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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
A cura di Ricardo Maini
Renzi va al contrattacco: "Lasciate stare la nonna".

18/5/2017 - 16:56


Renzi va al contrattacco: "Lasciate stare la nonna". I veleni di Napolitano
Il leader Pd blocca l'assalto alla sua famiglia. L'ex presidente: "Ipocriti sulle intercettazioni"

Roberto Scafuri - Gio, 18/05/2017 – 08:16
Ricapitolando. Lo scrive Matteo Renzi su Facebook il giorno dopo l'uscita sui giornali dell'intercettazione con papà Tiziano sul caso Consip.

Elenca per capi il succo della questione:
«1. Le intercettazioni sono illegittime;
2.Vengono pubblicate violando la legge;
3. Emerge un quadro in cui un figlio dice al padre: Devi dire la verità...». Talmente affascinati dallo stile sintetico e assertivo del leader pd, suggeriamo come completare l'elenco.
4. Il presidente emerito Napolitano trova «paurosamente ipocrita» gridare adesso «contro l'abuso delle intercettazioni e l'abuso della pubblicazione: questione aperta da anni con sollecitazioni frequenti... io ho messo il dito nella piaga, mai la politica ha voluto trovare una soluzione normativa».
5. Bersani ricorda che non siamo tutti fan di telenovele: «C'è qualcuno che in questa storia non la racconta giusta».
6. Il presidente di Filmauro, De Laurentis, svilupperà lo spunto per il prossimo cinepanettone. Titolo: «Sei forte papà (ma non chiamarmi più)».
7. Dalla telefonata emerge un sospetto venuto a tutti, che lo stesso Renzi jr rende esplicito (meglio fare propri i dubbi altrui): «Mi hanno fatto un regalo». Sia figlio che padre sanno bene d'essere intercettati.
8. Ancora Renzi ieri su Facebook: «...qual è il pezzo forte oggi sullo scandalo Consip? Un'intervista a mia nonna Anna Maria, meravigliosa donna... Ma posso fare un appello per lasciare in pace almeno loro? Almeno le nonne, dai...».
9. Magari se le nonne rispondessero che non vogliono parlare al telefono con una giornalista basterebbe. Dai.
10. Se lui stesso non le mettesse in mezzo - vedi foto a corredo dell'intervista sul Corsera, tutt'altro che rubata -, sarebbe più facile. Suvvia.
11. E se proprio dobbiamo sorbirci nonna, notiamo che la signora insiste su un punto: «Lui va d'accordo con il padre. Non hanno mai litigato».
12. E volendo aggiungere al carico glicemico l'agiografia comparsa sulla Stampa, l'amico che rivela di mamma Renzi che rimprovera Matteo («Basta urli, fai star male il babbo!») e Matteo che si sfoga, «Non so più cosa fare... mio padre è un pasticcione, sono anni che gli dico di starsene calmo e tranquillo...».
13.              Ulteriori dubbi assalgono: ma vuoi vedere che l'intera telenovela sta «staccando» mediaticamente il figlio dalle responsabilità del padre?
14.              14.Una certezza: non è che siamo già in campagna elettorale? Intercettazioni e accanimento giudiziario, babbo rimproverato e nonne stupende, liquidano un sogno... Ma non è che l'antipatico Matteo del referendum, ferito a morte dalla scissione, rinasce mirando a un target particolare? E a quale elettorato punta, l'affranto giovanotto? Chi avesse un'idea, cambi canale. Cerchi una fiction meno stucchevole.



Fonte: Roberto Scafuri - Gio, 18/05/2017 – 08:16 -copia-incolla di Riccardo Maini d'Albavola, ex Consigliere di SGT Cittadini &Territorio
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20/5/2017 - 11:45

AUTORE:
Celestino

Ma dire che Renzi è (....).
Nota red 2:
Su questo giornale non è come su fb, qui le offese non passano!

19/5/2017 - 2:18

AUTORE:
Harry bosch

...pagherà chi ha avvisato l ' ad di Consip di bonificare gli uffici, dove erano state messe le " cimici " per le intercettazioni giudiziarie . Pare che faccia il ministro .

18/5/2017 - 23:50

AUTORE:
Matteo Renzi 5 h ·

Matteo Renzi
5 h ·
Sulle intercettazioni: il PD non chiede di cambiare la legge ma chiede che tutti rispettino la legge che già c'è.
Legge che vale per chiunque: inquirenti, giornalisti, politici.
Nella vicenda Consip di queste ore noi siamo dalla parte della legalità: abbiamo rispettato la legge, noi.
Noi non abbiamo fabbricato prove false, noi.
Noi non abbiamo pubblicato arbitrariamente atti di procedimenti penali, noi.
Noi non abbiamo inventato ad arte un coinvolgimento dei servizi segreti, noi.
Noi non vogliamo mettere il bavaglio agli articoli di giornale: ci basta che siano rispettati gli articoli del codice penale.
E adesso che si è consumato questo magnifico show mediatico, diversivo per vendere qualche copia in più di un libro, confermo la mia posizione degli ultimi quattro mesi. Non permetteremo che su questa indagine cali il sipario o il silenzio. Andremo fino in fondo. Vogliamo la verità.
Il dibattito sulle intercettazioni è il dito, noi non perdiamo di vista la luna: chi ha violato la legge deve pagare.

18/5/2017 - 23:18

AUTORE:
Carmine Fotia @CarmineFotia · 17 maggio 2017

Carmine Fotia @CarmineFotia · 17 maggio 2017
Contro la Repubblica Giudiziaria di Davigo
Politica e Giustizia Piercamillo Davigo in una immagine del 20 ottobre 2014.
ANSA/DANIEL DAL ZENNARO
Un incubo vedendo la trasmissione di Floris ieri sera


Ieri sera, dopo aver visto la prima parte di Di Martedì dedicata al caso Consip, una sorta di processo popolare condotto da Piercamillo Davigo e Marco Travaglio nella veste di doppi accusatori e Mario Lavia in quella di unico difensore, come si dice a Roma, m’è calata la cecagna e giuro che avevo mangiato un’insalata al salmone e bevuto solo un bicchiere di vino. Sarà l’età.

Direte: ma perché ci metti al corrente delle tue penniche? La ragione è che in quella nebbiolina che separa il sonno dalla veglia ho avuto una visione, o meglio un incubo.

E ho visto cose che voi umani…ho visto un premier che si chiamava Piercamillo Davigo andare in tv e illustrare la nascita della Repubblica Giudiziaria dove la prima modifica costituzionale proposta sostituiva la presunzione di innocenza contenuta nell’articolo 27 con un articolo nuovo che recitava: “Non esistono innocenti, ma soltanto colpevoli non ancora scoperti”; ho visto Marco Travaglio direttore del Tg1 istituire la rubrica fissa “Indovina chi sputtaniamo oggi?” usata per impiccare al palo della gogna mediatica tutti i nemici del premier; infine, ho visto Beppe Grillo in procinto di entrare al Quirinale. A quel punto sono stato svegliato da Eva, la mia adorata segugia, che voleva uscire, sicché non saprò mai e Grillo era lì in visita o vi si stava insediando.

Tornando a casa, poi, ho riflettuto su quella visione e sono atterrato sulle notizie di questi giorni, relative all’ultima intercettazione sul caso Consip pubblicata dal Fatto Quotidiano, nella quale Matteo Renzi intima in modo alquanto brusco al padre, che sarebbe stato interrogato il giorno dopo, di dire ai giudici “la verità, tutta la verità”.

Anche io penso che chiunque sia in buona fede non possa che trarre dalle parole e dal tono di tutta la telefonata una conclusione univoca: Renzi si è comportato da uomo delle istituzioni, anteponendo il suo ruolo pubblico a quello di figlio, incalzando il padre con toni duri, facendogli domande scomode e brutali, per essere certo che diceva la verità quando smentiva di essere coinvolto nel cosiddetto traffico di influenze.

Poi, però, mi sono reso conto che i veleni di cui avevo visto le conseguenze nell’incubo sono già stati inoculati nel fragile organismo della nostra democrazia e stanno già producendo danni incalcolabili.

Il primo dei quali è un potenziamento all’uso delle intercettazioni come strumento di smascheramento degli avversari o dei potenti da abbattere: se l’intercettazione conferma la tua colpevolezza va bene, se invece ti scagiona allora parte la turbo-modifica per cui se hai detto quelle cose che ti scagionano è perché sapendo di essere intercettato le hai dette per fottere chi ti stava intercettando.

Avete presente il Comma 22? Diceva così, più o meno:”Chi è pazzo può essere esentato dalle operazioni di guerra, ma chi chiede di essere esentato non è pazzo”.

A Matteo Renzi è accaduto esattamente così: siccome Travaglio e Lillo si sono accorti che quanto pubblicato stava erigendo al leader del Pd un “monumento equestre”, come ha osservato Lavia, hanno subito sposato la tesi del machiavellico raggiro (del resto come fa un fiorentino a non essere machiavellico?).

Intanto, emerge ancora una volta un gigantesco conflitto tra le procure coinvolte nell’inchiesta Consip. La procura di Roma, attualmente titolare del filone d’inchiesta che riguarda il traffico d’influenze in cui è coinvolto Tiziano Renzi, ha aperto un’indagine per violazione del segreto d’ufficio.

Quel che trapela, lo scrivono oggi i più accreditati cronisti giudiziari, è che la procura di Roma non ha mai chiesto di intercettare Tiziano Renzi. Cosa che invece ha fatto la procura di Napoli (dopo che quel filone d’inchiesta era già passato a Roma) che, autorizzata dal Gip, ha dato mandato di eseguirla a quel Noe cui proprio la procura di Roma aveva tolto l’indagine e il cui capitano Scafarto è indagato per aver falsificato numerosi passaggi dell’inchiesta al fine di dimostrare la colpevolezza di Tiziano Renzi e l’adoperarsi del figlio per bloccare l’indagine.

A parte il fatto che tale adoperarsi, come dimostra l’intercettazione, si è semmai esplicato nell’esortazione al padre a dire tutta la verità ai giudici che sarebbe un modo ben strano per fermare un’indagine, c’è la circostanza che la procura di Roma ha ritenuto tale intercettazione irrilevante ai fini dell’indagine e non l’ha inserita nel fascicolo. L’intercettazione, dunque, non era a disposizione dei difensori, quindi la talpa che cerca la procura di Roma può essere annidata: a) nella procura di Roma medesima; b) nella procura di Napoli; c) nel Noe del capitano Scafarto.

Al di là degli aspetti strettamente giuridici della vicenda riguardo all’uso delle intercettazioni, per me è evidente che un giornalista nella sua piena e libera determinazione pubblica tutto quello che ritiene utile alla ricerca della verità e ne risponde se viola le leggi. Sta alla sua coscienza civile e professionale capire se e come qualcuno lo stia usando per sputtanare qualcun altro e decidere se fare parte di tale disegno oppure no.

Non parlo di complotti, sia chiaro, bensì di qualcosa di più grave e profondo che minaccia gli equilibri della nostra democrazia: la convinzione di una parte della magistratura e degli apparati investigativi, la cui opinione è ben rappresentata da Piercamillo Davigo, che compito della magistratura non sia perseguire i reati bensì combattere il male individuato, a prescindere dalle prove, nel leader politico di turno che è sempre, per definizione “un colpevole non ancora scoperto”.

È appunto la Repubblica Giudiziaria, dove la gogna mediatica sostituisce il processo svolto nell’ambito delle regole.

Non invoco alcun bavaglio, perché da sempre combatto contro i bavagli. Semplicemente credo che il giornalismo dalla schiena dritta oggi non sia quello rappresentato da chi trasforma il giornalismo investigativo nella buca delle lettere e nella testa(ta) d’ariete della Repubblica Giudiziaria, bensì da chi vi si sottrae.

18/5/2017 - 22:41

AUTORE:
Pubblicato il 18/05/2017 MATTIA FELTRI

Fuga di non notizie
Tutti presi dall’interpretazione critica delle conversazioni telefoniche fra padre Renzi e figlio Renzi (per Spirito Santo Renzi bisogna aspettare un po’, hanno detto Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu), dalla rincorsa alle dichiarazioni di nonna Renzi, l’unica che davvero sappia quanto siano testoni figliolo e nipotino, dalle telecamere accese e puntate dritte in faccia a Tiziano, il quale poi perde la pazienza, forse in fedeltà alla lingua italiana, secondo cui le interviste si concedono, verbo che presuppone cortesia e non obbligo, ecco, presi da tutto questo, ci siamo dimenticati di ricostruire qualche passaggio.

Ed è forse utile per aggiornare i fondamenti del dibattito pubblico, sempre più precostituzionali, creativi e soprattutto sbrigativi: naturalmente al servizio della verità. E allora conviene ricostruire tutto daccapo. L’inchiesta su Consip, la centrale unica degli appalti pubblici, parte dalla Procura di Napoli lo scorso autunno. Su alcuni giornali appaiono le prime notizie, perché sappiamo che il diritto all’informazione pubblica è diventato predominante rispetto ai doveri della giustizia (ci si ricorderà il capolavoro dell’interrogatorio a Virginia Raggi reso in diretta a qualche sito).

L’imprenditore Alfredo Romeo finisce in carcere, e dentro o nei dintorni dell’indagine finiscono il più attivo collaboratore di Matteo Renzi, Luca Lotti, e papà Tiziano. Intanto, per la disciplina delle competenze, il grosso dell’inchiesta passa alla procura di Roma.

E lì saltano fuori un bel po’ di pasticci. Prima la procura di Roma toglie la indagini al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Napoli (perché un nucleo ecologico indaghi sulle tangenti è un simpatico mistero, ma in fondo il più marginale). Poi sottopone a inchiesta per falso Giampaolo Scafarto, il comandante che lavora per conto del pm napoletano John Henry Woodcock.

Si è infatti scoperto che alcune conclusioni di Scafarto a beneficio di Woodcock erano leggermente fantasiose: la frase attribuita a Romeo («l’ultima volta che ho incontrato Renzi») in realtà è stata pronunciata da un ex parlamentare, Italo Bocchino; gli agenti dei servizi segreti che spiavano i carabinieri, naturalmente per deviare e depistare in favore del premier, in realtà non erano dei servizi segreti ma gente che passava di lì, niente di più; il colonnello sempre dei servizi segreti convocato da Romeo in realtà non era un colonnello ma un dipendente dello stesso Romeo. Se si tratta di errori, Scafarto andrebbe trasferito sulla vetta del Cervino; se invece si tratta di falsi premeditati, ci troveremmo nell’imbarazzante vicenda di un corpo dello Stato che costruisce prove contro il governo. Una condotta eversiva che, tuttavia, sollecita poche riflessioni.

Nel frattempo, procedendo nella sua parte di indagini, Napoli continua in grande serenità e intercetta Tiziano, sebbene non lo indaghi, e in obbedienza a criteri discutibili: infatti Roma, che al contrario indaga Tiziano, decide che non si debba intercettare perché il reato, traffico d’influenze, è periferico. Il 2 marzo a Napoli registrano la conversazione che nel giro di due mesi e mezzo trova ospitalità in un libro di Marco Lillo, giornalista del Fatto, e prima ancora sul Fatto medesimo nella liturgia delle anticipazioni. Renzi dice al babbo cose molto istituzionali (ai magistrati devi dire la verità), cose brusche (non ti credo più) e cose sconvenienti (non tirare in ballo mamma che poi i magistrati vanno anche da lei; hai già detto bugie a Luca, e forse questo Luca è Lotti).

Be’, il dibattito si concentra su un’intrigante questione: quella faina di Renzi sapeva o non sapeva di essere intercettato? E si giunge a conclusioni folgoranti: lo sapeva quando parlava dritto, lo trascurava quando parlava storto. Non è nemmeno più cultura del sospetto, ma il sospetto elevato a grammatica e sintassi del discorso pubblico. Lo stesso Renzi ci casca in pieno e un paio di volte si fa sacerdote del culto di cui è vittima, e che ha prodotto venticinque anni da Torquemada col volenteroso apporto della sinistra, e dichiara che se il padre fosse colpevole meriterebbe pena doppia: modo di dire che sarebbe stato applauditissimo nella Cambogia di Pol Pot.

Ma per concludere va aggiunto che l’intercettazione fra Tiziano e Matteo, giunta in procura a Roma, viene dichiarata penalmente irrilevante. Inutilizzabile per la giustizia, ma utilissima per la battaglia politica. Una fuga di non notizie: spettacolare. Ed è su questo, sui falsi, sulle irregolarità, sullo spaccio di verbali di scarto, che oggi regoliamo la convivenza civile, e lo stato di diritto, di cui si procede alla demolizione in un reality per furiosi annoiati.