Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
La storica Francesca Cappella, ricercatrice per la Scuola Normale Superiore, ha messo da parte i libri e gli elenchi accurati che aveva ricostruito nelle sue ricerche all’Archivio Centrale dello Stato e ha cominciato a combattere il cancro che l’ha prematuramente consumata. A lei si deve una ricerca accurata della dolorosa situazione dell’esodo istriano-fiumano-dalmata fino a Pisa e più precisamente a Migliarino.
Questo è un omaggio alla giovane storica e un pezzetto di una sua intervista, poco prima di morire, poi pubblicata in un volumetto “Come paglia al vento”, fatta a sette “profughi” ospitati a Migliarino (in verità era Albavola-Metato ma l'arrivo era alla stazione di Migliarino. n.d.r) e che poi si sono trasferiti stabilmente a Pisa e Marina.
Mi chiamo Bruna Sanguinetti e sono nata in un piccolo paese dell’Istria, Pinguente: ho vissuto lì fino al 1948, quando per eventi tragici siamo dovuti venir via. Era un paese molto piccolo, su un cucuzzolo, una collina, dove eravamo tutti italiani, mentre nei dintorni i paesi erano abitati da slavi. Tutto era bello... se lo ricordo: le amiche, le passeggiate. Il paese su questo cucuzzolo: la scuola era giù, si doveva scendere; d’inverno grandi nevicate. Non può immaginare cosa dovevamo fare per raggiungere la scuola... Comunque stavo bene a Pinguente e sarei rimasta molto volentieri lì. Gli slavi erano persone che avevano sentimenti ostili nei confronti degli italiani, nonostante avessero bisogno di noi perché tutti gli uffici, il commercio erano su, a Pinguente. Ma questo non bastava... me lo sono chiesta tante volte il perché di tutto questo odio... Loro vivevano con noi... Forse, ad esempio, c’erano tanti italiani proprietari di campagne e loro si sentivano un po’ sfruttati.
Cerchiamo di capire qualcosa di più di questi rapporti difficili tra la comunità italiana e quella slava...C’era, ad esempio, una differenza che potremmo definire di classe?
Senz’altro..
Quindi lei non aveva amiche slave?
No, assolutamente no. Pensi che mia nonna, che era di origine slava, quando le chiedevo di insegnarmi qualche parola diceva sempre: "No, per l’amor di Dio... non le devi sapere!" Ho fatto le scuole lì. Poi ho cominciato a lavorare come impiegata in comune.. ed ho lavorato lì fino all’arrivo dei titini che in un primo momento ci hanno licenziati, ma dopo un po’ ci hanno riassunti perché ne avevano bisogno per mandare avanti gli uffici.
Facciamo un passo indietro. L’Italia entra in guerra: 10 giugno 1940... cosa si ricorda?
Ero a Trieste quando c’è stata la dichiarazione di guerra. Ma a quel tempo si era giovani e non pensavamo che ci avrebbe toccato tanto da vicino... infatti fino all’8 settembre 1943 si può dire che noi non ce ne siamo neppure accorti il guaio e iniziato lì.
I soldati italiani erano presenti a Pinguente?
Senz’altro: carabinieri, caserme militari... l’8 settembre hanno lasciato tutto, anche le armi, e sono andati via. Come e successo ovunque. Ma da noi sono arrivati i titini, si sono impossessati delle armi e da lì sono iniziati i nostri guai. I partigiani di Tito ogni tanto ammazzavano qualche tedesco, ed allora c’erano rappresaglie ed arrivavano in paese. È stato un momento di grande confusione e paura... degli uni e degli altri... e poi hanno cominciato a sparire delle persone. Hanno cominciato subito con i licenziamenti. immediatamente. E poi sono iniziati a sparire uomini. Solo uomini, donne mi pare di no, però non si sapeva; si sperava in un tribunale, non so... ma non si pensava neppure lontanamente che facessero quella fine... quello si è saputo dopo.
Quando siete arrivate a Trieste cosa è successo?
Ci hanno portato al famoso Silos: stanzoni grandi con delle tende come divisori, e siamo rimaste lì per qualche giorno. Dopo di che a Udine ed il 17 dicembre 1948 siamo arrivati a Migliarino.
In questi centri di prima accoglienza qualcuno vi spiegava qualcosa sulla vostra situazione e vi diceva quale sarebbe stata la vostra destinazione?
Ci dicevano poco. Solo che ci avevano diviso in scaglioni e fino al 16 dicembre mandavano a Gaeta e dal 17 a Migliarino Pisano.
Lei è arrivata nel campo profughi di Migliarino con il primo blocco destinato a tale campo; ricorda quanti eravate?
Credo circa 350.
Siete arrivati in treno?
Sì.
La prima impressione appena arrivati a Migliarino?
Quando ho visto le baracche... uno shock! A Pinguente avevamo lasciato una casa confortevole: sapevo bene cosa la guerra può provocare, ma di andare a finire in una baracca di legno. .. questo no, non lo immaginavo ed è stato tremendo. Quando ci hanno dato poi tutto il corredo: "Questo è il suo saccone grande ed ora lo vada a riempire con le foglie di granoturco!". Quello era il materasso. È stata un po’ dura, poi con una bambina piccola...Era inoltre dicembre. ..Da noi però era molto più freddo, quindi non ne abbiamo risentito troppo! E poi credo che Gesù ci abbia protetto, perché pensare che ci si riscaldava nelle baracche di legno con dei bidoni di latta.. e non è successo mai niente. .. una sorta di piccolo miracolo!
Com’era la sua baracca? Se la ricorda?
Me la ricordo sì. Non so quante famiglie eravamo. Nella parte posteriore c’eravamo io con mia mamma e la bimba e in un’altra parte mia suocera, che mi aveva, nel frattempo, raggiunta. Avevamo chiuso con delle lenzuola le diverse parti della baracca per crearci una sorta di privacy. Il disagio grosso era soprattutto per le persone anziane. Pensi che bisognava attraversare tutto il campo per andare in bagno, anche di notte.
Cucinavate voi nelle baracche?
No: il mangiare ce lo hanno dato. Me lo ricordo sempre. Hanno preso delle persone, profughe, che erano state assegnate in cucina per preparare i pasti. Quando ci davano il risotto mi sembra di vedere tutto un blocco preso di conserva: infatti avevo sempre certi mal di stomaco! Alla sera di domenica c’era un formaggino. Non ho più potuto mangiare un formaggino in vita mia! C’erano poi una fetta di mortadella ed un uovo sodo.
Chi si occupava di voi, della vostra salute ad esempio, nel campo?
Nel campo c’era il medico, il parroco, diversi impiegati che erano tutti della prefettura ed il direttore. Una baracca era adibita a cucina, una ad infermeria, c’era uno spaccio, ma sa, soldi ce ne erano pochi.
Vi sentivate completamente isolati?
Intorno al campo c’erano della fattorie. L’inizio non è stato facile, ci guardavano male; ad esempio dicevano: "Chiudete tutto, sono arrivati i profughi"... Sembrava che fossero arrivati dei poveracci, ladri, appestati, non so. Poi hanno iniziato a conoscerci e a capire che non eravamo tanto male. Ad esempio, alla tenuta del duca Salviati hanno iniziato a lavorare molti profughi con la raccolta dei pinoli, poi con la raccolta dei carciofi. .. Anche le donne.
Quando dice che vi guardavano male. ..
Non ci conoscevano
Ci sono mai state manifestazioni aperte di intolleranza?
No, intolleranza no.
Indifferenza?
Quella sì e molta. Ci consideravano fascisti e forse ci considerano tali ancora oggi Quello che non capisco è che in quegli anni lo eravamo stati quasi tutti!
In Italia, però, si stava cercando, politicamente, di dimenticarlo.. .
Già..
Come si svolgeva la vita nel campo?
Come vuole che si svolgesse? I bambini erano contrenti perché non andavano a scuola: tutti all’aria a giocare Noi grandi abbiamo iniziato quasi tutti a lavorare. Anche io: nel 1949-1950 ho lavorato nell’Ufficio del campo e poi ho avuto la possibilità di lavorare in Università.
Quanto tempo é rimasta nel campo di Migliarino?
Cinque anni, fino al 1953. Le case ce le hanno date nel 1954.
Qualche rappresentante delle istituzioni locali o nazionali è venuto a trovarvi nel campo?
Sì il prefetto è venuto qualche volta, sa quelle visite di ‘rappresentanza’, e poi l’arcivescovo di Pisa .(Ugo Camozzo. Ordinato sacerdote all'età di 22 anni per il patriarcato di Venezia, nel 1938 viene consacrato vescovo di Fiume, allora diocesi italiana. A seguito della questione istriana è costretto all'esodo nel 1947. n.d.r)
Qualcuno vi spiegava perché eravate ancora nel campo?
No.
E voi che idea vi eravate fatti?
Il campo doveva essere una sistemazione provvisoria per tutta questa gente. Si sapeva che non sarebbe stata per sempre, ma si sperava che finisse prima possibile.
Cinque anni?
Questo sì, questa è stata un’ingiustizia è vero, bisogna pensare che era appena finita la guerra, c’erano ancora le macerie... Ma cinque anni in una baracca...
La foto finale è della quinta elementare dalle suore nel 1952, qui inserita per mostrare una di quelle “bambine del campo profughi”, (della quale ero innamorato non conta ma è un bel ricordo), ma che sfortunatamente e dolorosamente non ne ricordo il nome.
Io sono in piedi dietro di lei.
Noi siamo al centro del gruppo.