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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
le Parole di Ieri
Sfranellare

3/11/2017 - 17:54

SFRANELLARE
Lett: nc.
O far franella assimilabile al romano “pomiciare” che potrebbe derivare dal verbo impomiciare, [strusciare con la pomice per rendere levigato].
Il senso dello strusciare lievemente sarebbe, in questo caso, l’origine del significato di leggera carezza, lieve approccio, timido contatto fisico con la ragazza.
Con sfranellare, per rendere chiara l’idea, si intendevano tutte quelle manovre amorose che non si concludevano con un atto sessuale. In tale fortunata evenienza il verbo usato diventava invece un più rotondo trombare, di valore e significato ben più elevato.
In quei tempi andati la verginità era ancora una cosa preziosa da mantenere, un dono gradito al futuro sposo e quindi le occasioni di un vero e proprio atto sessuale piuttosto infrequenti.
Ci si consolava con il fare un po’ di franella nelle occasioni d’incontro con le ragazze in paese, nelle festine fatte in casa, al cinema, o la domenica al Teatro del Popolo dove si ballava.
Al Teatro del Popolo, in quel tempo considerato un bieco covo di Comunisti (con la C maiuscola), c’era una grande sala per proiezioni cinematografiche e spettacoli teatrali, unica occasione di cultura, svago ed informazione alla portata delle tasche e della mente di tutti i paesani. Era presente anche un palco rialzato con un piano di legno, anche se un po’ traballante. In tempi recenti è stata ridimensionata come si può osservare attualmente, ma prima arrivava fino in fondo all’edificio occupando anche il locale occupato ora dal bar. La parte posteriore, quella ora scomparsa, era in leggera salita e su di essa erano file di sedie, rigorosamente dure, di legno, fissate al pavimento. La parte anteriore invece aveva file di sedie collegate al pavimento per mezzo di viti che potevano essere rimosse per lasciare libero lo spazio della sala. Ogni sabato, finita la proiezione del film, un gruppo di ragazzotti sotto la supervisione degli adulti, smontavano le file di sedie e le accatastavano sotto il palco facendole passare per un’angusta porticina e preparavano così la sala per il ballo che sarebbe avvenuto il giorno successivo.
La domenica pomeriggio infatti la sala si trasformava in un locale da ballo che vedeva arrivare ragazzi e ragazze, quasi tutti a piedi o in bicicletta, anche dai paesi vicini. Finito il ballo, le file di sedie riprendevano il loro posto fisse sul pavimento per la proiezione della sera, del giovedì e del sabato seguente.
Oltre al ballo altra occasione di incontro galante per i ragazzi di quegli anni era l’arrivo delle “straniere”. Ogni estate in paese c’era un gran fermento per l’arrivo, sulle nostre spiagge, delle turiste provenienti da altri paesi con costumi sessuali più disinibiti dei nostri.
Le più ricercate in questo campo erano indubbiamente le svedesi, molto ambite per il loro aspetto “vichingo” oltre che per la loro risaputa libertà sessuale. Iniziava allora la “caccia”, così veniva chiamata, e in questa pratica in paese c’erano degli specializzati che con abbronzature caraibiche, peli ricciolini in bella vista su camicione legate in vita con un nodo, zoccolo di legno battente sfoggiavano tutta la loro italianità per impressionare la turista in cerca del famoso ardore latino.
La ricerca della “straniera” che avesse oltre al fascino anche costumi sessuali diversi con cui “fare pratica” spingeva, verso la fine degli anni ’60, molti ragazzi a recarsi in vacanza all’estero, in paesi dove le ragazze praticavano il libero amore, quel “free love”che qui da noi non voleva saperne di attecchire. In quel periodo molti si recavano nei paesi dell’Est dove la conquista era resa più facile dal divario economico e sociale, a quel tempo molto evidente, fra l’Europa e i popoli legati al Patto di Varsavia. Il paese preferito per queste gite era senza dubbio la Romania, disgraziata terra sotto il regime repressivo di Ceausescu, dove la gente viveva in povertà economica e culturale e le ragazze erano attirate, oltre che dalla nostra bellezza latina, anche dalla nostra superiore capacità economica. Con poche lire, e spesso solo con la vendita di qualche indumento usato come i jeans (molto richiesti), si poteva tranquillamente vivere e frequentare locali ed alberghi esclusivi, inaccessibili per la popolazione comune.
In tutti i paesi dell’Est esistevano poi in quegli anni negozi particolari, detti “per turisti” , dove si trovavano i prodotti tecnologicamente più avanzati dell’occidente (ma mi riferisco ai comuni mangianastri o alle macchinette da barba) in cui si poteva acquistare merce solo pagando in moneta estera. Fioriva quindi anche un mercato nero di cambio della moneta che comportava ulteriori vantaggi economici per i turisti stranieri. Se non ricordo male al tempo dei “viaggi della speranza” il cambio ufficiale era 270 Lei (la moneta rumena) per 10.000 delle nostre lire mentre al cambio nero per 10.000 lire si potevano ottenere fino a 600 Lei, con indubbi vantaggi sul valore dei nostri soldi. Le ragazze, ma anche i ragazzi rumeni, vedevano in noi giovani italiani che venivamo da  un paese storicamente molto vicino al loro, con una lingua per certi versi molto simile poiché di derivazione latina, il loro modello di vita ideale, con le libertà che a loro mancavano (come quella di potersi recare liberamente all’estero), con l’automobile, i soldi, i cantanti famosi (Celentano), i films (li vedevano direttamente in lingua italiana). Questo portava gli abitanti ad essere estremamente  gentili, quasi affettuosi nei nostri confronti ed ognuno di noi può vantare ricordi di inviti a pranzo, a feste, a cene e tutto solo per il piacere di essere ospitati. Magari solo con la richiesta di ricevere una cartolina dall’Italia. Se questa era la situazione all’interno del paese, essa cambiava totalmente nelle poche zone altamente turistiche sul Mar Nero, dove i rapporti tornavano ad essere quelli di sempre con furti, prostitute, malavita.
Fu una stagione di grandi viaggi Migliarino-Timisoara o Migliarino-Mamaia (una striscia di spiaggia 8 km a nord di  Costanza, sul Mar Nero) e chi tornava raccontava di conquiste favolose e di ragazze disponibili, di bella vita con pochi soldi, ma anche di tentativi di truffa e di brutte avventure con la “Policia”. E così la lunga strada Zagabria-Belgrado, 600 chilometri di niente, con i rarissimi paesi, i distributori di carburante che non potevi di saltare (Sretan put zeli vamp Ina -diceva l’immancabile cartello all’uscita del distributore- Buon viaggio ti augura la benzina Ina), i bar e la pannocchia di granturco bollita in tavola ancora prima dell’ordinazione, le buche “slave” traditrici nell’asfalto che piegavano i cerchioni delle 500, la benzina senza ottani che imballava il motore, il contorno delle auto guaste o incidentate lungo la strada abbandonate perché troppo distanti da qualunque centro abitato, vedevano gli avventurosi viaggi dei giovani migliarinesi a caccia di emozioni.
Esiste una notevole casistica di avventure in Romania di ragazzi di Migliarino, alcune esaltanti e piacevoli, altre più complicate e sgradevoli ma comunque tutte testimoniano un fenomeno molto diffuso in quegli anni anche se di breve durata. L’introduzione di alcune misure restrittive come l’obbligo di un cambio di valuta obbligatorio alla frontiera (10.000 lire con cambio ufficiale per ogni giorno di permanenza) con la perdita del vantaggio del cambio al mercato nero, i controlli della polizia più efficienti con test alcolici sempre più frequenti, le ragazze sempre meno spontanee nelle loro effusioni e sempre più interessate nei rapporti col turista ben presto cambiarono lo scenario dei viaggi in queste terre che, piano piano, vennero abbandonati.
Rimanevano i paesi del Nord, sempre mitici, con ragazze alte, bionde, dagli occhi celesti, con lo sguardo malinconico ma affascinante dei grandi freddi, delle calde baite di montagna, dei ghiacci eterni, pellegrinaggi spesso vani ma sempre vissuti con il giusto spirito di avventura, affrontati con pochi mezzi ed auto ridicole, con l’acqua che bolliva nei radiatori, le puntine che si attaccavano, la pompa della benzina che cedeva, il bagagliaio pieno di spaghetti, scatolette, salsine della mamma e Ortolina. Anche i soldi per affrontare questi viaggi erano pochi, le famiglie già si indebitavano per mandare i figli a scuola, all’Università, per dare loro quelle possibilità di scalata sociale a loro negata, per la soddisfazione di avere in casa un “dottore” o un “professore”, titoli che avevano ancora in quegli anni il sapore della ricchezza, dell’agiatezza, e soprattutto del rispetto che si conviene ad una classe sociale superiore. Noi ragazzi, memori di queste difficoltà, cercavamo durante i mesi estivi quei piccoli lavori che ci permettessero di racimolare un po’ di soldi da dedicare a queste vacanze. C’è chi andava a lavorare ai distributori di benzina, alcuni venivano presi a lavorare da parenti, molti si dedicavano a lavori agricoli. La maggiore necessità di lavoranti agricoli, a quel tempo ed in questa zona, era nel settore della raccolta delle pere. Le pere cosce vantavano un discreta produzione locale. Uno dei maggiori produttori migliarinesi era il Carnascali Sergio (padre di Alberto) che possedeva numerose piante in via dei Salceti, a Nodica e che in primavera raccoglieva e trasportava direttamente con un camioncino ai mercati del Nord.
La raccolta iniziava molto presto, alle cinque di mattina, con l’appuntamento in piazza alla Barca.
Il motivo del reclutamento di giovani lavoranti inesperti era dovuto alla modalità di raccolta che obbligava dover salire sulla pianta. Se i frutti esterni potevano essere colti con delle lunghe scale a pioli, quelli interni potevano essere raggiunti solo da persone agili e di poco peso.
La raccolta iniziava con discreta lena al mattino e si protraeva fino verso le nove quando arrivava la colazione (profumata mortadella appena tagliata e pane fresco e vino) che fiaccavano leggermente le giovani membra con un vistoso rallentamento della produzione. Le pere venivano raccolte in panieri che erano poi svuotati in cassette di legno accatastate sul pianale tirato da un piccolo trattore ed infine caricate sul camioncino per andare ai mercati. Dopo la sosta per il pranzo la raccolta si protraeva fino quasi al tramonto quando finalmente liberi, stanchi, sporchi, con gli occhi che frizzavano a causa dei trattamenti chimici dei frutti, si andava direttamente al mare a fare un lungo bagno ristoratore. Il Carnasciali ci pagava a giornata (o ad ore lavorate, non ricordo), bisogna dire con molta precisione, e questi soldi erano messi da parte per le ferie estive che molti di noi trascorrevano in avventurosi viaggi in un Europa ancora misteriosa.


“Le svedesi” è anche il titolo di un famoso romanzo di Silvano Ambrogi (vedi Alle Pratavecchie), in cui si racconta proprio l’attesa in Bocca di Serchio, per tutta l’estate del ’57, di queste ragazze stupende conclusasi  invece con il mesto arrivo delle prime piogge autunnali.
Se il termine far franella, sia pure molto ridimensionato nell’uso, è ancora oggi presente nel parlare comune, completamente scomparsa è la cantilena che si usava recitare alla vista di due innamorati che si scambiavano effusioni amorose:
ella ella ella
c’è qualcuno che fa franella !
 
Aneddoto 1
Bella tu sei qual sol!” disse poeticamente Vittorio, con occhi languidi, alla straniera che aveva incontrato alla Lecciona.
 
Aneddoto 2
Quasi tutti i ragazzi cercavano lavoro come raccoglitori di pere. Anche il Pallettone si presentò regolarmente alle cinque in Piazza il primo giorno della raccolta. Il giorno successivo, un quarto alle cinque, eravamo già tutti in Piazza a chiacchierare aspettando di andare al campo. Il Pallettone tardava.
Aspettammo fino a qualche minuto alle cinque poi mi decisi ad andare a casa sua per chiarire il motivo del ritardo. Tutte le luci erano spente (era ancora piuttosto scuro), gli avvolgibili chiusi, non si avvertiva nessun rumore dall’interno. Suonai il campanello e aspettai. Suonai ancora in maniera un po’ più insistente. Dopo alcuni attimi di silenzio sentii sollevarsi alcune stecche di avvolgibile ed una vocina dalle fessure:
“Giancarlo….. ha detto ‘un se la sente!
 
Foto.

La squadra di Pallavolo del Cus Pisa in A1.
Nell'anno dell'esordio, 1972-73, la squadra gialloblù vinse il Campionato Juniores. Per otto stagioni, inframezzate da una retrocessione, la squadra universitaria militò in Serie A, ottenendo il miglior piazzamento nel 1974-75 (quarto posto). Nel 1980-81 retrocesse in A2, categoria nella quale militò per tre stagioni prima di cadere in B nel 1983-84.

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