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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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La caccia col furetto

20/6/2017 - 21:27

Dal libro “Dal canto del gallo al sotto del sole” di Francesco Parducci, uno spaccato di vita contadina della Tenuta Salviati e della famigli di Morando Cinacchi nel podere Prata Vecchie, ecco :
La caccia col furetto
I conigli erano una disgrazia per la campagna. Distruggevano tutto. A branchi nella notte, ma anche durante la giornata, dilagavano nei seminati e mangiavano i germogli, entravano nell’erba medica, nei campi di rape e facevano terra bruciata. Un vero flagello. Si moltiplicavano sempre di più. I "nocivi", la volpi e faine, non erano un ostacolo alla loro crescita ridotte  cosi di numero dalla caccia spietata cha veniva fatta loro nella Tenuta co tagliole e bocconi avvelenati.
La caccia col cane era poca praticata perché, al primo allarme il coniglio fuggiva nella buca dove non poteva essere stanato; il tiro poi, difficilissimo, per quel loro correre rapidissimo zigzagando anche nel folto della macchia, faceva si che le "padelle" fossero sempre superiori alla preda; e di molto! 
I contadini catturavano quanto potevano, ma erano gocce nel mare. Altro ci voleva per ridurre una popolazione sempre più in aumento e sempre più vorace .
Così nel 1928 i Duchi Salviati comprarono in Francia cinque coppie di furetti e li affidarono ad Antonio Mucciarelli, capo canaio, maremmano puro sangue, nato alla macchia, cacciatore d’istinto e di mestiere.
Lui, insieme ad altri cinque uomini, che la Tenuta pagava a giornata, si occuparono dei furetti, di custodirli ma specialmente di abituarli ad una caccia che nessuno da quelle parti aveva mai praticato. Tra questi uomini il giovane Morando, ormai quasi ventenne.
Ogni furetto veniva prima posto in una botte con un coniglio vivo perché, si abituasse a quella preda, ne riconoscesse l’odore, il sapore del suo sangue e della sua carne, imparasse a considerare il coniglio il suo cibo, la sua caccia, lo scopo della sua vita.
Gli uomini a loro volta ad imparare a trattare questi animali selvatici, imprevedibili, con denti aguzzi sempre pronti a mordere e a lasciare il segno. Dovevano con movimento rapido e preciso prendere il furetto per la pelle del collo, sul dorso, in modo da immobilizzarlo e renderlo inoffensivo.
Costruirono le cassette per portare i furetti a caccia, costruirono le reti, specie di sacchetti che venivano abboccati alle buche dei conigli e fissate con cavicchi di legno.
E come previsto il 15 settembre inizio la caccia. Tutti i giorni, fino al 31 marzo successivo, senza sosta, dall’alba al tramonto gli uomini setacciavano la Tenuta alla cattura dei conigli; vivi, perché, era più facile venderli ad altre riserve di caccia e pertanto più remunerativi.
Prima una "passata" con i cani intorno alla "bucaia" in modo che tutti i conigli si intanassero. Poi le reti alle molte uscite; i conigli, infatti, vivono a gruppi nelle gallerie sotterranee che essi scavano ciascuna con la propria uscita; tutte le gallerie si riuniscono in una principale. In questo modo le varie uscite sono collegate tra loro e possono essere sfruttate per una eventuale fuga da un nemico penetrato nella tana.
Quindi il furetto veniva mandato nelle gallerie. Un gran tramestio, tonfi sordi, un rimbombare ovattato di tamburi proveniva da sotto terra, segno del terrore che aveva invaso la colonia; poi uno, due, tre alla volta i conigli schizzavano fuori, come proiettili sparati dalle tane e entravano nelle reti.
E qui cominciava la fatica per gli uomini.
Se i conigli erano fuggiti tutti per tempo il furetto prima o poi metteva il muso fuori e veniva preso, ma se era riuscito ad addentare una preda erano guai. Infatti dopo averne bevuto il sangue e mangiato una parte, di solito vicino al collo, si addormentava profondamente ed era compito degli uomini di ricercarlo scavando con la vanga il duro terreno lungo le gallerie.
In questo erano facilitati dai cani che, anche attraverso uno strato di terra, fiutavano l’animale e dirigevano gli scavi; ma molte volte erano necessarie ore di lavoro e metri e metri di gallerie da aprire.
Questo anche perché, quando il furetto si addormentava lasciava sempre in qualche galleria dei conigli immobilizzati dal terrore; i cani indirizzavano gli uomini con le pale alla loro ricerca.
Con questo genere di caccia nel solo periodo dal 15 settembre 1928 al 31 marzo 1929 furono catturati oltre 18.000 conigli; e non furono distrutti, ancora ne rimasero per gli anni successivi, tanto era numerosa la loro popolazione.
 
 
 
 
 

 

 
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