Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
"Ti vo' fa' fa' 'na foto" diceva una vecchia canzone napoletana e Nino Taranto sgambettava vispo e contento al ritmo e all'idea di manovrare una macchina fotografica.
Il nostro Paparo invece usava il "vo' fa'" al condizionale e al futuro perché, almeno per il momento, non era disposto allo scatto. La fotografia era una cosa seria, bisognava pensarci bene, era una cosa che una volta fatta non si sarebbe potuta cancellare, come la potatura delle piante da frutto dove lo sbaglio non si rimedia. Per questo ci pensava bene prima di premere il bottoncino cromato della sua Comet.
"Bimbo stai fermo, tirati su il colletto, aggiustati la camicia, piega la testa in giù, no un poco più su, a destra, un pochino a sinistra, stai fermo ora."
Quando il bimbo era pronto, Paparo non lo era ancora e quando era pronto Paparo, il bimbo si era grattato la testa già tre o quattro volte ed era tutto spettinato.
Le mamme non avevano problemi, loro ci godevano nel vedere i loro figli in posa, puliti, pettinati e finalmente fermi. Guardavano con rispetto quell'uomo mite, col mestiere strano, sempre calmo, con la vocina sottile sottile, i pochi capelli sempre impomatati e che comandava a bacchetta il bimbo che aveva una voglia matta di infilarsi un dito nel naso perché sentiva qualche cosina che avrebbe volentieri arrotolato a pallina ma che non poteva perché glielo impediva quello sguardo fisso su di lui già da mezz'ora.
Paparo lavorava a domicilio, non aveva lo studio dove abitava perché la sua era una delle casette di bambola sulla Via dei pini, dove abitava anche il mio amico Angelo. Quando una mamma voleva il ritratto del figlio per la comunione, oppure aveva la suocera in casa che non stava tanto bene e che se non si immortalava ora non c'era niente da mettere sulla pietra, allora arrivava Paparo prima del prete, ma andava chiamato per tempo.
Arrivava in bicicletta, pedalando piano piano, che ci si domandava come facesse a stare ritto, con una sporta di paglia dove portava macchina e rullini e cercava la sedia più sana nella stanza più buona. Se era bel tempo si facevano le foto in giardino, alla pianta delle rose, accanto al cavallo a dondolo, insieme al cane e all' ultimo regalo del parente ricco.
D'estate il fotografo batteva le spiagge di Torre del lago, arrivava fino a Viareggio e solo la domenica mattina traversava con Pattana per cercare affari a Bocca di Serchio. Girava sulla spiaggia sempre in camicia con le maniche lunghe, pantaloni rimboccati fino alle ginocchia e le mamme si litigavano la sua opera. Veniva la mattina perché tutti volevano la foto del bimbo con alle spalle il cavallone di schiuma e il sole era nella posizione ottimale.
Sotto gli sguardi orgogliosi delle mamme che si beavano alla vista del figlioletto, metà in mare e metà che usciva dalla ciambella che poi sarebbe servita per l'altro bambino che aspettava, Paparo girava, mirava, guardava, sbuffava, rigirava, rimirava, riguardava e alla fine scattava quando il bimbetto si era stufato della posizione e della gente che intanto si era assiepata alle spalle di quel tizio cuccioni, che pareva gli volesse tirare addosso quello strano oggetto luccicante che aveva in mano. La ciambella buona e colorata, tutti sulla spiaggia ne avevano una nera fatta con la camera d'aria di una vecchia ruota di auto o gialla e grossa di camion, veniva data ad un'altra mamma e un altro ragazzino veniva spinto in acqua, ma più malvolentieri del primo, perché anche i bambini piccoli capivano che lì ci si faceva buio. Solo i fidanzati apprezzavano la lentezza di Paparo perché in quel modo potevano stare più abbracciati alle loro ragazze per la foto ricordo.
Uno dei nostri giochi da spiaggia era fare la piramide. Alle base, tutti ben stretti con le braccia alle spalle del vicino di destra e di sinistra, si faceva un anello di una decina di noi belli robusti sulle spalle dei quali si costruiva un altro giro di ragazzi meno grossi e grassi, quattro o cinque, poi sopra tre ancora più magri e in cima il Becchino. Una, due, tre file, portavano il più secco di noi a quasi cinque metri di altezza e i piedi che strusciavano le spalle con la rena di mezzo, le risate di quelli a metà, quelli in basso che brontolavano perché toccava sempre a loro, Paparo che non trovava l'angolazione e la distanza giusta, ora ai più di noi restano solo i ricordi di quelle ammucchiate d'estate, perché di stampato non c'è mai stato tempo di far niente.
Negli anni successivi, quando tutti avevano una macchina fotografica o un amico che la possedesse, non ci fu più bisogno di un Paparo sulle spiagge, ma ancora oggi si ricorda con nostalgia quella figura di uomo che non ha lasciato né eredi né discepoli, ma rivive quando uno si attarda a fare qualcosa :
" 'ndiamo Paparo, sbrigati !"