Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
II pane secco
Una volta i poveri dovevano comportarsi da poveri...
Dovevano mangiare il pane nero e all’occorrenza anche secco, e il companatico, se c’era, doveva essere per forza una sardina o una aringa, magari con una fetta di polenta.
Dovevano vestire abiti rammendati e portare scarpe alte, di vacchetta, invecchiate dalla sugna. La povertà nei paesi agricoli abbracciava specialmente le persone anziane, gli inabili, i disoccupati e i vagabondi. I contadini, anche se poveri, erano i più fortunati tra i poveri, avendo almeno il necessario pcr sfamarsi.
La povertà, allora, era uno stato di vita e per alcuni un mestiere, per altri un vizio.
Di poveri, di tal genere, al mio paese c’era Laurina, una vecchietta arzilla, svelta, furbacchiona. Vestita con una gonnella nera, lunga e pillaccherosa, precipitava parole e gesti senza misura.
Passava le sue giornate nell’accattonaggio alle case dei contadini.
Partiva, cantando di buon mattino, con una saccoccia legata alla vita e con un bastone per appoggiarsi.
Si fermava alle case dei contadini chiedendo un pezzo di pane in cambio di un rosario da recitare per i defunti.
E quando la saccoccia era colma di pane, se ne ritornava canticchiando verso casa.
Nel ritorno doveva attraversare un ponticello di un torrente e si dice che, giunta nel bel mezzo del ponte, Laurina si fermasse e facesse la cernita del pane raccolto.
Quello nero e secco lo gettava nell’acqua del torrente accompagnandolo con queste rituali parole: <<Accidenti a te e a chi me l’ha dato...>>.
Alla sera, al rientro, Laurina si ritrovava con una ventina di rosari da recitare.
Ma non si perdeva d’animo: povera sì, ma onesta!
Sui tardi, nella penombra della chiesa, si inginocchiava nell’ultima panca e, piamente, in quattro e quattr’otto recitava i rosari promessi.
Una sera che potei seguirla mentre sulla corona bisunta snocciolava svelta svelta, i grani del rosario, mi avvicinai e le chiesi:
"Ma come fate, Laurina, a recitare cosi in breve tempo tanti rosari?".
E lei candidamente:
"Bene, guà... ad ogni grano della corona dico:
-Gesù..., Giuseppe... e Maria, Gesù..., Giuseppe... e Maria... e quando arrivo al grano più grosso... vi dono il cuore e l’anima mia".
"Ma Laurina, osservai, cosi non e dire il rosario!".
E lei di rincalzo, piamente convinta:
"Pecché, pecché o’ un ci sono tutti e tre... no!".
(I tre erano Gesù, Giuseppe e Maria).
E cosi furbizia e candore, ingenuità e opportunità, si mescolavano alla fede e alla miseria.
Tratto da “Toscana contadina” di Evaldo Cacelli. Lucio Pugliese edit. (FI) 2001