In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
"O raga', l’ate visto passà vell'omo sulla rota?".
Così dicevano le nostre nonne quando vedevano passare un uomo in bicicletta. Quella ruota che muove le macine dei mulini che aziona le macchine delle cartiere, sulla quale l'uomo vi cammina sopra per gettare acqua nel campo, perché non deve essere capace di portare a spasso lo stesso uomo?
Questa sarà la domanda che si sarà posto colui che per primo costruì la bicicletta.
L'invenzione deriva dalla visione di un certo arnese detto draisina in uso nel 1816. Ma il primo pedale si ha nel 1864. In un primo tempo però, il velocipede, detto così per la forma delle ruote, per cui quella davanti, che è la motrice, ha un cerchio doppio di quella posteriore. Però i primi pneumatici si hanno nel 1880. Le due ruote furono di uguale dimensione nel 1884. Il primo velocipede disponeva di un sedile tanto alto sopra la ruota più grande che per salirci e scendere occorreva uno sgabello o comunque un punto di appoggio. Inoltre non disponeva di pneumatici, e dovendo camminare su ruote di ferro richiedeva una fatica enorme, data anche la costituzione delle strade.
I primi pneumatici non comprendevano le camere d'aria e copertone, ma una specie di girello tutto compatto, sia pure di gomma. Comunque era già un passo avanti. Quando s'arriva alla bicicletta con ruote uguali viene completata con la camera d'aria. Però, a causa dell'impraticabilità delle strade e il pericolo di forature, per certi servizi comuni si continuò a usare i gommoni compatti. Per esempio i carabinieri l'hanno usata fino oltre il 1900. Il velocipede, e anche la bicicletta, per molto tempo funzionano a ruota fissa, cioè la ruota non gira se non girano i pedali, né questi possono girare se non gira la ruota.
Quindi non vi sono freni poiché a questi suppliscono i pedali. Più tardi si passa alla bicicletta a ruota libera; le ruote possono girare indipendentemente dai pedali mediante un ingranaggio che svincola la catena e le consente di mantenere il moto per l'impulso ricevuto o che riceve per forza di gravità in un percorso in discesa. Tali sono le biciclette moderne. Ma ciò che interessa sapere è lo stupore e la diffidenza con cui fu accolta dai nostri avi. Se grande era il desiderio di trovare un mezzo per risparmiare le gambe, altrettanta era la paura di salirvi sopra. E poi chi l'aveva dieci lire per comprarla? Inoltre per un uomo, in quei tempi, si stimava più difficile imparare in bicicletta che oggi a guidare l'automobile. Tuttavia qualcuno cominciò a provare, comprando qualche carega scassata. Uno montava sopra e, uno di qua e uno di là, lo reggevano ma quella ruota fissa concorreva ad accrescerne le difficoltà. Una frenata a secco voleva dire fare un ruzzolone. Infine chi poteva possederne una anche sgangherata, e riusciva a impararci toccava il cielo con un dito. Si racconta di uno che imparò su una bicicletta senza sellino; vi metteva un rotolo di balla e camminò così per molto tempo. Alcuni, per impararci, partivano da cima a una piccola salita e poi dovevano correre fino che durava la forza di gravità perché non sapevano frenare con quella maledetta ruota fissa. Intanto le mamme che prima dicevano ai figlioli: Badate ai barrocci, ora dicono: State attenti alle biciclette! Naturalmente tale mezzo in un primo tempo era usato solo dagli uomini. Lc donno in bicicletta coi guarnelloni che usavano portare avrebbero intralciato le ruote.
Tirare su i guarnelli e mostrare le gambe peggio che mai!
E poi se in famiglia c’era la bicicletta ce n'era una sola e non toccava a tutti. Il guaio era che il fondo delle strade era sempre cosparso di sassi spaccati col martello e spesso si rompeva un copertone o si forava una gomma a mezza strada. Perciò ogni bicicletta portava appesa al sellino una borsetta di cuoio col tubetto di mastice e i ferri adatti per smontare le ruote e aggiustare le gomme. Chi aveva la fortuna di possederla la teneva cara, chi non l'aveva la desiderava anche di pezzi vecchi.
Diceva un tale: Quando a pedalare vanno avanti, son tutte buone. Intanto si risparmiano gli zoccoloni.