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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Morte sul Serchio

12/11/2016 - 18:32

L'acqua era limpida, bellissima, piena di pesci, il fiume verde dai riflessi degli alberi e dei canneti che riempivano le rive, ma era pure un elemento infido, ostile agli uomini che cercavano di violarne lo stato naturale.
A quei tempi, lungo il corso del Serchio, dopo che erano state chiuse per eccessivo sfruttamento le due cave di ghiaia fisse, una dal Baldacci sulla riva di Metato e una al Paloma sulla riva di Vecchiano, vi erano delle scavatrici mobili piazzate su enormi chiattoni che percorrevano in ogni senso il fiume alla ricerca di giacimenti sabbiosi da scavare, succhiare, pulire, filtrare e caricare su barconi che facevano la spola tra la chiatta e la vecchia draga a riva, distante a volte anche parecchi chilometri.
Questi barconi caricavano ai limiti delle sponde, a pochi centimetri dal pelo dell'acqua, per sfruttare anche un solo viaggio in più al giorno ed erano trainati, uno o anche due in fila, da un rimorchiatore guidato da un ciccione, sempre a torso nudo sia d'estate che d'inverno, che fumava un mezzo sigaro che doveva essere magico perché non si consumava mai.
Se si dice ai capitani o ai vecchi uomini salmastrosi abituati a solcare gli oceani: "lupo di mare", allora quel tipo si sarebbe dovuto chiamare: "orso di fiume" perché infatti qualcosa di animalesco aveva.
Un giorno la draga stava lavorando oltre il camposanto e aveva già caricato la chiatta pericolosamente come al solito. Il rimorchiatore sbuffava fumaccio nero e altrettanto faceva il timoniere.
Erano le tre del pomeriggio quando, agganciata la barca ormai strapiena, il convoglio arrivò a risalire la corrente dei ponti. La massa d'acqua spostata dalle due prue totalmente immerse era enorme, tanto da far sballare il motore del traino che in quel punto doveva essere messo sotto massimo sforzo per poter superare quel leggero dislivello, anche se con una velocità estremamente lenta.
Io ero dal Cinacchino e avevo appena legata la barca al porto del Bobo dopo essere stato in giro per poter vedere dove andare la sera a prendere i ranocchi con il lume e da sotto il ristorante sul ponte era appena partito un motoscafo con un uomo ed un ragazzo che volevano provare il motore nuovo. Stavo guardando verso il mare, immaginando la scena vista attraverso le pigne come su di una cartolina o una fotografia. Si vedeva il luccichio del sole sulle onde fatte dalla prua del rimorchiatore che puntava diritto verso il centro del fiume, dove l'acqua era più profonda e la corrente un po' minore. Si vedeva il verde intenso delle rive che andavano indietro fino a congiungersi come in una scura punta di lancia, riflesse simmetricamente sulla superficie argentata del fiume, quando, d'improvviso, vidi la prima barca fare un balzo avanti.
Si era rotto il cavo del traino.       
Due dei tre uomini che erano imbarcati tenevano lunghe pertiche per spostarsi e mantenersi lontani dalle pietre dei ponti e a volte, correndo sul parapetto largo una ventina di centimetri, aiutavano anche spingendo indietro, mentre il terzo uomo era al timone per tenere tutto in perfetto allineamento.
La potenza del rimorchiatore faceva sì che la chiatta, anche alla minima velocità, stesse con la prua leggermente alzata. Essendo cessato il tiro il barcone si abbassò improvvisamente di testa, quasi rizzandosi di poppa, e prese così la prima imbarcata d'acqua.
L'equipaggio corse indietro cercando di mantenersi sempre parallelo alla riva appoggiandosi alle stanghe mentre il traino, ormai libero e non potendo manovrare in quello specchio d'acqua limitato dai quattro piloni dei due ponti, cercava di andare a tutta forza verso la base, distante non più di cinquecento metri, per prendere un nuovo cavo.
Il barcone lasciato a se stesso, esaurita l'inerzia, cominciava a indietreggiare lentissimamente verso mare ma, avendo ora il timone davanti, era molto difficile  farlo stare diritto e gli uomini, presi dal nervosismo o addirittura dal panico, non facevano altro che peggiorare la situazione correndo a destra e a sinistra, avanti e indietro, barcollando sempre di più il carico finché, dopo circa cinque minuti di beccheggio, il mezzo affondò completamente appena fuori il ponte della ferrovia.
Io guardavo ogni cosa stupendomi dell'accaduto e meravigliandomi che tre barcaioli esperti avessero fatto succedere tutto quel po'po' di casino.
La barca era affondata di prua perciò il grosso timone era rimasto molto più fuori delle altre parti. Sopra vi erano avvinghiati i tre uomini che (maledetta miseria c'erano solo tre metri per arrivare alla pigna di destra e un paio per quella sinistra!) aspettarono che la barca scomparisse sott'acqua per lasciarsi andare.
Io continuavo a guardare dicendomi che un bagno fuori programma non avrebbe fatto male a nessuno, quando mi accorsi che il dimenare delle braccia non era molto naturale per una nuotata e allora mi scattò l'allarme, seppure con ritardo.
Corsi a sciogliere la barca e verificai in quel momento quanto fosse vera la storiella che solo l'ultima chiave del mazzo apre la porta. Mi tremavano le mani, non riuscivo ad infilare la chiave nella serratura, non vedevo addirittura neanche il lucchetto e, riuscito finalmente a sciogliere la barca, non trovavo più il remetto che avevo nascosto nel canneto. Passarono pochi minuti ma furono terribili.
Da quella distanza non sentivo le urla dei poveretti, ma senz'altro ve ne furono e dovevano essere state disperate grida di aiuto e di preghiera e neanche quel motoscafo vide e sentì nulla, neanche i miei frenetici gesti, perché più forte era il rumore del loro motore nuovo.
Spinta la barca finalmente libera, arrivai in pochi istanti sotto il ponte, ma ormai non c'era più niente da fare almeno per due di loro; non c'era nessun segno di vita ed erano passati solo pochi minuti sebbene fossero sembrati un'eternità.
Il superstite, Uliano Di Basco, migliarinese, non sapeva assolutamente nuotare, sarebbe affogato anche nella vasca da bagno, ma la disperazione quella volta gli  fece sbattere freneticamente braccia e gambe, non solo fino a riva ma sulla riva, e continuava a nuotare nell'erba anche quando andammo a vedere come stava. Sapemmo poi che i due affogati erano esperti nuotatori.
Ostinatamente, non volendo in nessun modo accettare quell'assurda fine dei due poveri barcaioli, mi tuffai nel punto dove credevo fossero sempre i corpi e, annaspando nella corrente con addosso la catena della barca perché non mi ritrovassi poi senza appoggio uscendo dall'acqua e anche per andare più rapidamente a fondo, cercai disperatamente in giri sempre più larghi. Avevo individuato e localizzato facilmente il barcone, ma dovetti arrendermi non prima di essere salito sulla riva, strappato un ramo di pioppo ed averlo assicurato ad una sporgenza della chiatta sommersa perché fosse visibile e riconoscibile il luogo del disastro.
La notizia della morte nel fiume era già arrivata in paese, portata non so da chi e come, e si facevano già le prime congetture.
Uscito dall'acqua e risalito in barca, mi accorsi che parecchie persone erano sulla riva, dalla parte della stazione, e fra loro anche alcune mie amiche preoccupatissime per me che ero l'unica persona che sapevano stesse sempre sul Serchio e che poteva benissimo essere quell’ "è affogato uno!".
Vedendomi sano e salvo, in quell'acqua mossa e freddina, era la fine di settembre, ora risollevate dal dubbio, mi chiamavano urlandomi di lasciar perdere, di stare attento e di uscire. Qualcuno aveva pensato a chiamare i carabinieri e questi a loro volta i pompieri del servizio subacqueo.
Appena giunsero i primi soccorsi, si cominciò a chiedere il perché dell'accaduto e ad organizzare il recupero dei corpi: fu deciso di utilizzare la mia barca prendendo me come rematore perché, secondo quelli che nel frattempo erano accorsi, io ero l'unico che sapesse guidare bene un natante. C'era ora una folla di persone assiepate sul bordo della vecchia strada che terminava di fianco alla ferrovia e, dai treni che passavano, era un continuo chiedere ed un affollarsi di gente ai finestrini dei pochi convogli che si fermavano alla stazione.
Sulla barca con me salirono due sub completamente equipaggiati ed un terzo addetto alla sorveglianza. Mi fu detto di seguire le bolle d'aria che uscivano dall'erogatore delle bombole, di non perderle mai d'occhio e stare loro più vicino possibile. I due si immersero e io mi misi di vedetta, remando per seguire lo scarico quando, d'improvviso, non riuscii più a vedere le bollicine che segnalavano uno dei due sub. Abbandonai il remo e mi sporsi dalla barca per riuscire a capire dove fosse il pompiere, ma senza vedere nulla. Stavo cominciando a preoccuparmi, quando la barca fu scossa da un tremendo urto e, dopo qualche secondo, dall'acqua uscì il sub scomparso che, sorreggendosi al bordo con una mano e massaggiandosi la testa con l'altra, smoccolava a tutta forza tanto che mi impaurii credendo mi volesse picchiare. Riemerse anche il secondo che non aveva trovato niente e risalirono entrambi in barca per decidere il da farsi.
"Qui non c'è niente"
"La corrente che pare forte in superficie, sul fondo è tutta gorghi e mulinelli che hanno fatto decine di buche e forse i corpi sono in una di queste" 
"Come si fa a cercare in tutto quel labirinto di erbe e detriti?"
"Ragazzi fate così. Fatevi trascinare dalla corrente senza neanche guardare dove andare, proprio come foste anche voi morti e stiamo a vedere"
Dietro il suggerimento dell'istruttore il primo pompiere si buttò e, neanche dopo cinque minuti, riapparve con uno dei due annegati che fu sdraiato in barca, a faccia in su, livido, gonfio, con le narici, la bocca e gli orecchi pieni di alghe. Sebbene mi facesse un po' paura, quasi un senso di ribrezzo, non potevo fare a meno di tenere gli occhi fissi su quel corpo e quella faccia in particolare. Anche il secondo sub fece altrettanto, ma non fu fortunato come il primo perché trovò il cadavere solo dopo una mezz'ora e molto lontano.
Finalmente andammo a riva con i due corpi che erano lì, e sembrava fissassero il cielo sul fondo di una barca più piccola della loro, ma più grande della cassa dove sarebbero stati messi tra poco; solo a riva furono coperti con bianchi lenzuoli, guardati, fotografati e portati finalmente via da un’ambulanza mentre uno stuolo di sopraggiunte autorità parlava, commentava, supponeva con il solito senno di poi.
Io, anche se giovane, non fui minimamente scosso dalla vista dei due morti anche se erano i primi che vedevo in vita mia. Non mi sognai mai né cadaveri, né affogati, niente.
Solo quando la ragazza, alla quale lasciavo sempre il posto sulla Lazzi quando andavo a scuola a Pisa e che saliva al Pontelungo, mi disse di essere la figlia di uno di quei due, allora, solo allora, mi rivenne alla mente quella faccia gonfia che vidi in barca quel giorno.
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Minimo 3 - Massimo 50 caratteri
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14/11/2016 - 20:27

AUTORE:
F.C.

...che i due sfortunati calzassero stivali..micidiali quando entra accqua che rende impossibile toglierli e sopratutto appesantiscono fortemente il movimento delle gambe.

13/11/2016 - 22:33

AUTORE:
u.m

Venerdì 1° Ottobre 1943, dalle ore 11 alle 13.30, fu bombardato dalle forze alleate Metato e Migliarino Pisano. Non sono sicuro però se il ponte sul Serchio, come quelli di Pisa, sia stato distrutto dagli “americani”, o fatto saltare dai tedeschi in ritirata come di solito succedeva in ogni posto dove vi era interesse di fermare i traffici.
Di sicuro, testimonianza di mio padre, gli americani nel 1945, non essendoci modo di traversare il Serchio, costruirono un ponte di legno che era proprio alla fine della salita che si vede ancora vicino alla ferrovia e proseguiva di là sulla vecchia Via Pietrasantina.
Anche questo ponte, terminato il passaggio delle truppe “liberatrici”, fu fatto saltare, non capisco il perché, facendo però gioire tanti falegnami, addirittura di Cascina, che raccolsero le tonnellate di legname di pregio usato per la sua costruzione. Sempre mio padre mi raccontava che andava, con mio nonno, in Serchio a raccogliere tronchi e tavole e un migliarinese (non mi ricordo il nome), aveva ancora un armadio fatto con quel materiale.
Caro amico, questo per la strada, ma neanche io mi ricordo l’anno della disgrazia che dovrebbe essere alla fine degli anni ’50 dato che non potevo avere più di 16-17 anni.
I due cadaveri non li hai potuti vedere per il fatto che l’ambulanza, i carabinieri e i pompieri con i loro mezzi, erano sulla riva opposta, dove erano potuti arrivare dalla pedata che dall'argine scende al Serchio.

13/11/2016 - 9:26

AUTORE:
P.G_

......l'episodio, ma non ricordo l'anno in cui successe.
Io abitavo sopra la stazione ma non ricordo di aver visto i due cadaveri, ricordo solo molta gente assiepata sulla strada oltre i binari che finiva a strapiombo sulla riva.
Possibile che la strada conducesse ad un ponte costruito in epoca post bellica per attraversare il fiume e unire la via Aurelia con la Pietrasantina, di cui però non abbiamo nessuna foto?