Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Maria Beatrice Bugelli, più nota come Beatrice di Pian degli Ontani, e anche come Beatrice la poetessa-pastora, nacque nel 1803 in località Conio, presso Melo nel comune di Cutigliano sulla Montagna pistoiese e morì a Pian degli Ontani di Cutigliano nel 1885
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“Se volete sapere dov'era la mia scuola
su per i monti all'acqua e alla gragnola.
E questo è stato il mio imparare
vado per legna e torno a zappare”
I suoi componimenti erano " rispetti" e " strambotti", cioè brevi poesie popolari, generalmente ottave in endecasillabi, per lo più amorose o scherzose, recitate o spesso cantate sopra noti e facili motivi.
A casa di Beatrice andarono poeti, scrittori, sia italiani che stranieri, per studiarne la tecnica e per conoscere questa incredibile donna che non frequentò mai la scuola, era di fatto analfabeta, ma dotata di un dono straordinario. Nel 1859 fu “intervistata” dal linguista Giambattista Giuliani che così riporta una sua confidenza:
<< A’ tempi della Civica capitai a Boscolungo. Stavo in casa d’una guardia di que’ boschi e viene un capitanone con certi baffi che faceva paura, ma io no. Mi dice subito:
- Siete voi quella che cantate?
- Gnorsì.
- Dunque c’è l’arresto per voi: su, venite con me, vi tocca ir entro.
- Vicino o lontano?
- Lontano.
- Ebbene, vada per un baroccio che mi porti, io non ho le gambe a tanto cammino.
- Su, venite, son qui cinque uomini a pigliarvi.
- Fossero anco dieci, enno pochi per me.
Una sposina li presso a me tremava come ’na vetta di castagne al vento. Che? le diss’io: tremare dovrei io che son nelle peste; e poi sen qui per tutta e due.
Vennero de’ gendarmi alla volta mia, e io non mi movevo, senza sapere né ahi né guai. Rimasi, che mi venne dinanzi un giovanottino grazioso tanto, che era una vaghezza. Non saprei dire quante fosse bello: la bellezza di quel giovanino non la vidi più. Quando le dico, che parea un angiolo, è finito il discorso. Se era bello? avea i capelli arricciolati, biondo com’oro filato: un bel carnato roseo e bianco come latte; gli brillavan gli occhi in della faccia. Mi fece un’accoglienza grande, più che s’io fossi stata ’na regina. Mi prese alle buone:
- Su, Beatrice, mi disse, non vegliate essere scortese, date un’ottava a quel capitano, e vi lasceranno andare per la vostra via. —
Come fare a dire di no! era tanto bello.
Entrammo in una locanda; si da bere, e io di quel buon vino ne tracannai parecchi de’ bicchieri. Poi mi diedi a tirar giù ottave: ero un fiume pieno pieno; niuno poteva più farmi restare. Ecco viene il capitano, e io subito dargli l’ottava: lui abbonito, mi prese allora per mano e mi rimenò alla casa di prima. Volle cheio cantassi; ma io non canto senza il contrasto, gli dissi. Volea intanto che io bevessi, risposi << non bevo più>> non volli più bere a niun patto, perché il vino mi poteva sopranare il canto Venne un soldato e mi sfida al canto:lo confusi a un tratto. Arriva un altro, e si straccò di subito. L’ultimo che s’arrischiò a cantare, era più rozzo d’un magnano, e fu sbeffato da tutti. Per me non l’avrei finita più, sola, senza più contrasto, mi rivoltavo di qua, di là,tutti mi saltarono addosso:
— Brava brava Beatrice! allegri cha si stea in brigata! —
Quel giovanettino che mi diede coraggio, non lo rividi più mai; ma lo ricordo ogn’ora. Una creatura compagna, d’una bellezza tanto graziosa, è impossibile ritrovarla più; mi par di vederlo ancora, come l’avessi dipinto nella mente. Ce n’avrai da contare; la mia vita è stata ’na varietà continua. Se vivo io e lei quest’altr’anno, se viene a rivedere questi paesi, mi mandi a chiamare, gliene vo’ dir delle belle, curiose davvero. Poverino! gode poca di salute, me ne patisce il core. Già in questo mondo, son contenti pochi, starem meglio nell’altro, speriamo: la speranza noi contadini ci fa vivere a buono.
Senza speranza tutto il mondo è perso. Io co’ mi figlioli si lavora e tanto duriamo la vita: uomo sollecito non fu mai povero. Vien poi la morte che finisce tutti i guai:
bisogna star bene con Dio, e non c’è da temer di nulla... »
Se tu sapessi la vita ch’io faccio,
Non la farebbe il Turco alla catena.
E ’l Turco porta la catena al braccio
E io la porto al cor per maggior pena.
E ’l Turco porta la catena al collo,
E io la porto al cor, ch’è maggior doglio.
E ’l Turco porta la catena al piede,
E io la porto al cor che niun la vede.