In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Er santo, du’ frati e ‘n pescatore
Era freddo, pioveva forte e dduro,
‘r povero ‘ncespiava ‘nder pantano,
ma deccoti sbuà’ da dietro ‘r muro
un tale che nni da mezzo pastrano.
Poi venne cardo come pe’ magia,
le ‘ampane scacciónno la tormenta,
fu messa anco ‘na ‘appa ‘n lotteria
e ar priore toccò la ghianda trenta.
Su ‘nder cielo si vidde un luccïore,
sputò l’arcobaleno un pezzettino,
cascò ‘ndell’acqua e doventò uccellino.
Così ‘r santo, du’ frati e ‘n pescatore
di nomi se ne scerser solo uno.
Sapete cosa escì?….. Era ‘r trentuno!
Quattro per uno
E’ così complicato il ragionamento che mi ha fatto scrivere questo sonetto, che mi sono sentito in dovere di condensare tutto nel titolo per facilitare la soluzione.
Si parla di un santo, di due frati e di un pescatore accumunati nel nome, quindi, ora che ci ripenso, una volta scoperto il primo, più facile, gli altri vengono, o dovrebbero venire, di conseguenza.
Chi era quel Santo che donò mezzo pastrano ad un povero infreddolito?
Era un tal Martino, ufficiale della Pannonia, pagano, che a metà del 300 divise il suo mantello con un povero e che si convertì al cristianesimo tanto da essere eletto vescovo di Tours. La sua festa cade l’11 novembre quando i giorni sono sereni tanto da essere chiamati “estate di San martino” (venne cardo come pe’ magia).
Nell’Italia settentrionale veniva detto “fare San Martino” per significare traslocare, sgomberare, perché proprio l’11 novembre scadevano i contratti di affitto.
Più grottescamente, nel Sud della penisola, un altro attributo chiamava in causa il Santo come protettore dei mariti, quindi potenziali cornuti, che venivano motteggiati chiassosamente nella “processione di San Martino”, ma queste due storie non ci riguardano.
Ritorniamo ora ai frati.
Suonano le campane di un convento, chi sarà a tirare le funi?
Ma Fra Martino campanaro din - don - dan, che diamine!
Si fa festa, una lotteria, primo premio una cappa da frati.
Al priore, secondo frate, tocca in sorte il numero trenta estratto dal sacchetto della tombola (la ghianda).
Avanti.
Dopo la tempesta venne, d’obbligo, un bellissimo arcobaleno che, ancora una magia, sputò nell’acqua un pezzettino del suo luccicore che si tramutò in un bellissimo uccellino colorato al quale venne dato prima il nome di Martino e poi l’attributo “pescatore” perché legato all’acqua.
Ecco i quattro nomi, Martino, attribuiti ai quattro personaggi: un santo, due frati e un pescatore.
Scusate, manca il secondo frate, terzo Martino.
Ricordate che numero aveva avuto il priore?
Il trenta?
E cosa era uscito al sorteggio?
Il trentuno?
Ma allora è tutto chiaro!
Il frate non poteva essere che quel Fra Martino, quello che:
per un punto perse la cappa!
Via, dai, su! ‘un era mia tanto ‘ncasinata!
P.S.
Non fate sapé’ gniente di feste e di Martini a quer beccaccione di Giorgio e a ‘vella moracchiona della Noemi perché sennò ariva tutta la ‘onfusione!
Fra curiosità e natura
Il martin pescatore è un piccolo uccellino variopinto, con un gran becco allungato, che vive sui corsi d’acqua o sulle sponde di laghi e stagni dove pesca gettandosi sulla preda da un luogo fisso, detto posatoio, o lasciandosi cadere a perpendicolo sulla preda. Non costruisce il nido, ma scava una galleria nelle ripe scoscese. Quando vola lo fa radendo il pelo dell’acqua e con una velocità incredibile.
Viene chiamato anche uccellino di Santa Maria e questo, oltre al nome Martino, datogli in onore del santo di Tours, è l’attributo mistico per la presunta compassione che ha verso i cadaveri privi di sepoltura. Si diceva infatti che questo uccello, con il picchio e il pettirosso, gettasse fiori sulle salme insepolte.
Una leggenda medievale raccontava che il martin pescatore all’inizio era tutto grigio e che, dopo il diluvio universale, per vedere dall’alto il mondo sommerso dalle acque, si avvicinò troppo al sole per cui il suo petto si arrossò bruciacchiandosi e il suo dorso divenne blu cielo.
Nel mondo antico, ai tempi degli dei e degli eroi greci, si narrava di una coppia di sposi, Alcione e Ceice, così felici e innamorati che nell’intimità, e in seguito anche fuori casa, avevano deciso di chiamarsi e farsi chiamare Era e Zeus.
I due massimi dei dell’Olimpo, oltraggiati, si adirarono e incendiarono, facendola naufragare, la nave di Ceice il quale affogò urlando disperatamente il nome dell’amata.
Questa, sopraffatta dal dolore, si gettò in mare e, da altri dei più compassionevoli, fu tramutata nell’uccello che porta il suo nome, mentre il marito divenne un gabbiano.
Qui la faccenda si complica con l’involontario bisticcio del grande naturalista Plinio il vecchio.
Scrive costui che l’alcione, creduto un uccello mitico perché mai osservato da occhio umano, era un uccellino poco più grande di un passero, azzurro sul dorso e purpureo nella parte inferiore, che si riproduceva in inverno costruendo un nido di schiuma solida galleggiante sulle acque del mare che, per sette giorni, diveniva calmissimo per permettere la schiusa delle uova. Tali giorni, nel solstizio d’inverno, erano detti “giorni alcionii “ e la schiuma, chiamata “alcioneo”, era usata anche nella medicina antica tanto che l’uccello diventò un taumaturgo, un previsore di tempeste o un placatore di fortunali.
L’aver dato al nostro piccolo protagonista il nome latino di “Alcedo”, ha fatto sì che su di lui fosse trasferita tutta la magia dell’antico alcione e quindi, anche ai nostri giorni, in case di cacciatori, vecchi pescatori, capanne di padulani o casoni veneti, si vedono attaccati al soffitto dei secchi e polverosi corpicini morti di martin pescatori che hanno il compito di allontanare i fulmini, propiziare la pace e segnare il tempo.