Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Mi chiamo Obike e avevo tanta voglia di vivere.
Sono un coniglio dal pelo nero e vivevo con tanti fratelli e sorelle in quello che chiamano il Corno d’Africa, terre caratterizzate da una grande povertà e occupanti gli ultimi posti della graduatoria dell’indice di sviluppo umano, indice che tiene conto del reddito, del livello di sanità (inteso come speranza di vita alla nascita) e del livello d’istruzione.
Una buona conoscenza della lingua inglese e tanta voglia di vivere, ma senza futuro, o meglio, con un sicuro destino di stenti, privazioni, umiliazioni. Non potevo restare là. Un giorno, con l’entusiasmo della speranza e la morte nel cuore, decisi di partire alla ricerca di un sogno. Mio padre mi consegnò una sacca con qualche carota, le ultime nella disponibilità della famiglia, poi mi abbracciò con un leggero luccichio negli occhi, un misto di tristezza e di gioia, augurandomi buona fortuna.
Non dimenticherò mai quello sguardo.
Fu difficile raggiungere il mare. Viaggiai per giorni interi saltellando sulle mie quattro zampe o spostandomi con mezzi di fortuna. Ho dormito allo scoperto, mangiato ciò che capitava, non potevo utilizzare le mie carote, ne avrei avuto bisogno più tardi.
Sul mio cammino ho incontrato altri fratelli dal pelo nero che inseguivano le loro speranze. Attraversammo il deserto ricorrendo ai trafficanti, viaggiando di notte stivati sui camion come animali. Il disagio del viaggio era accentuato dai percorsi fatti fuori pista per non essere intercettati da milizie senza scrupoli, sempre pronte alle rapine e alle angherie.
Non tutti riuscimmo ad arrivare alla costa, molti non potranno più dare notizie alle proprie famiglie.
Finalmente raggiunsi il Mediterraneo e guardando là dove cielo e mare si uniscono, mi sembrava di vedere prati verdi e cieli azzurri, conigli gioiosi e felici: il mio sogno.
Ma ero sempre molto lontano, non avevo ancora trovato il modo di imbarcarmi, non era possibile acquistare un regolare biglietto, dovevo, mio malgrado, arrangiarmi. Non potevo fermarmi per cercare un lavoro e racimolare così le carote necessarie, mi avrebbero scoperto e il rischio di rimpatrio, nel migliore dei casi, sarebbe stato elevato. Cercai, supplicai, implorai, ma le mie carote non bastavano mai. Non volevo rinunciare, ma non sapevo cosa fare, ero pervaso da un insopportabile senso di sconforto. La disperazione lentamente si diffondeva dentro e mi faceva rivedere quell’orrenda vita dalla quale cercavo di evadere. La disperazione è l’opposto della speranza, ti guida inesorabilmente verso l’istinto abbandonando la ragione.
Ho rubato! Ho rubato quelle carote necessarie per poter fare l’ultima parte del mio viaggio.
Mi chiamo Obike e avevo tanta voglia di vivere.
Dopo l’iniziale euforia, sfociata in canti e gesti di solidarietà reciproca, come lo stare più stretti da svegli per lasciare più spazio a chi aveva necessità di riposare o stava poco bene, la navigazione fu un inferno.
Conigli e coniglietti ammassati, scarsi viveri, poca acqua, gli sguardi sempre più assenti. Pochi brandelli di tela ci riparavano dal sole, dalle stelle, dalle intemperie. La furia del mare terrorizzava, chi pregava, chi piangeva, qualcuno malediva, altri si spegnevano a poco a poco. Ogni richiesta era tacitata dalle armi spianate.
Solo la determinazione mi fece superare i momenti di sconforto, sempre più ricorrenti e sempre più devastanti. L’indebolimento fisico alimentava quello mentale, l’orizzonte era diventato una monotona linea grigiastra, priva di prati e conigli festanti ed era sempre più lontano, più lontano, … quasi non lo vedevo più.
Una mattina un coniglio seduto a prua bofonchiò qualcosa d’incomprensibile, poi la sua voce aumentò di tono e di chiarezza mentre altre si univano a quell’urlo misto di gioia e di liberazione: terra!
Ci lasciarono alla deriva ma ben presto qualcuno venne in nostro soccorso.
Per la prima volta nella vita ricevevo qualcosa da uno sconosciuto.
Appena sbarcati ottenemmo il necessario per rifocillarci, le forze tornavano piano piano, la vista si schiariva, tutto intorno sembrava bellissimo: il mio sogno si stava avverando.
Nei giorni successivi alcuni partirono, ma non feci mai parte dei loro gruppi. Non capivo il perché, era difficile avere spiegazioni, poi qualche coniglio cominciò a parlare di rimpatrio.
Il mondo crollò intorno a me in un cumulo di macerie, il mio sogno si stava sgretolando proprio quando credevo di averlo realizzato. No, non potevo tornare nell’inferno dal quale provenivo.
Fuggii.
Mi chiamo Obike e avevo tanta voglia di vivere.
Trovai un lavoro, ma dopo le prime carote altre mi furono negate perché un clandestino è più facilmente sfruttabile e ricattabile. Non era giusto, me ne andai, trovai un altro impiego, faticosissimo, ma finì come il precedente.
Di nuovo stenti, avversità, soprusi, le sole cose cha da sempre caratterizzano la mia vita. Le difficoltà sono emigrate con me, il dolore e l’angoscia sono gli stessi, cambia solo il luogo.
“Che vuoi?”. “Torna da dove sei venuto”.
Sono le uniche parole in risposta ai miei sguardi supplichevoli: non mi è riconosciuta nemmeno la possibilità di chiedere con dignità.
Eppure i loro nonni, quando vennero nella mia terra natia, presero senza chiedere.
Alla fine ho capito. Ho capito di essere un coniglio fantasma, non è sufficiente che esista, che abbia bisogni, forse diritti, che sia disposto a lavorare duro, a fare attività che molti rifiutano, ad accettare leggi e consuetudini locali.
No, sono solo un indesiderato coniglio nero privo di tutto, come sempre.
Ora derubato anche di un sogno.
Mi chiamo Obike.