Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Era il 2007, l’anno della nascita del giornale, e Trilussa pubblicava i primi articoli di fondo. Sono prima della crisi economica, del problema grave dell’immigrazione, della chiusura delle frontiere in Europa, della crisi della Grecia. Sono vicini nel tempo ma sembrano lontani per il modo di affrontare i problemi, che in gran parte sono rimasti i soliti, alcuni in parte risolti, molti ancori insoluti se non peggiorati. Alcuni si riferiscono a casi di cronaca del tempo, ma sembrano mantenere una loro validità riguardando comunque problemi di ordine generale.
Gli articoli vengono pubblicati come furono scritti, con i segni grafici necessaria all’impaginazione. Il giornale era appena nato, aveva suscitato molta curiosità ma aveva ancora poche visite e molta incertezza sul suo futuro. Anche con questi intendiamo celebrarne i dieci anni di vita.
Presentazione.
Due temi molto diversi fra loro. Il primo “Ikea e dintorni” è la presa di posizione personale contro l’ipotizzato insediamento Ikea, distruttivo dal punto di vista turistico e culturale. Porto alcuni esempi e difendo la mia posizione, anche se da molti non condivisa, tanto che le polemiche sono durate ancora qualche anno e con toni sempre molto accesi. E forse non sono ancora sopite.
Il secondo: “Buon compleanno Vasiljiuk” è un appassionato articolo sul problema de morti sul lavoro scaturito da un episodio recente, del 2008, quando un giovane immigrato ucraino perde la vita il suo primo giorno di lavoro. Un fenomeno molto preoccupante nel nostro paese con delle cifre spaventose che dovrebbero far riflettere e mettere l’argomento ad uno dei primi posti in ogni agenda di ogni governo.
IKEA E DINTORNI
“Uluru” è il vero nome di Ayers Rock, una grande roccia rossa al centro dell’Australia, la montagna sacra degli aborigeni. E’ l’equivalente della Mecca per gli islamici o di San Pietro per i cattolici. Ora immaginate se questi luoghi fossero trasformati in attrazioni turistiche con bar, passeggiate, parcheggi, qualche bordello. Se fosse possibile scalare il Cupolone con corde e catene, scattare foto alla Pietra Nera. E’ quello che sta succedendo a Uluru.
Gli aborigeni chiedono che Uluru torni ad essere un luogo sacro .
Il Governo australiano ha nel frattempo un piano, quello di ridurre il turismo di massa per non rischiare di trasformare completamente il luogo, per mantenere la sua sacralità.
Con i mezzi di trasporto moderni l’uomo sta diventando infatti troppo invadente. Arriva dovunque, con tutti i mezzi, spesso non rispettando l’ambiente in cui si reca, trasformandolo e svilendolo a semplice meta turistica. I luoghi più inaccessibili vengono così violati, i luoghi sacri banalizzati e svenduti all’invasione del turismo di massa.
C’era da noi un progetto per Castagneto Carducci, proprio all’inizio della via dei cipressi del poeta, che prevedeva un posto di ristoro con servizi igienici, bancarelle, un parcheggio di auto. Fortunatamente l’opposizione di molte persone intelligenti (qualcuna se ne trova ancora), fra cui alcuni intellettuali credo lo abbia impedito. Chi si è recato in quel viale conosce la magia del luogo e sa cosa avrebbe significato una realizzazione del genere.
Bisogna renderci conto che oggi, con il facile accesso da parte della abbiente civiltà occidentale alle più ardite possibilità tecnologiche, i posti più preziosi sono quelli in cui si riesce a regolamentare l’accesso, dove si limita, anche se non si impedisce, l’arrivo in massa dell’uomo.
L’uomo porta un po’ di denaro, qualche vantaggio economico immediato, ma porta anche, oltre a inquinamento e rifiuti, anche alla perdita di valore del luogo.
Che valore turistico avrebbero quelle belle e deserte spiagge delle isole tropicali che si vedono talvolta in TV se invece di apparire così affascinanti apparissero piene di ombrelloni, sdraie, confusione, venditori ambulanti, cinesi per massaggi, cocco bello, e italiani in vacanza con la radiolina a tutto volume e la partita di pallone sul battito?
Chi riuscirà ad imporre queste limitazioni e difendere il proprio territorio ne vedrà accrescerne il valore negli anni conservandolo in eterno per sè e per i propri figli.”
E’ un articolo che ho scritto sulla Voce del Serchio nell’estate del 2008, non ricordo se stimolato già dalla vicenda Ikea. Sicuramente però ispirato dai libri di un grandissimo personaggio e scrittore italiano, Tiziano Terzani, testimone, nei suoi lunghi peregrinaggi per il mondo, dei mutamenti e dei danni avvenuti nei luoghi e nelle popolazioni indigene dall’arrivo e dal contatto con estranei molto diversi da loro e dal loro modo di vivere.
Sono solitamente turisti occidentali con i loro cappellini e le loro macchinette fotografiche, un contrasto netto fra il loro comportamento, la loro tecnologia e la primitività del luogo. Luogo e popolazione che vengono completamente stravolti da un cambiamento di abitudini e di prospettive che avviene in pochi anni in maniera forzata invece che in qualche secolo in maniera naturale.
E’ una delle conseguenze del progresso, della tecnologia, capace di spostare centinaia e migliaia di persone con grande facilità da un capo all’atro del mondo, una moltitudine di turisti capaci di raggiungere oramai con estrema facilità luoghi talmente sperduti che soltanto qualche decennio fa erano inavvicinabili per lo spreco di tempo e fatica che tale viaggio avrebbe comportato.
Terzani vedeva questi turisti, molto spesso superficiali, frettolosi e chiassosi come una vera piaga per questi luoghi solitari, queste alcove primitive di pace e di silenzio che venivano con questa invasione private della loro magia, della loro sacralità acquisita da secoli o millenni di isolamento.
La trasformazione dei luoghi e delle persone può avvenire anche se gli invasori sono semplicemente rappresentati da folle di consumatori. E’ il pericolo che corre la piccola comunità di Migliarino, su cui incombe il flagello del tanto chiacchierato Centro Commerciale.
Non posso e non voglio entrare nel merito politico della scelta ma se lo guardo dal punto di vista culturale non posso che prendere una posizione decisamente contraria. Il paese è infatti inserito in un contesto agricolo, un piccolo paese di provincia dove la vita dei cittadini è rimasta praticamente inalterata da decenni, dove esiste ancora una comunità, dove ci sono lodevoli tentativi di mantenere viva una certa identità. Scegliere la strada dello sviluppo commerciale, apparentemente illogica considerando il contesto ambientale (aree agricole, bosco, Parco naturale, mare), comporterebbe anche un deciso cambiamento nella vita dei cittadini del paese. Credo che tutta la comunità vecchianese ne rimarrebbe irrimediabilmente coinvolta ma soprattutto la frazione a ridosso ne sarebbe distrutta.
Un accenno di questo cambiamento, una prima causa che deriva dalla possibilità della realizzazione di questo insediamento commerciale, lo abbiamo già sotto gli occhi: l’innalzamento dei toni di questa campagna elettorale per le prossime elezioni amministrative. Toni molto più accesi, una polemica specialmente politica più forte tanto che si sfiora spesso la rissa verbale anche nel forum di questo giornale, c’è indubbiamente un maggiore tasso di aggressività.
La gente sta mostrando il suo lato peggiore.
Come in “XY” un libro recente di Sandro Veronesi quando improvvisamente un strano, assurdo e misterioso eccidio avviene nel bosco dello sperduto paesino di San Giuda nelle alpi trentine. Undici corpi sotto un albero ghiacciato tinto dal sangue rosso dei cadaveri. Morti inspiegabili e diverse, ognuno ucciso con una diversa modalità. E quella comunità prima coesa, unità, che fondava la sua stessa sopravvivenza sulla concordia, l’aiuto reciproco, il disinteresse, l’amore e la fede improvvisamente impazzisce. Alcuni se ne vanno lasciando parenti bisognosi, rinascono antiche faide, ricompaiono antichi rancori, dolori quiescenti da anni riaffiorano con tutta la loro forza distruttiva, la violenza bandita da anni torna a farsi prepotentemente sentire. E’ come se quelle morti misteriose, quell’albero rosso di sangue, fossero il Male che si è impossessato della gente dei quel paese.
Forse è un po’ quello che sta succedendo anche qui da noi. In misura certamente minore me è come se sopra la nostra testa, da qualche tempo a questa parte, aleggi questa Cosa ancora indefinita, incerta, vaga ma potente, che sta condizionando, in maniera sensibile, tutte le nostre azioni, le nostre relazioni, tutta la vita pubblica e privata della comunità di Vecchiano.
“BUON COMPLEANNO, VASILIJUK” (28.10.2008)
Vasilijuk aveva diciott’anni e quello era il giorno forse più importante della sua vita.
Non doveva partecipare a Roma al ballo delle debuttanti e l’emozione non era quella delle ragazzine di buona famiglia che partecipavano a questa festa molto esclusiva rivestita, forse per pudore, di una sottile vernice di solidarietà, ma quella di un ragazzo che sapeva che quel giorno, il 22 settembre, avrebbe deciso il suo futuro. Il suo futuro di uomo e di lavoratore perché quello era il suo primo giorno di lavoro.
In Ucraina la miseria ti resta attaccata addosso e mamma Olga a
veva dovuto aspettare due anni prima che il marito Victor, fra un cantiere e l’altro, fra lavori saltuari e talvolta mal pagati arrivasse a scrivere finalmente la lettera che la chiamava in Italia. E Olga era arrivata, con l’inquietudine di arrivare in un paese nuovo e sconosciuto ma con l’entusiasmo di chi vede la prospettiva di un futuro migliore, e aveva trovato subito un lavoro in alcune famiglie, facendo quelle cose che oramai in occidente non vuole fare più nessuno. La famiglia si era sistemata a Murano ed ora, dopo altri due anni di sacrifici, finalmente la famiglia poteva riunirsi di nuovo con l’arrivo di Vasilijuk, il figlio più piccolo.
A Murano il lavoro rimane nelle fabbriche delle “conterie”, quei minuscoli pezzi di vetro colorati con cui si fanno collane, addobbi, tende. Quelle piccole perline colorate che si esportano in tutto il mondo e che riescono ancora a dare occupazione su questa piccola isola della laguna veneziana.
Vasilijuk aveva già organizzato una festa con i suoi nuovi amici ucraini ed italiani per festeggiare questo suo ingresso nel mondo del lavoro, per celebrare questa speranza di una vita migliore qui, in Italia, assieme alla sua famiglia.
A Murano, una minuscola isola della laguna veneta ma famosa per i suoi abili artigiani del vetro, cominciano ad arrivare anche molti turisti ed accanto ai forni e alle botteghe si cominciano a costruire strutture turistiche di accoglienza ed anche grandi alberghi.
Per questo era stato assunto Vasiljuk e il suo primo lavoro era lo scavo di un fossato profondo sotto un grande muro per consolidarne le fondamenta. Serviva per la costruzione di un grande albergo, un lavoro semplice che si può affidare anche un giovane non esperto ma entusiasta il suo primo giorno di lavoro, primo giorno di lavoro che fatalmente ha coinciso con l’ultimo della sua vita.
Perché c’è fretta, l’albergo a cinque stelle delle Conterie non può aspettare, siamo in ritardo sui lavori, gli inviti per l’inaugurazione sono già stampati, non c’è tempo per puntellare tutto quanto, per metter in sicurezza, tanto “cosa vuoi che succeda”.
Ed ecco l’incidente, Vasiliuk stupito nella fossa si vede sommergere da una valanga di mattoni, avvolgere in una nuvola di polvere. Il suo primo giorno di lavoro, la sua tragica morte.
Un incidente sul lavoro, così vengono definite queste tragedie che colpiscono con tanta frequenza il nostro paese. Episodi imprevisti, improvvisi che in un attimo trascinano via vite, speranze, affetti. Persone che improvvisamente, in un attimo, smettono di esserlo e diventano numeri, unità, a volte nemmeno nomi ma solo vicende, episodi sfortunati, semplici elementi da statistica, un modo per celare il dolore, per sopire la nostra responsabilità.
Ma dietro a Vasiljuk e a tutti quelli come lui, c’è il dolore delle famiglie, la speranza tradita, la sconfitta di una nazione che non riesce a proteggere chi offre il proprio lavoro per il benessere di tutti, che non sa uscire da questa spirale perversa dei morti sul lavoro, una piaga infinita a cui non sembra esserci mai fine e a cui proprio gli immigrati pagano il prezzo maggiore.
Don Nandino Capovilla, parroco dell’isola di Murano, isola che lui definisce fisiologicamente e pericolosamente isolata dal mondo, ha ricevuto l’invito in pergamena all’inaugurazione del grande albergo con stampati in rilievo i loghi di tutte le imprese edili. Lo aspettano per l’inaugurazione e la benedizione del grande edificio ma lui ha dichiarato che non andrà. Nell’occasione andrà invece a trovare la famiglia Vitalij, il babbo e la mamma di Vasilijuk, una di quelle famiglie di immigrati che non vengono nel nostro paese per rubare o spacciare droga come ci vuole far credere un certo tipo di propaganda razzista, ma solo per cercare per i loro figli una vita almeno dignitosa, in fuga dal destino di miseria materiale e morale a cui la nascita in certi luoghi purtroppo ti condanna.
In questi giorni è alle battute finali il processo che vede indagati i vari responsabili delle ditte costruttrici, processo che si trascina fra scarichi di responsabilità, rimpalli di competenze, cavilli burocratici, con la verità e la giustizia che trovano fatica a farsi strada.
Lui avrebbe compiuto venti anni proprio in questi giorni: buon compleanno Vasilijuk!
FOTO: Festa dello Sport alla Conchiglia con il calciatore Morini