Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Il Bobo abitava a Migliarino, vicino al Serchio, subito a monte del ponte dell’Aurelia. Lì il Bobo teneva ormeggiate le sue barche, due barchini da fiume a chiglia piatta, stretti, slanciati, con sul fondo un pagliolato che permetteva di non bagnarsi in quella poca eventuale acqua che poteva filtrare dalle connessioni. Da Migliarino fino al mare, il fiume scorre in un magnifico scenario, sembra un fiume tropicale immerso nella vegetazione lussureggiante. A quei tempi non vi s’incontrava mai anima viva, né in acqua, né sulle sponde, si era soli, immersi nella natura. Una diecina di chilometri che si snodano tra curve, meandri fra l’ex tenuta reale di San Rossore e la riserva dei duchi Salviati, due paradisi. Oggi fanno entrambi parte del Parco Regionale di San Rossore. Il Bobo se n’è andato via prima, non ha visto il Parco, non avrebbe capito. Non potevano impedirgli di cacciare lungo il fiume, a lui che ce l’aveva sempre avuta con i signori, con il Re, con chi aveva troppo, con i duchi Salviati. .. Diceva: “Nati di ‘ane”, possibile che abbino tutto aoro. Dar more a’ monti 'uello che si vede tutto loro, anco e poveri gristiani che ci vivino! Ma io no!"
Lui era libero! Per il Bobo il fiume era il mondo, il suo territorio, lì lui pescava, cacciava, non tenendo nemmeno conto dei divieti e delle stagioni, ma, a modo suo, non era un bracconiere. ln barca, sotto il “prughino”, teneva il fucile, estate, inverno, sempre... protetto e nascosto da una coperta. Il fucile era una parte del Bobo, un’appendice, non poteva essere lontano. Se ne stava a ore a osservare il comportamento degli animali, dei daini, dei cinghiali, dei conigli, delle anatre selvatiche... e, solo se necessario, decideva cosa sacrificare. Il Serchio gli dava una fonte di sostentamento. Non gli sarebbe bastata, intatti, la pensione da ex ferroviere. Da sola, non gli avrebbe permesso di tenere quel tenore di vita più che dignitoso che portava avanti, facendo anche studiare la figlia all’università, cosa che allora non se lo potevano permettere in molti. Senza andare troppo lontano da casa la sera piazzava le nasse, i bertovelli, lungo le sponde fra le cannelle, nei passaggi obbligati dei pesci Non aveva bisogno di contrassegnarli, li ritrovava a memoria. Di notte vi erano entrate anguille, tinche, qualche barbo, rovesciava il pescato sul fondo della barca e decideva cosa tenere per se e cosa portare ai ristoranti della zona. Ho conosciuto il Bobo quando ero.un ragazzo, andando dietro a mio padre, avevo quindicianni, babbo e il Bobo si stimavano l’un l`altro. Anche se in modo diverso, li accomunava la passione per la natura e la caccia. Spesso babbo approfittava della sua amicizia per passare una giornata, sparare agli acquatici che numerosi sostavano lungo le sponde. Ma più che altro era il magico incanto del fiume e della sua foce selvaggia che lo attirava. A volte il Bobo gli affidava l’altro barchino, e scendevano il fiume in barche indipendenti. Ma, sia per gelosia delle sue barche, sia perché il remare non era poi così facile, di solito preferiva portare tutti con sé nello stretto di un solo barchino.
Ricordo era maggio, si andava a Bocca di Serchio per pescare a quell’unico retone che era posizionato poco prima dello sfocio al mare. Lì si pescavano ragni, rombi, muggini e anche qualche tinca, l’acqua dolce si mescolava, con le maree, con quella salata. All’improvviso, mentre ancora discendevamo il fiume, il Bobo prese il fucile e sparò sulla sponda dalla parte di San Rossore, aveva visto qualcosa tra la vegetazione, noi non avevamo visto niente, ma lui scese a terra e recuperò la preda. Capimmo solo dopo, quando, seduti a un tavolaccio sul pontile del retone, il Bobo ci volle fare assaggiare una sua zuppa, con polpe di varie carni, accompagnate da fette di pane abbrustolito e agliato. Nella zuppa aveva cotto insieme al pescato, un ragno e a una tinca, una fagiana!... Il tutto insaporito da finocchio marino, mirto, e altre erbe del luogo. Indubbiamente era anche un ottimo cuoco, e ci teneva a farsi complimentare.
Branchi sterminati di colombacci in autunno, dalle pinete di San Rossore e di Migliarino, si alzavano alti nel cielo per dirigersi verso sud, in mare, forse verso la Corsica, la Sardegna. Quel giorno era ottobre, una giornata di passo, ci si era spinti, per osservare questo fenomeno, vicino al mare, il Serchio quell’anno piegava bruscamente verso nord per poi seguire in parallelo l’andamento della cesta. Ogni anno, a seconda delle piene e delle libecciate, la fisionomia del fiume cambia sulla foce, forma laghetti, sfocia diretto, eppure come quell’anno, corre lungo mare, diviso dalle dune di sabbia, prima di confluire le sue acque dolci in quelle salate. Da dove ci eravamo fermati, vedemmo in lontananza, proprio alle foce, deve l’acqua scorre più veloce e turbolenta, un uomo, un pescatore forse. Nelle luce di quella bella giornata ottobrina lo vedevamo fermo, immobile, aveva una specie di grosse fardello fra il braccio sinistro e la schiena e osservava attento il pelo delle acque.
“Deve esse’ l’Arsella, viene lungo spiaggia da Torre Del Lago, pesca e muggini 'or giacchio, è bravo. sulla foce rientrano dar mare... l’acqua lì è bassa, si veden bene, a vorte ne porta via a chili.”
Ci preparammo a mangiare quello che avevamo: pane, qualche fetta di prosciutto e due mele, e per bere un bel fiasco di vino, che però il Bobo aveva già sequestrato e riposto sotto il sedile di poppa come se fosse di sua esclusiva proprietà, non degnando nemmeno di uno sguardo la borraccia dell’acqua. Non lo vedevo contento per quello che avevamo portato, storceva la bocca. Nel frattempo il pescatore si era avvicinato, voleva scambiare due chiacchere, o forse sperava di alleggerirsi un po’ del peso dei pesci prima di rifare la camminata lungo spiaggia verso Torre Del Lago. Era proprio così, il Bobo convinse mio padre a comprargli due muggini, ne aveva più di una diecina, tutti più o meno della stessa taglia, pesci di circa un chilo, un chilo e mezzo l’uno. Il Bobo si dette subito da fare, mi disse di raccogliere legna portata dal fiume, accese con questa un fuoco, pulì i pesci, li lavò direttamente in mare e li infilò in due forcelle che piantò nella sabbia, vicino alla brace incandescente. Bastarono pochi minuti;
“Ci semo... 'un c’é bisogno d’artro".
Effettivamente quelle polpe dei muggini erano gradevolissime, in nessun ristorante credo si possa mangiare una cosa del genere, anche mio padre, se pur scettico all’inizio, convenne che erano ottimi. Lui era della teoria che se si va a contemplare le bellezze della natura, nonsi debbano fare mangiate. Fare mangiate in un posto come quello dove eravamo, era come fare rumore, inquinare l’ambiente. Nonostante ciò, rimase entusiasta dei muggini, ricordò quell`esperienza tutte le volte che aveva un pesce nel piatto. A suo dire, non trovò mai più un pesce gustoso come i muggini del Bobo.
Il ritorno fu un po’ meno facile del previsto quel giorno. Il Bobo se ne stava a poppa con il fiasco del vino cui ogni tanto dava una controllata sul residuo, pagaiava normalmente,ma contro corrente la spinta sembrava meno efficace.
"Bisogna cerca’ le zone di rimolla, la barca è pesa, semo 'n tre, affonda un po’ troppo.. nunne scivola soppra 'ome quando remo dame solo!”
Poi, come un mago fa sbucar fuori il coniglio dal cappello, tirò fuori un secondo remetto da sotto il “prughino”, me lo dette e m’insegnò come potevo contribuire, da metà barca, per dargli un aiuto pagaiando. Era buio quando arrivammo sotto il ponte della ferrovia, dove la corrente e molto più forte a causa del basso fondale, forma quasi delle rapide. Il Bobo disse di non preoccuparsi, lui conosceva bene il posto dove l`acqua scorreva un po’ più tranquilla. Il fiasco del vino era vuoto, aveva in corpo tutto il carburante possibile. Il barchino fu respinto per due volte, mio padre aveva già detto che sarebbe sceso a terra per alleggerire la barca, ma credo che lo preoccupasse più che altro l’eventualità di un bagno imprevisto, al terzo tentativo non ce ne fu bisogno, il Bobo imboccò la strada giusta e con orgoglio quasi fanciullesco mandò a fare in culo il fiume facendo anche il gesto simbolico col braccio. Anche questa volta aveva vinto.
“Cosa 'rede er Serchio...” disse, “ Io... sono er Bobo!":
Questo uno struggente ricordo che un amico, Carlo Caterini, ha scritto anni fa per la rivista “Er Tramme”, edita da Bandecchi & Vivaldi Pontedera, un trimestrale di vernacolo pisano e tradizioni popolari.
L'articolo aveva titolo:
Il Bobo e il Serchio, ricordi di un'epoca... diversa, era il 1949.