Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
PANCOTTO
Lett: nc.
Tipico piatto povero della cucina toscana.Il nome del piatto è abbastanza esplicito e dimostra, similmente all’acquacotta grossetana, il grado di fantasia e di ingegno delle nostre nonne quando il cibo scarseggiava, ma l’appetito non mancava. Stesso discorso vale per la pappa col pomodoro, le varie zuppe e ribollite, le pietanze “rifatte”, piatti elaborati con quel poco che c’era ed anche con quel poco che avanzava.
Il pane secco, ad esempio non veniva buttato, ma elaborato per farne pietanze oltretutto squisite, specie se nobilitate dal nostro olio d’oliva o dal grasso dei nostri maiali.
L’acquacotta, ad esempio, era in origine proprio quello che prometteva: acqua cotta.I contadini, i braccianti, i carbonai, cioè tutti coloro che per necessità di lavoro non potevano rientrare per il pranzo, e quindi dovevano desinare fuori, alla mattina uscivano da casa muniti di un pentolino, un bel pezzo di pane e qualche verdura dell’orto. All’ora di pranzo accendevano un piccolo fuoco, riempivano il pentolino con l’acqua del fiume, vi mettevano le verdure a bollire, magari anche qualche fungo o germoglio che avevano trovato, e con quello facevano il pranzo.Il piatto in epoche successive, ad opera di astuti ristoratori, si è andato arricchendo con uova, sfritti, nuovi e più accattivanti sapori, ma in origine manteneva proprio quello che prometteva di essere.
Il pane, che insieme ai cereali era la base dell’alimentazione, veniva realizzato artigianalmente nel forno a legna ogni una o due settimane preparando il composto con farina, acqua e una piccola quantità di lievito conservato dalla preparazione precedente che prendeva il nome di sconcia. Fatto l’impasto si lasciava lievitare nella madia per circa quattro ore. Nei periodi più freddi, per accelerare la lievitazione, nella madia si metteva anche un cardano con un po’ di brace (cecia). Una volta lievitato si aggiungeva farina, un po’ d’acqua tiepida, un po’ di sale e si impastava il composto fino a farlo diventare della giusta consistenza. A questo punto si tagliava e si formavano i pani, in numero proporzionato alla necessità della famiglia, che venivano stesi in fila su delle tavole strette e lunghe. Venivano poi ricoperti da un telo e rimanevano così un’altra oretta a crescere. Poi finalmente venivano infornati e cotti, non prima però di averne prelevata una piccola quantità che, avvolta in un telo e riposta nella madia, serviva per l’infornata successiva.
In alcune zone, specie in lucchesia, alla farina venivano aggiunte anche delle patate lessate e schiacciate per prolungarne la durata. Veniva fuori un pane molto compatto, pesante e squisito, che aveva una durata di tempo maggiore ma poi, inevitabilmente, anch’esso tendeva a seccare e diventava immangiabile.
Anche così però non veniva gettato, ma la massaia riusciva a riutilizzarlo facendone zuppa, panzanella, pappa col pomodoro, pancotto.
Anche il pancotto è proprio quello che dice il nome, pane cotto, ed ecco la ricetta di Umberto:si prende il pane secco avanzato e si mette in una pentola con un poco di olio. A questo si aggiunge un pomodoro perino, di quelli appesi in cantina come tante ciliegine rosse e spolverati di zolfo per non farci venire la muffa, si aggiungono due o tre spicchi d’aglio interi, si copre di acqua (o meglio di brodo, se c’è) si aggiusta di sale e si fa bollire per una decina di minuti.E’ molto buono, specie se si ha molta fame!
Per renderlo più gustoso Umberto suggerisce di rompervi dentro una coppia d’ova, rigirando velocemente, un po’ d’olio a crudo ed eventualmente una grattatina di formaggio.
Anche il pane ‘nzuppo era un piatto povero.
Il pane secco veniva reso mangiabile con l’immersione in qualche liquido: nel vino (spesso con aggiunta di zucchero, solo per gli adulti) o nel latte per la colazione del mattino (le merendine non esistevano).Per la merenda dei bimbi si utilizzava sempre il pane: con olio e sale, con olio e zucchero, con olio e conserva di pomodoro, con acqua e zucchero, con burro e zucchero.
Altro piatto povero, fatto con il pane raffermo, era la zuppa lombarda.Non sappiamo l’origine del nome, se in qualche modo c’entri la Lombardia. Qualcuno afferma che era una pietanza tipica di operai lombardi venuti a lavorare dalle nostre parti. Certo è che la pietanza era veramente povera perché il pane raffermo veniva ammorbidito nella scodella solo con un po’ di brodo di cottura dei fagioli, ammollati la sera prima e messi a cuocere. Si poteva migliorare con l’aggiunta di qualche fagiolo ed un filo d’olio, che riesce a nobilitare sempre qualunque piatto, anche il più misero come questa zuppa.
I piatti erano semplici, talvolta saporiti e talvolta meno però tutti con la caratteristica di essere sempre sani e naturali.La pubblicità al giorno d'oggi sta creando, anche nel nostro paese, delle false convinzioni ed utilizza i mezzi di comunicazione di massa per convincere le mamme che l’affetto per i loro figli si misura dalla qualità e quantità delle merendine che esse acquistano per loro. In effetti questi prodotti sono vantaggiosi esclusivamente per i produttori, non certo per i consumatori giacché gli alimenti che li compongono sono saturi di sostanze chimiche che ne assicurano la conservazione, il colore, e persino il profumo.
Tali sostanze sono elementi chimici complessi (conservanti, additivi, coloranti) e vengono da molti ritenuti responsabili del progressivo aumento delle malattie allergiche ed autoimmuni nella popolazione generale, e nei bambini più piccoli in particolare.
Un altro piatto povero molto usato in passato era la polenta [(toscano e napoletano: polenda o pulenda), intrisa di farina di granturco cotta nel paiuolo, ridotta a consistenza nel rimenarla continuamente] che veniva servita fumante sul tavolo di legno da cui poi ognuno ne prendeva a volontà. Talvolta era unita a un po’ di carne, talvolta era l’unica pietanza, specie nelle case delle famiglie più povere.Da polenta deriva anche polentone: [persona grave o di movimenti pigri e lenti].
Riportiamo qui un curioso aneddoto riguardante un vecchianese rispondente al nome di Settefette.
Aneddoto
Settefette si vergognava quando la maestra chiedeva ai ragazzi cosa avevano mangiato la sera precedente. Lui doveva sempre dire: polenta, e se ne vergognava.
“E dille pastasciutta” consigliò la mamma, “tanto ‘un lo sanno mia!”. “Pastasciutta!” rispose il giorno dopo alla solita domanda. “E quanta?” chiese ancora la maestra.
“Sette fette!” rispose Settefette.
PAPERINA
Lett: nc.
Paperina veniva chiamato quel tipo di alga che si forma nei nostri fossi e canali dove l’acqua ristagna. Il nome forse deriva dal fatto che le anatre e le oche si cibano e sguazzano volentieri in questo ammasso vegetale. Il setino, altra alga presente dalle nostre parti, preferisce invece acque limpide e correnti. Quest’ultima, il cui nome deriva forse dalla sottigliezza delle foglie sottili come la seta, rappresentava un certo pericolo per chi faceva il bagno perché poteva attorcigliarsi attorno alle gambe e determinare un rischioso ostacolo ai movimenti.
“Bimbo, ste’ attento ‘e c’è ‘r setino!”: raccomandavano le mamme ai bimbi che prendevano il bagno.
FOTO
Campo del Troncolo: Mezzogiorno-Tramontana del 31 agosto 1961