Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Oggi è primo maggio. Abbiamo tante cose da non festeggiare.
La prima è circoscritta in un numero, molto piccolo rispetto ai precedenti: 49 percento.
Nessuno ci ha fatto caso, nessun giornale lo ha commentato, ma questo dato sull’affluenza nelle elezioni dei Friuli è il più impressionante. In parole povere un votante su due è rimasto a casa per sbrigare le sue faccende.
Perché è accaduto?
Perché il baccano della politica di casa nostra comincia a interessare meno, rispetto al glorioso passato. Quando il Di Maio dell’epoca ormai lontana, privo di un affollato guardaroba di “doppi-petto”, ma ricco di attitudine al lavoro, si rimboccò le maniche per rifare il Bel Paese.
Si chiamava Alcide.
Era di quelle parti. E ci riuscì.
Oggi a troppi italiani il voto appare inutile. E’ stato sputtanato dalle forti aspettative poi cancellate dai disfattisti.
Fateci caso, nei nostri partiti ci sono più disfattisti che costruttori. Nessuno escluso. Poi, da Fabio Fazio ha parlato Renzi. I sommi esponenti del PD subito si ribellano: non doveva. Il fallimento della sua operazione “referendum” comportava per lui l’obbligo del silenzio.
Nel frattempo, in questi due mesi, nel corso dei quali Salvini e Di Maio hanno giocherellato ai quattro cantoni, Renzi è rimasto silente. Ma allora in tanti lo hanno accusato di stare troppo zitto, nel suo nuovo ruolo di Senatore Semplice. Hanno invece parlato tutti gli altri, del PD. Soprattutto i disfattisti. Quelli della minoranza che si è offesa per averla io definita “maleodorante”. Ha parlato Zingaretti, che già pretende la nomina a Segretario. Hanno parlato le tre “zecche” interne, Emiliano, Cuperlo e Orlando, e infine ha parlato Franceschini, seppure con toni più moderati.
Dall’esterno, nell’esilio di un Leu fallito, tra una birretta e l’altra ha biascicato qualche parola critica perfino Bersani. Poi, quando Renzi è andato da Fazio e ha parlato, è venuto il finimondo. Ed è saltato “quel matrimonio che non si doveva fare”. Renzi è stato composto, ha raccontato con onestà, e direi con grazia, la sua visione dei fatti, e poi è tornato ai suoi giri in bicicletta.
Nei mesi scorsi aveva sofferto molto. Lo avevano adagiato nel fotomontaggio di una bara, quando nella foto successiva c’era un bisonte che faceva violenza alla Boldrini, terza carica dello Stato. Quello era il linguaggio del M5s. Che Renzi non accettava.
E nei confronti del quale noi schiumavamo rabbia, per la vergogna nella quale grazie a questi ignoranti era piombata nella fogna l’arte del convincere, dell’amministrare, del mediare. Che poi è l’arte della politica. Ora, finiti i giochini con due mesi persi, tornando alle cose serie ci penserà un deluso Mattarella, che però già ha le idee chiare. Avremo un governo “istituzionale”, che ci accompagnerà fino alle nuove elezioni autunnali.
Forse avrà il compito di scrivere una legge elettorale più efficace, magari riformando qualcosa con un pizzico di maggioritario. Per ottenere quella “governabilità” che Renzi voleva dal “referendum” del lontano 4 dicembre. Resteranno scontenti populisti e grillini, che in Friuli hanno già incassato il primo segnale fortemente negativo: si accorgono che le promesse non mantenute provocano il “crollo”.
E lassù, nei nostri nordici confini, il Movimento è crollato, passando in appena due mesi dal 25 percento al sette. Perdendo più di due terzi dei propri consensi.
E in tutto questo Di Maio che fine farà?
Di Maio chi?