Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
LE VACCHE
(Non sacre)
Per il cittadino pisano che oggi transiti nel triangolo delle vie che limitano Piazza Guerrazzi, c’è solo un incubo: salvarsi da un sinistro automobilistico. Chi, provenendo da Via Cattaneo, voglia immettersi, puta caso, nel Viale Bonaini, o in Piazza Toniolo, farà bene a creare le premesse della vita e le premesse del Paradiso, facendo il segno, bino, dello scongiuro e il segno trino della Santa Trinità. Ma nel 1910-20 Piazza Guerrazzi era una distesa terrosa, raffrescata da una fitta cerchia di platani secolari, e adibita (solo al Mercoledì) al mercato delle “bestie”.
Nelle rimanenti giornate della settimana non è che tutta la razza bovina scomparisse. Ci stavano sempre le bestie: o nei numerosi stallaggi che circondavano il mercato, oppure, legate ai ferri che circondavano il piazzale, quelle che, per non essere state vendute, attendevano l’acquirente per il Mercoledì successivo. Erano alimentate e dissetate dai rispettivi contadini e proprietari che dormivano dal Gianfaldoni o dallo Spadoni. La Piazza, il Mercoledì, assumeva una vera e propria fisionomia di foro-boario, e non tanto modesto perché, come è noto, la Provincia di Pisa era vastissima, e, perciò, l’affluenza era granita e simultanea. Dove ora, lettore, tu vedi fiori e cipolline, augelletti e tortorelle, zampilli di benzina e rotocalchi con Sophia Loren esponente seni gagliardi, i seni gagliardi esponevano (1910-20) le bianche di razza chianina, le morelle di razza pisana, le svizzere maculate di latte e cioccolata. Dove ora odi Celentano o la Zanicchi elevar melodie dall’altoparlante del chioschetto coca—cola, ai miei tempi, avresti udito lamentio di muggiti (a parte il fatto che io non ci trovo soverchia differenza). Non il fetente effluvio della nafta bruciata dal Diesel, ma il sollecitante profumo del “t’amo pio bove”! Nella confusione delle mille e più bestie, che confluivano al mercato, qualcuna se ne scioglieva, si sa. E allora il buon pisano poteva immaginarsi di essere a Nuova Delhi e che le vacche—sacre brucassero l’erbetta e che il mendicante con la pipa fosse il fachiro col serpente, e infine che il commerciante col fazzolettone attorcinato al collo (che sudore), fosse un bramino col turbante. Anzi (tra una chiacchierata e un grido, tra una promessa e un urlo) avresti potuto immaginar frammisto qualche moccolo toscano a un’invocazione a Budda. Verso le ore 12 cominciava l’esodo. A gruppi di dieci, venti, trenta; in righe e file promiscue, legate l’un l’altra (come le carovane di schiavi dal Gana al Sud America) le “bestie” erano convogliate verso la stazione centrale. Un bestiaio tirava la fune comune a tutte, e due colleghi (oh gli schiavisti!) le randellavano a sangue dal di dietro per non perdere il treno. Tragitto Viale Bonaini (Via Fratti non esisteva ancora) Via Alessandro della Spina, Via Vespucci, Piazza della Grande Velocita, Stop. La transumanza (per usare una parola dannunzianamente abruzzese) durava fino alle due del pomeriggio, e poiché spesso (specie i torelli) si disimpegnavano dai lacci, ecco la corrida al cui confronto quella annuale di Pamplona, diventa un gioco da fanciulli sottosviluppati. ll mercoledì, sull’ora di transumanza, le botteghe chiudevano, i cani fuggivano, e le mamme chiamavano perentoriamente i figli nelle domestiche mura, come quando il feudatario radunava i Vassalli (sparsi per la Valle} in occasione della discesa del Lanzichenecco. La mattina appresso, un triplo servizio di nettezza urbana (dalle quattro del mattino) veniva a liberare le vie dalla flaccida pomposità dei monumenti vaccini. Mi urlerete: Oh tempi di obbrobriosa arretratezza! No, amici miei, patriarcalità, ecco, cioè di un obbrobrio di cui, oggi, i pisani avrebbero tanto bisogno! E forse solo Francesco Domenico Guerrazzi, l’intestatario della Piazza, avrebbe arricciato il naso. Perché (ora la dico grossa) a me pare che codesto mio collega leguleio, si spacciasse, sì, per il bardo di tutte le liberta, ma che, sotto sotto, fosse il più sofisticato aristocratico della Toscana pre-ricasoliana.
(E se sbaglio, amici livornesi, toglietemi il saluto!}.
Da “Mal di palle di ponte” di Giuseppe Chiellini (Astianatte)- Giardini Editori 1984