Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
ZETA 69
Zeta, in greco: è vivo, nasce; 69 l’anno della fondazione.
Ogni generazione ha il suo periodo di entusiasmo per la vita, per il proprio futuro, per il futuro della nazione o dell’intera umanità. Sono sogni giovanili, fatti con l’ardore proprio di questa meravigliosa età in cui tutto sembra possibile e a volte anche l’impossibile sembra a portata di mano.
Chi aveva fondato il CIGM era nato nei primi anni 40, il club Z 69 fu fondato da quelli che erano nati poco dopo, intorno al 1950. Nel 1969 avevano infatti 19 anni, l’età migliore per i sogni ed ancora con l’energia necessaria per tentare di realizzarli.
Gli anni erano quelli cruciali, quelli della svolta nel modo di pensare e di agire della società, gli anni delle lotte operaie e della nascita dello Statuto dei Lavoratori, delle contestazioni studentesche, degli albori della lotta armata delle Brigate Rosse, un momento di grande fervore politico e culturale in tutto il paese ed in tutta Europa.
A Migliarino la situazione era stazionaria da molto tempo: i Comunisti (o comunque tutti coloro che si riconoscevano nelle idee della sinistra) si ritrovavano alla Casa del Popolo, struttura che aveva perduto col tempo il significato originario di casa di tutti per diventare la casa di pochi: i comunisti appunto.
Era il tempo oscuro, per fare un esempio, in cui i lavoratori del Campo Derbi (Camp Darby) non potevano frequentare i locali del Teatro ed erano addirittura costretti a cambiare marciapiede, quando vi dovevano transitare davanti, per non correre il rischio di essere segnalati alla stazione dei Carabinieri. Si diceva che alla locale stazione esistesse una pratica aperta per ciascuno di loro in quanto lavoratori aventi accesso al campo americano, e quindi un potenziale pericolo “rosso” per la sicurezza della base. Non so se ciò corrisponde a realtà, so però che la paura di questi lavoratori di perdere il posto era davvero reale.
Dalla parte di qua del viadotto abitavano gli operai e gli impiegati che la mattina prendevano il pulman o il treno per andare in città al lavoro ed erano di sinistra, permeati da idee progressiste, talvolta rivoluzionarie. Di là dal viadotto i contadini, i dipendenti dal Duca Salviati, dalla Chiesa e dalle Suore ed erano democristiani, conservatori, nemici giurati dei comunisti.
Le cose sembravano consolidate così, immobili, da tempo immemorabile.
Gli anni dal ‘60 al ‘70 dettero un grande scossone a questa realtà che sembrava immutabile e i democristiani si accorsero, con loro grande sorpresa, che poi i comunisti non erano così cattivi come loro pensavano, e dal canto loro questi ultimi dovettero ammettere che in molte cose i democristiani non avevano tutti i torti.
Lo scenario cambiò radicalmente e rapidamente ed uno dei meriti del Club Z 69 fu proprio quello di mettere queste due anime giovanili a confronto, fianco a fianco, con quello scambio di idee che è il pane della democrazia. Il Club portò al Teatro del Popolo ragazzi e ragazze che non ci avevano mai messo piede, furono aperte discussioni su argomenti che nessuno prima mai aveva affrontato, si stabilirono legami, anche affettivi, fra persone di estrazione completamente diversa, che mai avrebbero pensato di poter avere degli ideali comuni.
Che poi il Club abbia assunto, od abbia in parte sempre avuto, anche un aspetto goliardico con finalità di incontro fra i sessi, non toglie valore a questa lodevole iniziativa.
Fu eletto un Presidente, fu stampato al ciclostile un giornalino settimanale che prese il nome di “La Supposta” perché, come suggerì qualcuno “andava in culo a tutti”, fu trovata anche una sede stabile in quella grande casa sulla golena del Serchio, davanti alla Chiesa.
La casa fu arredata in maniera molto originale su disegni dello Schiavone (il Bianchi Giovanni) a cui l’ingegno artistico non faceva difetto che ideò un bancone-bar all’ingresso ondulato (la cui realizzazione artigianale creò seri problemi) dove si servivano i “drinks” e si mettevano i dischi di vinile. Nell’angolo sedili rivestiti di pelle rossa con appoggio a muro (scomodi, ma d’effetto) e lucine d’atmosfera. La musica si poteva ascoltare anche nella sala da ballo superiore. Era la camera grande della casa ed era illuminata da una serie di piccole luci attaccate ad una consolle centrale in cui si trovavano anche due capaci altoparlanti. La struttura era di vile truciolato ma impreziosito da un prolungamento di stoffa (balla, o juta se si preferisce) che giungeva fino alle pareti con un effetto davvero raffinato. La stanza inferiore, più piccola, era stata dipinta a strisce verticali con diverse tonalità di blu e arredata con poltrone gonfiabili di plastica (non durarono a lungo).
In questo ambiente furono organizzate alcune feste da ballo e sbocciarono anche molti amori.
Mi piace ricordare che proprio in una di queste occasioni avvenne l’incontro fra Carlo del Luperini, detto Rososo, uno dei “Figli dei fiori” insieme con Lalo del Bargagna, e la sua futura consorte Roberta Mattii di Nodica, sorella del famoso e sfortunato Enzo. Altri incontri non ebbero la stessa buona sorte come quello fra il Ghiaccio (oramai felice nonno a Massa) ed una cara amica ora dottoressa (brava e conosciuta specialista in oculistica).
C’era anche un cane, una docile e tranquilla pastora tedesca, un disgraziato e incapace animale che fu capace di schiacciare col suo peso addirittura i figli appena nati.
Fu una stagione felice, vissuta fra momenti di disimpegno e altri di grande fervore politico, allietata dalle musiche dei Beatles, degli Stones e degli altri gruppi che hanno fatto la storia del rock del nostro secolo e noi avemmo la fortuna di viverla nel momento migliore della nostra vita.
Tutte le cose passano, ed anche il Club 69 passò, si andò pian piano trasformando solo in un’occasione di incontro fra ragazzi perdendo la sua spinta iniziale di crogiuolo di idee e di discussione. Una piena del Serchio, invadendo e rovinando la sede, si portò via anche l’idea della costruzione di un mondo migliore lasciando però in tutti noi l’orgoglio di avere partecipato attivamente, anche se per una parte infinitesima, a questo straordinario momento storico di trasformazione della nostra società che ha rappresentato, nel nostro paese, il ’68.
ZIBIDEI o ZEBEDEI
Lett: ZEBEDEI.
Oltre a Giacomo e Giovanni, apostoli, figli di un tale Zebedeo, il vocabolario riporta un curioso “rompere gli zebidei” traducendolo con un eufemistico [rompere i corbelli] avente il significato di seccare, annoiare.
Questo è anche il significato dialettale che indica i genitali maschili senza volgarità, in maniera asettica e scherzosa.
ZIZZOLA
Lett: ZIZZOLA. [Giuggiola].
In lucchesia significava un grosso pesce: ”T’ho preso una zizzola!”, da noi la stessa frase voleva dire invece che avevi preso una malattia.
Usato al plurale, zizzole, è un modo di dire che evidenziava un momento di grande freddo:
“che zizzole stamani!” ad indicare proprio una giornata molto fredda e ventosa.
ZOCCOLI A SCARPA
Lett: ZOCCOLI. [Scarpa col fondo di legno che si adopera da contadini e nelle scuderie e nelle lavande di bordo per sollevarsi dagl’imbratti e dal bagnato].
La definizione italiana dello zoccolo è corretta: un fondo di legno, piuttosto spesso che era di solito di ontano ma anche di pero o pioppo, ed una tomaia di cuoio al di sopra.
Chiamati anche zoccoloni si utilizzavano perché proteggevano bene, con l’altezza della loro suola, dal fango delle strade e dagli “imbratti” delle stalle. Quelli che conosciamo ora sono aperti, di tipo estivo, chiamati “zoccoli a pianella” ma un tempo erano chiusi e si usavano anche in inverno.
Al di sotto spesso si applicavano delle solette di gomma, sempre in maniera artigianale, tagliandole magari da un vecchio fascione, che avevano un doppio scopo: risparmiare il legno della suola e ridurre il rumore della battuta dello zoccolo sul terreno. Questo rumore, abbastanza evidente, era di diversa tonalità a seconda del legno con cui era fatto lo zoccolo, ma cambiava anche da come si portava il passo, talvolta riuscendo a diventare davvero caratteristico.
Chi ha udito il rumore degli zoccoli a pianella del Vitello sa perfettamente a cosa mi riferisco. Questo personaggio, purtroppo scomparso, avvertiva con il rumore degli zoccoli fin dalla partenza da casa gli amici del Teatro del suo imminente arrivo.
Sotto la suola nella versione invernale, chiusa per riparare anche dal freddo, spesso erano piantati dei particolari chiodi, muniti di una grande capocchia che faceva spessore, con lo scopo sempre di risparmiare il consumo del legno. Talvolta i chiodi erano sostituiti da piastrine di ferro a forma di mezzaluna che si applicavano in cima ed in fondo alla suola. Erano molto scomodi e rumorosi ma facevano un’ottima presa sul terreno fangoso ed accidentato, in altre parole la maggior parte delle strade e delle corti di quegli anni.
Il diverso rumore che facevano queste strane calzature, un tempo diffusissime, aveva fatto coniare per loro anche il nome di violini, come se fossero uno strumento che riesce a dare tante note diverse.
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Il Rososo e Manetta