino 24 lire tutte in contanti pari ad una lira ciascuno dei 24 contadini che lavoravano le terre dell’allora Duca Scipione Borghese Salviati.
E’ proprio sotto questo illuminato duca che la Tenuta ebbe un ampliamento in case coloniche, fattorie, ebbe le scuole, la chiesa, fu costruita la villa e cosa più importante, per la nascita del futuro Migliarino, una nuova strada che da Viareggio conduceva rapidamente a Pisa mediante la costruzione del ponte sul fiume Serchio che fu chiamato “Ponte presso Arbavola”.
Fino ad allora si andava a Pisa con una barca traiettizia che traghettava i viaggiatori e le merci da una sponda all’altra del fiume presso una località del paese di Malaventre che prese, per questo, il nome significativo di “La Barca”.
Il ponte fu inaugurato l’11 dicembre del 1856 ed in pochissimi anni la mole dei traffici si andò intensificando a tal punto che lungo la strada sorsero numerose case ed osterie.
La neonata ferrovia Pisa-Spezia chiese ed ottenne dalla “Società Anonima per la gestione del Ponte” di far transitare i convogli sulla metà della carreggiata della massiccia costruzione in pietra, ma solo dopo pochi anni fu deciso per un nuovo ponte in ferro da utilizzare solo per i treni, dato il notevole aumento del traffico veicolare e di quello ferrato che rendeva insicura l’opera.
Dall’Archivio Comunale sulla richiesta di licenze per vendita di prodotti alimentari e vini, si legge che, ai primi anni del 1900 vi erano a Malaventre:
Caffè dei passeggeri di Franceschi Giovanni fu Andrea in via Emilia 14
Caffè vini liquori trattoria di Baroncini Arturo fu Giuseppe via Emilia 9
Caffè vini liquori trattoria di Ceccherini Enrichetta di Aurelio
Caffè vini liquori trattoria di Corucci Maddalena fu Angiolo via Emilia 18
Caffè vini liquori di Orlandi Argia di Mario via Emilia 145
La costruzione della Stazione ferroviaria, l’aumento dei traffici nord-sud, l’abbandono di Malaventre ormai troppo lontano dalle comunicazioni importanti, l’aumento demografico, la richiesta di mano d’opera e di tecnici per la nascente Radio sull’asse Nodica-Coltano, tutto contribuì alla nascita e alla crescita di Migliarino.
Dalla stazione partivano carri merci carichi di pinoli lavorati nella grande pinolaia dei Duchi, carri di carciofi coltivati nel piano (erano fra i più ricercati in Italia), enormi quantità di barbabietole da zucchero e di spinaci ed il paese cresceva.
Venne costruito un mercato ortofrutticolo, il Teatro del Popolo, la chiesa della Barca (poi bombardata dagli americani) (?), la sede della Pubblica Assistenza, le case popolari, il palazzo della Radio, quello delle Poste (anch’esso distrutto dai bombardamenti), il Camposanto.
Tutto l’abitato era sull’asse della nuova via Aurelia-Emilia-Pietrasantina e faceva assumere l’aspetto tipico di un “paese di strada” al nostro centro finché, agli inizi degli anni ’50, non fu aperta la “nuova Aurelia” dalla discesa del ponte sul Serchio fino al passaggio a livello di Mezzamacchia, saltando la vecchia strada che lambiva la fattoria Salviati. Mettendo in comunicazione Viareggio e Pisa con l’uscita della nuovissima autostrada Firenze-Mare tutta l’Italia seppe che Migliarino era il nome del casello d’uscita.
La costruzione della variante Aurelia ed il terrapieno della ferrovia contribuirono ad una separazione anche fisica del paese, separazione già esistente fra i due nuclei abitativi facenti capo alle rispettive parrocchie. Quelli di là dal Viadotto (Migliarino di là), continuavano ad essere, in maggior parte, dipendenti della tenuta Salviati. Gli altri, quelli di qua dal Viadotto (Migliarino di qua), sempre di più lasciavano il lavoro nei campi per metter su negozi di varia natura lungo la strada che andava richiamando sempre più traffico di mezzi e di viaggiatori, oppure per essere assunti in fabbriche od uffici della città ora vicinissima.
Il treno, la Sita, la Lazzi portavano a Pisa sempre più gente per lavorare e il divario, fino ad allora geografico, diventò alla fine anche politico. Quelli che erano sotto la cappella dei Duchi, dovevano per forza essere conservatori come volevano il padronato e la chiesa, e gli altri, allora, si opposero come liberi pensatori.
Le ideologie cambiarono nome e si arrivò quasi, con le dovute eccezioni, a fare un taglio netto fra democristiani di là e comunisti di qua, senza però avere, le due frazioni e fazioni, personaggi carismatici alla Don Camillo e Peppone.
C’erano il Teatro del Popolo, ritrovo di socialisti vecchia maniera, e il circolo ACLI, dalla parte della Tenuta, per i più chiesaioli. Si facevano partite di pallone fra i differenti gruppi di giovani di qua e di là, come poi si sarebbero fatte fra scapoli e ammogliati, cornuti e segantini.
C’erano i gemelli Astolfo e Giovanni di qua e Antonio e Armenio di là, i fratelli Toti da una parte ed i Barsotti dall’altra e duri e buoni da tutti e due.
C’erano due cinema, uno per parte, la Lazzi faceva diversi biglietti, con costi differenziati, per chi scendeva a Migliarino Ponte o Migliarino Chiesa, due parroci, due chiese, due scuole e se quelli di avevano le suore che tenevano i bambini fino a sera, quelli di qua avevano più vicino il Comune per fare i “fogli”.
Togno del Lazzeri e Spinacino si equivalevano in bugie come il Palla e il Magli in forza.
Di cimitero però ne bastava uno solo e fu fatto di là, ma senza, questa volta, l’invidia di nessuno di qua perché, se un trasporto funebre è già brutto di suo, figuriamoci come lo è uno che deve traversare l’Aurelia a passo lento. [Il Cimitero fu spostato nella sede attuale nel 1935-ndr].
Nel 2000, quando si predica l’unione del mondo intero e l’abolizione delle frontiere, esiste sempre un paese che, per sentirsi unico, deve sperare che vada via la corrente al semaforo dell’unica sua vera strada.” (U.Micheletti)
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Le Figlie di Maria