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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Le Parole di Ieri
Da Rappo a Reusorio

22/2/2017 - 15:38

RAPPO
Lett: nc.
Ramo d’albero: ancora di uso comune.
 
RECE
Lett: RECERE. [Rigettare, vomitare].
[Dal latino reicere rigettare, gettare indietro costituito da re che vale indietro e jacere gettare: mandar fuori per bocca il cibo e gli umori, che sono nello stomaco].
Dal verbo omonimo, evocante una immediata sensazione sgradevole, ha preso origine l’espressione offensiva: “fe proprio rece!”, fai proprio schifo, ribrezzo.
Usato anche con il significato di puzzare in modo nauseabondo.
 
REDULA
Lett: REDOLA. [Viottola che traversa il podere rasente le piantate].
Redula, con un semplice cambio di vocale, indicava la fossetta che rimaneva fra le solca.
 
REUSORIO
Lett: RECLUSORIO [Ricovero, Ospizio di mendicità].
Sicuramente derivato dall’italiano reclusorio indicava il luogo dove venivano ricoverati i vecchi che non potevano più essere ospitati dalle famiglie. Il luogo aveva una ben triste fama e sapeva di abbandono, di miseria, una specie di deposito in cui si finiva in attesa della morte che sarebbe giunta nella più completa solitudine. In effetti al reusorio finivano principalmente le persone che vivevano sole, non avevano parenti prossimi che potessero ospitarli poiché normalmente gli anziani e i vecchi vivevano tutta la loro vita in seno alla famiglia.

 

Questo perché le famiglie spesso erano formate da molti membri, da più generazioni coabitanti nella stessa casa, con una divisione di compiti (specie in quelle contadine), in ragione della funzionalità di quella che possiamo tranquillamente definire come “l’impresa famiglia”.


In un epoca ancora lontana dalla diffusione capillare delle macchine agricole i campi avevano spesso bisogno di molte braccia, così pure la stalla, gli animali, gli orti ed i compiti erano divisi in modo da far funzionare al meglio il meccanismo. Le donne seguivano gli uomini nei campi quando serviva, ma il loro principale compito era provvedere alla casa e alla cucina.

 

In queste famiglie numerose, in cui il figlio portava in casa la moglie, in cui spesso viveva anche lo zio celibe o la cognata vedova, accudire gli anziani non rappresentava un problema. C’erano molte braccia e molta disponibilità, ma c’era anche e soprattutto un grande rispetto per chi non era più giovane. Ecco perché essere mandati al reusorio aveva un significato negativo al di là del semplice  abbandono fisico e di allontanamento dall’ambiente familiare, era soprattutto un segno di mancanza di quel riguardo, di quella devozione che spingevano normalmente i giovani a dare del “voi” ai propri genitori, un decadere di quel sistema patriarcale su cui si era basata per decenni la famiglia.


Al disagio dell’abbandono si aggiungeva poi la realtà di essere ospitati spesso in luoghi fatiscenti, molto spesso legati alla carità e al buon cuore di istituti religiosi, spesso lontani da leggi e disposizioni sanitarie a garanzia dell’igiene dei luoghi e della persona.


E’ rimasto ancora oggi un modo di dire minaccioso: “Bada, ‘e ti mando al reusorio!” nei confronti della suocera noiosa o del genitore un po’ fuori di testa, ma i luoghi sono molto cambiati ed hanno assunto un aspetto più simile ad una struttura ospedaliera.

 

Anche il nome non è più lo stesso, è diventato RSA (Residenza Sanitaria Assistenziale), ci sono infermieri con tanto di camice bianco e cuffietta quando somministrano il vitto, camere a due letti con bagno, servizi di animazione con serate di tombola, TV sempre accesa, servizi.


Tuttavia, pur nell’ordine e negli sforzi del personale e dei medici per rendere questo soggiorno gradevole e accogliente, è difficile sfuggire alla sensazione di trovarsi in luoghi destinati ad ospitare le vittime di un mondo frettoloso, un po’ troppo veloce per i ginocchi incartapecoriti dei nuovi “ospiti”.

FOTO. Il Tola che porta l'Unità 

 
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