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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Unioni comunali PD San Giuliano Terme e Vecchiano
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di Mario Lavia-per Il Riformista
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Di Andrea Paganelli
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di Paolo Pombeni
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Giovanni Russo per: Unione Comunale PD Cascina
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
Il Diario di Trilussa
Una vita da Maestro-Shopping

31/8/2018 - 17:19



Il Diario di Trilussa
Era il 2007, l’anno della nascita del giornale, e Trilussa pubblicava i primi articoli di fondo. Sono prima della crisi economica, del problema grave dell’immigrazione, della chiusura delle frontiere in Europa, della crisi della Grecia. Sono vicini nel tempo ma sembrano lontani per il modo di affrontare i problemi, che in gran parte sono rimasti i soliti, alcuni in parte risolti, molti ancori insoluti se non peggiorati. Alcuni si riferiscono a casi di cronaca del tempo, ma sembrano mantenere una loro validità riguardando comunque problemi di ordine generale.


Gli articoli vengono pubblicati come furono scritti, con i segni grafici necessaria all’impaginazione. Il giornale era appena nato, aveva suscitato molta curiosità ma aveva ancora poche visite e molta incertezza sul suo futuro. Anche con questi intendiamo celebrarne i dieci anni di vita.
 
Presentazione
Due interessanti articoli sempre del 2008.
Il primo “Una vita da maestro” è un omaggio alla grande figura di maestro, pedagogista e scrittore Mario Lodi, scomparso pochi anni fa. Attraverso la sua professione e i suoi scritti indica quale dovrebbe essere una scuola che forma cittadini responsabili prima che studenti e mette in guardia gli insegnanti sul pericolo già evidente di quella “realtà virtuale” capace di fornire strumenti ed esempi negativi.


In “Shopping” si mette in evidenza, con un esempio paradigmatico e irritante, il divario economico e sociale che si stava creando in quell’anno in Italia a causa della crisi finanziaria globale. Stupisce soprattutto la mancanza di vergogna, o almeno pudore, nel manifestare in maniera tanto sfacciata e ostentata la propria ricchezza. Senza un minimo di partecipazione per i tanti cittadini in difficoltà. Spaventa questo mondo parallelo, dove alcuni sentimenti non trovano posto, occupati da ben altri interessi e senza un minimo di sensibilità sociale.


<b>UNA VITA DA MAESTRO</b><br><br> (2.12.2008)
 
«Sono stato in una classe poco tempo fa, ho chiesto ai bambini cosa sognassero di fare, uno mi ha risposto 'il miliardario', ovviamente in euro, 'così mi compro due belle ragazze e due macchine'. Gli altri ne hanno fatto subito un leader. Nel 'mi compro' c'è un'idea di mondo. Se vogliamo una speranza come scuola dobbiamo inventarci un sistema per fermare questo mercato. Non so se l'idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo, poi magari alla fine scopriremo che non vale, ma almeno proviamo».<br><br>
 
E’ una frase di un vecchio insegnante, vecchio davvero perché <b>Mario Lodi</b> è del 1922.<br>
 Ha iniziato la sua attività di insegnante elementare nel 1940 ed è andato in pensione dopo quasi 40 anni di attività. E' anche autore di numerosi saggi sulle sue esperienze pedagogiche, oltre che di numerosi racconti per bambini scritti insieme ai suoi studenti, fra cui Bandiera, La Mongolfiera e l'ormai leggendario Cipì. Nel 1977 ha ricevuto il Premio Viareggio per “Il paese sbagliato” e nel 1989 il Premio Lego - nonchè la laurea honoris causa in pedagogia dall'Università di Bologna.<br>
Lodi si è sempre occupato di bambini, da quando il primo giorno di insegnamento, ai tempi in cui il maestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l'autorità del paese, è sceso dalla cattedra e si è messo seduto su una sedia insieme a loro, per essere alla loro altezza rifiutando, già da allora il concetto di una scuola autoritaria, come era appunto quella del suo tempo.<br>
Ora però il nemico è diverso ed è rappresentato da quella TV e computer che sradicano sempre di più i bambini dalla vita reale per proiettarli in un mondo virtuale, che oltretutto loro non sanno ben distinguere, e che li spinge sempre di più a credere che l’avere conti di più dell’essere e del sapere.<br><br>
 
Lodi spiega ai bambini che in una conversazione uno ascolta l’altro, che parla lentamente, e poi risponde mentre la televisione parla velocemente, senza attendere risposte, perché deve vendere, c’è la pubblicità, l’Auditel e non vuole e non ha tempo di ascoltare cosa l’altro abbia da dire. Cerca di spiegare loro questa differenza e afferma con convinzione che in realtà i bambini sono in grado di ascoltare con attenzione quello che i grandi dicono e sono già in grado di interpretare la realtà anche se molto piccoli. Infatti quando disegnano, anche in tenerissima età, non sbagliano e mettono la terra in basso facendo una riga orizzontale e il cielo in alto. E’ quello che sta in mezzo che devono ancora riempire. E’ questo il grande compito dell’insegnante e Mario, una volta sceso dalla cattedra e messosi su una sedia,  parte dalla costituzione: “Non per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può accontentarsi di leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili”.<br><br>
 
L’idea fondamentale di Mario Lodi è trasformare l’aula in una specie di piccolo stato partendo dal concetto che i bambini che arrivano in classe hanno già un sapere, che non va sottovalutato, ma da cui bisogna partire per replicare il metodo con cui lo hanno appreso. <br>
Il primo obbiettivo è quindi creare delle regole condivise da entrambi e stabilire, ad esempio, i metodi con cui parlare ed ascoltare. Poi il primo compito che è quello di abbellire la classe, di renderla più accogliente attraverso il contributo di tutti, perché così diventa casa e la si rispetta, un primo piccolo passo verso l’educazione ed il rispetto degli altri e della cosa pubblica: il miglior antidoto verso il vandalismo.<br><br>
 
«Quando si ragiona di cambiare la scuola», continua Lodi «lo si fa sempre partendo da un'idea astratta e quando si insegna si tende a farlo dall'alto. Invece io credo che si impari meglio se un maestro parte dal basso, dal punto di vista del bambino, creando continuità con il suo apprendere prima della scuola. Perchè funzioni serve una costante comunicazione con le famiglie, ma è meno difficile di come sembra: se quel che si fa a scuola si traduce ogni 15 giorni in un giornalino le informazioni passano».<br><br>
E’ lo stesso concetto del “fare insieme” di don Lorenzo Milani ed infatti c’è stato uno scambio continuo di lettere fra i due insegnanti, così simili nel mettere il bambino al centro di tutta l’opera educativa.<br>
Sul maestro unico Lodi usa il ragionamento più logico e distante dalle varie strumentalizzazioni politiche e dice che non fa differenza se sono uno o tanti ma conta molto come sono, la loro qualità più che la loro quantità. Lo stesso sul tempo pieno, utile se serve per educare e formare, inutile se rappresenta solo un parcheggio.<br><br>
 
Nell’intervista poi affronta il problema dei nuovi media. <br>
Prima dell’arrivo della televisione i bambini vivevano in un mondo reale da cui traevano gli elementi per la loro formazione. Ora si trovano davanti due mondi, quello reale e quello virtuale della Tv e di Internet. Naturalmente non si può rifiutare quello virtuale ma non bisogna permettere che i bambini abbandonino completamente l’osservazione del mondo reale che li circonda, l’osservazione diretta delle persone, dell’ambiente.<br>
Bisogna metterli in guardia, dice sempre Mari Lodi, che la realtà non è così violenta come appare alla Tv, che i violenti sono solo una minoranza e che loro sono la speranza, loro debbono reagire perché solo i giovani sono in grado di cambiare il mondo.<br>
Debbono cioè imparare che il linguaggio della televisione è diverso dal linguaggio reale, quello che
noi usiamo per comunicare. Bisogna insegnare loro che la televisione, Internet e i nuovi mezzi di comunicazione sono importanti per quello che ci possono dare, ma che ci trasmettono anche cose negative che noi dobbiamo conoscere. I bambini ci ascoltano, dice Mario Lodi, un vecchio insegnante di 86 anni con le idee molto chiare, e attentamente anche, basta saper usare le parole giuste.<br>
<b>Trilussa</b> 
( Mario Lodi è scomparso il 2 marzo 2014-ndr)
 
 
<B>SHOPPING</B><br><br> (12 12 2008)
 
Ieri in televisione è passato un servizio giornalistico da New York.<br>
Città enorme, traffico caotico, milioni di persone che fanno fatica per non urtarsi sui marciapiedi, moltissimi col telefonino all’orecchio per paura di perdere l’attimo, o forse per giocare a sentirsi meno soli in un mondo di comunicazione globale ma di solitudine personale.<br>
Il giornalista incrocia due signore italiane, cariche di pacchi e pacchini, un accento del nord italia, sorridenti e soddisfatte. Alla domanda del giornalista rispondono di essere venute a New York per lo shopping, appositamente per quello e una aggiunge, leggiadra, di aver visto tante di quelle cose così carine che confessa “ho comprato mezza New York, soprattutto quello che non c’è in Italia!”<br>
Devo ammettere che la cosa mi ha colpito. Non per la vista di un ricco che compra con il suo legittimo denaro quello che gli piace, e nemmeno il fatto che queste signore abbiano preso l’aereo e siano andate in America solo per fare delle compere, no, la cosa che mi ha colpito è la faccia tosta, la mancanza di vergogna, o almeno del riserbo di fare una cosa così sfacciatamente da ricchi mentre tutto il resto del paese si arrovella per tirare a campare. L’assoluta indifferenza di queste due signore, perché non saprei come altro definirla, alle condizioni di sofferenza o per lo meno di difficoltà di milioni dei propri concittadini che imporrebbe loro almeno una certa riservatezza, un certo pudore nella dimostrazione del proprio benessere, della propria sfacciata ricchezza. <br>
 
Non voglio dire che abbiano fatto qualcosa di male nella loro “scappatella” a New York per fare le spese natalizie, né voglio addentrarmi nel giudizio, sempre parziale per un osservatore esterno, della scala di valori di queste due signore. Tuttavia questa ostentazione mi è apparsa un po’ fuori luogo, una cosa che a me verrebbe di fare forse un po’ di nascosto, vergognandomi anche un pochettino per la dimostrazione sorridente del mio benessere, della mia agiatezza, della mia condizione economica che mi pone al riparo dalle difficoltà del paese. <br>
Perché è indubbia e palese la difficoltà in cui si trovano, in questo momento di crisi, i giovani precari, i lavoratori delle fabbriche che chiudono, i risparmiatori truffati, i pensionati che fanno la fila per la Social Card, i disoccupati che vedono allontanarsi sempre di più la possibilità di una loro occupazione, trascinata via dalla crisi mondiale che ha investito il mondo del lavoro.<br>
 
E’ un’altra Italia probabilmente, forse quella della “Milano da bere”, delle sfilate di moda, quella della prima della Scala che abbiamo visto a striscia la notizia. E’ un’altra stranezza del nostro paese quella di lasciare le inchieste giornalistiche più interessanti alle trasmissioni di intrattenimento. <br>


Lo spettacolo è quello di sempre: autorità, sorrisi e sorrisetti, abbondanza di silicone, battutine infantili, gioielli, coppie fortemente disarmoniche (per usare un eufemismo), apparenza. Basta.
Spese enormi per l’allestimento della Prima, applausi e fischi ma qui non si capisce bene se fischiavano quelli che se ne intendevano e applaudivano gli altri o viceversa, e la domanda che viene spontanea è qual è la vera Italia.<br>


Quella dello shopping a New York e questa dell’apparenza, dello sfarzo, della cultura ma solo per pochi o quella degli operai in lotta, degli studenti che tirano uova e pomodori al segretario personale del Presidente, degli operai della Lucchini di Piombino o della Eaton o della Dalmine che non sanno quale sarà il futuro loro e delle loro famiglie?<br>


Difficile rispondere o meglio è facile: sono tutte e due Italia. <br>
Sono entrambe il risultato dell’acuirsi del divario fra i ricchi che sono diventati sempre più ricchi (solo un po’ meno a causa delle Borse, ma tirano avanti!) ed i poveri che sono diventati e stanno diventando sempre più poveri. Una tendenza che appare inarrestabile e che nemmeno il momentaneo e breve (ma forse sufficiente) governo del centro sinistra è riuscito a mitigare, forse nemmeno a scalfire in pratica dopo i ripetuti ed ossessivi teorici annunci di cambiamento e di rigore morale.<br>
Aggiungo a questi ricordi recenti uno più antico di un servizio, mi pare di Report, che intervistava una madre con indosso un vistoso e vaporoso accappatoio bianco comodamente seduta su un divano in una sauna esclusiva di una grande città del Nord. Forse qualcuno se lo ricorda, la signora parlava di quanto costava il mantenimento del suo unico figlio: 100.000 euro l’anno! Sa, diceva la signora, c’è la scuola privata, la scuola di ippica, il corso di inglese, sa oggi non si può mica non sapere la lingua, il corso di chitarra classica e poi i vestiti, i regali.<br>


La signora si sentiva tranquillamente a sua agio in questa mattinata lavorativa che lei trascorreva in un club esclusivo, non si vergognava dell’intervista, non aveva timore alcuno né titubanza morale a comunicare la cifra enorme spesa per il figlio, una cifra che avrà fatto spalancare gli occhi a chi ascoltava e sapeva di guadagnare un quarto o anche meno dei centomila euro in un intero anno di lavoro in fabbrica. Senza il minimo accenno non dico di comprensione, un sentimento molto personale, ma nemmeno di un po’ di vergogna, di pudore, di riserbo, di semplice decenza. <br>


Io non faccio parte di questo mondo, e ne ringrazio mio padre che mi ha cresciuto povero, come diceva Benigni, ma queste cose mi amareggiano e, pensandoci bene, mi fanno anche un po’ paura.<br>
<b>Trilussa</b>

 

FOTO. Beppino al tiro

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