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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Il Diario di Trilussa
Ipocrisia-Una vita da maestro

7/1/2018 - 16:54


Era il 2007, l’anno della nascita del giornale, e Trilussa pubblicava i primi articoli di fondo. Sono prima della crisi economica, del problema grave dell’immigrazione, della chiusura delle frontiere in Europa, della crisi della Grecia. Sono vicini nel tempo ma sembrano lontani per il modo di affrontare i problemi, che in gran parte sono rimasti i soliti, alcuni in parte risolti, molti ancori insoluti se non peggiorati. Alcuni si riferiscono a casi di cronaca del tempo, ma sembrano mantenere una loro validità riguardando comunque problemi di ordine generale.
Gli articoli vengono pubblicati come furono scritti, con i segni grafici necessaria all’impaginazione. Il giornale era appena nato, aveva suscitato molta curiosità ma aveva ancora poche visite e molta incertezza sul suo futuro. Anche con questi intendiamo celebrarne i dieci anni di vita.

 

 
IPOCRISIA   (2.7.2008)
 
Riguarda una perizia di parte sullo sfortunato episodio dell'11 novembre del 2007 in cui l'agente di Polizia Luigi Spaccarotella sparò il colpo che usccise Gabriele Sandri. Lo Spaccarotella nel febbraio del 2012 venne condannato in via definitiva per omicidio volontario a nove anni di reclusione.
 
Siamo oramai arrivati al ridicolo, alla presa in giro, al massimo livello dell’ipocrisia umana.
Quel disgraziato fulminato sull’autostrada da un colpo di pistola all’autogrill, il tifoso laziale in trasferta, aveva in tasca non due sassi, come li chiamiamo noi, ma due microformazioni calcaree.
Poi in macchina hanno trovato anche altri oggetti che l’avvocato non ha nominato ma che si potrebbero definire come “strumenti atti allo spezzettamento del cibo”, “innocui supporti metallici per impalcature”, “oggetti per ripararsi dalla pioggia in cattive condizioni d’uso”, “sfere metalliche per uso personale”, definizioni di coltelli, spranghe di ferro, ombrelli preparati per offender e biglie d’acciaio che l’avvocato ci ha risparmiato. Sono mancati solo gli “strumenti a scoppio per stretto uso personale, di difesa e di allenamento sportivo in luogo protetto”.
E c’è stata anche una insolita conferenza stampa della famiglia che invece di chiudersi nel doloroso e comprensibile silenzio che segue un’ immane tragedia come quella della perdita di un figlio o di un fratello, ha deciso di esporre il proprio dolore davanti ai giornalisti. E’ in quella occasione che l’avvocato ha derubricato la definizione di sassi in piccole formazioni calcaree. Perché, sappiamo tutti, al di fuori dell’ipocrisia di facciata e della consapevolezza del dolore della famiglia, che il tale faceva parte non di un gruppo di tifosi normali (ma oggi, come sono quelli normali?) ma di un gruppo facinoroso (si dice così) che oltre ad avere in macchina tutto l’occorrente per offendere, aveva già operato un agguato nei confronti di altri tifosi di un’altra squadra, aggrediti e malmenati con spranghe e bastoni.

Si può giustificare quindi il colpo di pistola? Assolutamente no ma bisognerebbe comunque ristabilire la verità e condannare il comportamento di queste persone che usano lo sport per altri scopi molto meno nobili. Lo stesso giudizio negativo vale per quelle bande di delinquenti che hanno messo a ferro e fuoco stadi e città ed hanno finalmente fatto capire alle Autorità, sportive e non, che la situazione del calcio e del paese è assai più grave di come possa apparire e che la soluzione non è possibile con dei pannicelli caldi come i provvedimenti utilizzati fino ad ora.

C’è una rabbia e una insoddisfazione diffusa nel paese di cui questi sono le punte estreme. Il bullismo e il lassismo nella scuola, la mancanza di regole nel vivere civile, la carenza di ideali e punti fermi di riferimento nella formazione delle coscienze rischiano un progressivo imbarbarimento della nostra società. La mancanza della consapevolezza politica di questo degrado è il rischio più grosso che stiamo correndo in questo particolare momento della nostra storia. La cosa è resa ancora più drammatica, se ciò è ancora possibile, dall’ipocrisia che a questa colpevolmente si accompagna.

Un esempio eclatante di questa ipocrisia è il lutto la braccio dei giocatori della nazionale italiana di calcio nell’ultimo incontro internazionale. Il lutto non per un eroe, un paladino della giustizia, un grande italiano da imitare e di cui andare fieri, un punto di riferimento per le giovani generazioni, ma solo per la morte sfortunata ed ingiusta di un ragazzo semplice e probabilmente normale che ha avuto la sventura e l’errore di pensare normale quello che stava facendo al seguito di una squadra di calcio. Uno sfortunato giovane, una giovane vita inutilmente spezzata, una tragedia insensata e un famiglia distrutta a cui deve andare tutta la nostra partecipazione ma comunque non un eroe da osannare, un modello da celebrare ma solo un nostro povero e sfortunato figlio da compiangere, vittima in giovane età di una società aggressiva e violenta a cui, in fretta, bisognerà cercare di porre rimedio.
 
UNA VITA DA MAESTRO   
 (2.12.2008)

 


"Mario Lodi (Piadena, 17 febbraio 1922 – Drizzona, 2 marzo 2014) è stato un pedagogista, scrittore e insegnante italiano.
La vita di Mario Lodi ha interpretato culturalmente la ricostruzione dell'Italia sulla pedagogia e sul mondo della scuola e dei bambini attraverso un impegno concreto e quotidiano. In questo contatto quotidiano con i bambini, con la loro osservazione partecipe, Lodi ha ridisegnato il valore educativo della scuola, cambiandone aspetti e metodologie." (Wikipedia) Al momento dell'articolo era ancora in vita.
 
«Sono stato in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa sognassero di fare, uno mi ha risposto 'il miliardario', ovviamente in euro, 'così mi compro due belle ragazze e due macchine'. Gli altri ne hanno fatto subito un leader. Nel 'mi compro' c'è un'idea di mondo. Se vogliamo una speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo mercato. Non so se l'idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari alla fine scopriremo che non vale, ma almeno proviamo».
 
E’ una frase di un vecchio insegnante, vecchio davvero perché Mario Lodi è del 1922.

 Ha iniziato la sua attività di insegnante elementare nel 1940 ed è andato in pensione dopo quasi 40 anni di attività. E' anche autore di numerosi saggi sulle sue esperienze pedagogiche, oltre che di numerosi racconti per bambini scritti insieme ai suoi studenti, fra cui Bandiera, La Mongolfiera e l'ormai leggendario Cipì. Nel 1977 ha ricevuto il Premio Viareggio per “Il paese sbagliato” e nel 1989 il Premio Lego - nonchè la laurea honoris causa in pedagogia dall'Università di Bologna.

Lodi si è sempre occupato di bambini, da quando il primo giorno di insegnamento, ai tempi in cui il maestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l'autorità del paese, è sceso dalla cattedra e si è messo seduto su una sedia insieme a loro, per essere alla loro altezza rifiutando, già da allora il concetto di una scuola autoritaria, come era appunto quella del suo tempo.


Ora però il nemico è diverso ed è rappresentato da quella TV e computer che sradicano sempre di più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un mondo virtuale, che oltretutto loro non sanno ben distinguere, e che li spinge sempre di più a credere che l’avere conti di più dell’essere e del sapere.

Lodi spiega ai bambini che in una conversazione uno ascolta l’altro, che parla lentamente, e poi risponde mentre la televisione parla velocemente, senza attendere risposte, perché deve vendere, c’è la pubblicità, l’Auditel e non vuole e non ha tempo di ascoltare cosa l’altro abbia da dire. Cerca di spiegare loro questa differenza e afferma con convinzione che in realtà i bambini sono in grado di ascoltare con attenzione quello che i grandi dicono e sono già in grado di interpretare la realtà anche se molto piccoli. Infatti quando disegnano, anche in tenerissima età, non sbagliano e mettono la terra in basso facendo una riga orizzontale e il cielo in alto. E’ quello che sta in mezzo che devono ancora riempire. E’ questo il grande compito dell’insegnante e Mario, una volta sceso dalla cattedra e messosi su una sedia,  parte dalla costituzione: “Non per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili”.

L’idea fondamentale di Mario Lodi è trasformare l’aula in una specie di piccolo stato partendo dal concetto che i bambini che arrivano in classe hanno già un sapere, che non va sottovalutato, ma da cui bisogna partire per replicare il metodo con cui lo hanno appreso.

Il primo obbiettivo è quindi creare delle regole condivise da entrambi e stabilire, ad esempio, i metodi con cui parlare ed ascoltare. Poi il primo compito che è quello di abbellire la classe, di renderla più accogliente attraverso il contributo di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta, un primo piccolo passo verso l’educazione ed il rispetto degli altri e della cosa pubblica: il miglior antidoto verso il vandalismo.
 
«Quando si ragiona di cambiare la scuola», continua Lodi «lo si fa sempre partendo da un'idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall'alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Perchè funzioni serve una costante comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come sembra: se quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino le informazioni passano».

E’ lo stesso concetto del “fare insieme” di don Lorenzo Milani ed infatti c’è stato uno scambio continuo di lettere fra i due insegnanti, così simili nel mettere il bambino al centro di tutta l’opera educativa.

Sul maestro unico Lodi usa il ragionamento più logico e distante dalle varie strumentalizzazioni politiche e dice che non fa differenza se sono uno o tanti ma conta molto come sono, la loro qualità più che la loro quantità. Lo stesso sul tempo pieno, utile se serve per educare e formare, inutile se rappresenta solo un parcheggio.
 
Nell’intervista poi affronta il problema dei nuovi media.
Prima dell’arrivo della televisione i bambini vivevano in un mondo reale da cui traevano gli elementi per la loro formazione. Ora si trovano davanti due mondi, quello reale e quello virtuale della Tv e di Internet. Naturalmente non si può rifiutare quello virtuale ma non bisogna permettere che i bambini abbandonino completamente l’osservazione del mondo reale che li circonda, l’osservazione diretta delle persone, dell’ambiente.

Bisogna metterli in guardia, dice sempre Mari Lodi, che la realtà non è così violenta come appare alla Tv, che i violenti sono solo una minoranza e che loro sono la speranza, loro debbono reagire perché solo i giovani sono in grado di cambiare il mondo.

Debbono cioè imparare che il linguaggio della televisione è diverso dal linguaggio reale, quello che noi usiamo per comunicare. Bisogna insegnare loro che la televisione, Internet e i nuovi mezzi di comunicazione sono importanti per quello che ci possono dare, ma che ci trasmettono anche cose negative che noi dobbiamo conoscere.

I bambini ci ascoltano, dice Mario Lodi, un vecchio insegnante di 86 anni con le idee molto chiare, e attentamente anche, basta saper usare le parole giuste.
Trilussa

 

Foto. Piazza Mazzini, agosto 1987


 
 
 

 

 

 

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