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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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L'onda che dal mare
alla prima sabbia
piano si sgomitola,
mi attrae.
La osservo mentre
si rivolta e si schiuma
formando un'ansa
che mi inghiotte. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Il Popolo finalmente vede il mare.

21/10/2018 - 18:50

Dopo le indicazioni del gentile professore incontrato in treno, il nostro si avvicina finalmente al mare ed ecco le sue reazioni:

 

Continuava a guardare il mare, si vedeva una nave lontano e un’altra usciva dal porto con il comignolo nero dal fumo, c’era silenzio, solo il fruscio della risacca e qualche verso di gabbiano e lì, seduto su quell’asciugamano, lasciò andare la mente. Pensò alla nave lontana che forse andava in America e portava la gente in cerca di fortuna, come il suo cugino Beppino. Aveva chiesto anche a lui di partire, ma per lui la fortuna non erano i soldi e quello che aveva gli sembrava sufficiente. E poi tutto quello che desiderava era qui, intorno a lui, amava far le cose perbene e amava farle qui. I gabbiani continuavano a far brutti versi e gli interrompevano i pensieri, lui disse ad alta voce: “A casa mia ci sono le cicale. I gabbiani sono come le cicale: rompono i coglioni!” Ma mentre le cicale a urlargli si zittivano, i gabbiani continuarono a fare i loro versi. Che quegli uccelli fossero peggio delle cicale lo meravigliò sul serio. Distolse lo sguardo dall’acqua e cominciò a guardare verso i monti. Non molto lontano c’erano le Alpi Apuane, nelle giornate limpide si potevano vedere sfocate anche da casa sua. Erano maestose con quella roccia chiara che si innalzava a piramide dalla vetta della Pania, dava un’idea di forza c di eleganza insieme, come stesse lì a guardia dcl mare. Si rituffò nei suoi pensieri restando li seduto. Tre o quattro giovanotti arrivarono sopra un patino e si fermarono vicino a lui. Cominciarono a far salti, capriole, tuffi, si allontanavano a nuoto e tornavano indietro. Gli fecero un po’ invidia. Lui al suo paese diceva che sapeva nuotare, ma non era troppo vero. Venne l’ora di lasciare la spiaggia, si vestì nascondendosi nell'asciugamano, ricontrollo i denari che erano sempre al solito posto e mosse verso la darsena e il porto. Vi erano molte barche ormeggiate, molti erano pescherecci, sopra di essi alcuni stavano raccogliendo e selezionando il pescato, altri rattoppavano i buchi nelle reti, facevano proprio dei rammendi come faceva sua sorella con ago e filo. Alcune cassette piene di pesce erano state scaricate sul molo. Erano pesci delle più strane forme e dimensioni, qualcuno era talmente brutto che sembrava impossibile poterlo mangiare.

“Ma si mangiano tutti?” domandò ad uno che si affaccendava lì vicino. “”Sicuro! Senno che si pescano a fare, andiamo fino in Corsica per pigliarli”.
“E loro vogliono che voi andate a pescarli là o non sono francesi?”
“In effetti s’incazzano, ma noi ci si va lo stesso, loro sono più contadini che pescatori e ne prendono pochi cosi, ce n’e tanto”.
“Non c’è grande comprensione tra contadini e marinai”.
“Ma loro del pesce che se ne fanno? Ce n’e tanto, sta lì e morirebbe di vecchiaia”.
“Già, cosi ci pensate voi a non farli invecchiare”.
“E proprio così, bravo”.
“E pensare che dicono del contadino che ha il cervello fino” disse e salutando andò oltre.
Poco più avanti c’era un bel veliero a due alberi, lo stavano lustrando dappertutto, gli dissero che apparteneva alla scuola di marina, dove insegnavano agli allievi a navigare.
“Nel frattempo imparano bene a pulire, bisogna cominciare dalle cose più semplici per imparare”
Vide una trattoria in fondo alla darsena, gli ricordò un po' quella dove era andato a Firenze. Ci entrò subito e volentieri, la pancia aveva cominciato a fargli glu glu, come sempre quando aveva fame.
“Accomodatevi, prego — gli dissero — mettetevi dove vi pare”.
“Ho fame, la pancia mi suona a vuoto”.
“Cercheremo di farla star zitta. Pesce immagino?”
“Con poche lische possibilmente. Sono poco avvezzo e mi danno noia”.
“Non siete il primo, vi si porta il cacciucco alla viareggina, i pesci con le lische sono stati passati. Vi piacerà”.
Gli portarono una terrina con dentro una pietanza di colore rosso, con sopra dei frutti di mare che già aveva visto prima in darsena e che la gente mangiava con abbondante limone strizzato sopra.
“Mi ero scordato del vino, me ne porti un litro bono”
“Bianco naturalmente!”
“E perché naturalmente?”
“Perché col pesce si beve il vino bianco”.
“Quello rosso è proibito?”
“Naturalmente si!”
“Allora prenderò quello bianco. Non credo di avere altra salvezza”.
Arrivò un bel litro di vino ben freddo, ne bevve subito un bicchiere, gli garbava. Chissà da dove veniva e quali erano le vigne.
“Non conosco il babbo e nemmeno la mamma di questo bianchetto, ma sono sicuramente brava gente”.
E giù un altro bicchiere, al secondo bicchiere cominciò a rilassarsi e a mangiare. Il cacciucco era piccante arrabbiato, un piccante diverso dal pepe, ne domandò spiegazioni, gli dissero che era la pimenta, il peperoncino insomma. Continuò a mangiare con certo sospetto, in fondo alla terrina c'era il pane agliato e quello gli piacque senza esitazioni, lo conosceva bene. Ogni tanto un bicchiere per smorzare il bruciore della pimenta. Ritornò il cameriere per l'ulteriore comanda, lui chiese se c’era del pollo che preferiva andare sul sicuro. Il pollo no, però c’era il baccala che lui mangiava tutti i venerdì. Fece un paragone quello della sua sorella era meglio. Mentre mangiava e beveva guardava i commensali attorno, soprattutto lo colpì una coppia di gente forestiera che si arrangiava con gli spaghetti. Capì che non li avevano mai visti ,o se li avevano visti proprio non ci avevano fatto amicizia. Avevano un grande tovagliolo a mo’ di bavaglio, il padrone cortese provava a insegnarli, ma i risultati erano deludenti. L’unica per loro, era inforchettarli, metterli in bocca e risucchiare, il suo0 si ammucchiava sulle labbra e poi inesorabile cadeva sul mento e sul tovagliolo.
“Così li mangiate anche sconditi. Il condimento casca tutto” gli disse il Popolo.
“Molto difficoltatico!” dissero loro ridendo.
“Se difficoltatico, che ho capito cosa vuol dire, allora conviene prendere roba più facilitatico da mangiare” disse cercando di farsi comprendere.
“Facilitatico cosa vuol dire?”
“È il contrario di quello che avete detto voi!”»
“Contrario?”
“Ho inteso, qui si fa le sette, fate un po’ voi, come meglio vi riesce”.
Si versò l'ultimo bicchiere, alzò il calice agli stranieri e disse: “Comunque... alla salute”.
“Prosit!” risposero gli altri.
Questo gli sembrò strano e lo fece riflettere. “Prosit" al suo paese si diceva a chi faceva un bel rutto; paese che vai usanza che trovi.
Prima di pagare andò in bagno non tanto per i bisogni, ma per tirare fuori i soldi dalla tasca interna, prese la giusta moneta e con il conto in mano andò a pagare alla cassa. Era rimasto quasi due ore nella trattoria: erano le tre e mezzo. Ritornò verso la spiaggia, si fermò nella pineta all'ombra. A largo il mare scintillava sotto la lama del sole, i contorni dell'orizzonte erano come sfumati in una nebbia di luce, i gabbiani non c’erano, solo silenzio e luce, tutto era immobile: un mondo in attesa, così lo vide lui e nell'attesa per passare il tempo si addormentò. Quando si svegliò aveva la bocca impastata e gli occhi abbottonati, quel vino era una fregatura: “Vino freddo scivola e non picca, ma lo senti poi”.

Erano le cinque, mosse verso la stazione dopo aver lanciato un ultimo sguardo al mare:

“Ciao mare, sei bello e senza fine, ma è bene che tu stia qui e io a casa mia con la terra sotto i piedi, che con l’acqua sotto mi sento preoccupato, siamo gente di vino e di vin santo, ma che acqua e acqua...”
Arrivò alla stazione e prese il primo treno che lo riportava al paese. Si senti sollevato quando cominciò a vedere le cose dalla sua usuale angolazione.
Quando arrivò al paese trovò un conoscente che gli domandò da dove veniva:

“Vengo da Viareggio, sono stato a vedere il mare, che sicuramente va visto, ma quando l'hai visto tornatene svelto a casa, che ti manca la terra da sotto i piedi”.
Disse e si affrettò verso casa, mentre la campana sonava le sette. La sorella lo aspettava già da un'ora guardando dalla finestra, la minestra era pronta e aveva voglia di farsi raccontare. Gli corse incontro lungo la stradina e fecero un pezzetto insieme, come quand'erano ragazzi e lui andava in qualche posto, che lei non aveva visto e voleva gli narrasse.
“Com'e? Allora com’è il mare?”
“Il mare è il mare, non si può raccontare, si può solo vedere e anche a vederlo non è facile da capire. E come dice il maestro, il mare è la fine della terra, immenso e tutto uguale, il pensiero ci scivola sopra e non si può fermare su un albero, un argine, una collina che non ci sono. È  una cosa senza riposo, si muove sempre e ci sono i pesci, che ho mangiato e non mi  son piaciuti, io sono un uomo della terra, anzi io sono la terra. L'ho visto volentieri, ma non ci torno più, il mare è per i pesci”.
“Ma mi sembri triste, che ti è successo qualcosa?”
“No, anzi, ho conosciuto un signore, insegnante a Firenze, con cui ho parlato e mi è piaciuto. Quando  andai a Firenze ebbi esperienza di tante cose, ed imparai molto. Ma col mare c’è solo da vedere, magari stupirsi... e poi si mangia male”.
“Allora ho capito qual è il problema. Si mangia male!”
“E si beve peggio”.
“Non ti crucciare, c’è la minestra di brodo di gallina, si taglia il prosciutto e ho preso il vino vecchio,  quello di tre anni, ti rimette in sesto”.
 “ll prosciutto m’é avanzato, la merenda non l’ho fatta, con quei pesci che non andavano né su né giù,  proprio brutti anche a vederli, meno male che non sei venuta, sei più furba di me”.
“Questo l’ho sempre pensato”.
“Pensato cosa?”
“Che sono più furba di te. Mettiamoci a tavola».
Il Popolo mangiò la minestra fatta col brodo di gallina che lo rimetteva al mondo, poi il prosciutto avanzato dalla gita, anzi ne affettarono altro e bevve  tutto il vino, che questo non gli avrebbe fatto male.
“O Popolo ne vorrei un po' anch'io!”
“Vai a prenderne un’altra bottiglia”.
Poi presero le seggiole e andarono fuori sull’aia, c’era la luna quasi piena e si era alzato un venticello fresco. Il chiurlo a tratti faceva il suo verso, l'estate andava verso la fine.
“Tutto ha una fine — disse il Popolo — meno il mare che non finisce mai e resta sempre uguale: ma che palle!”
“Hai detto una parolaccia”.
“Ho detto palle”.
“Palle è una parolaccia”.
E così andarono avanti per un po’, come da bambini. E il Popolo si rese conto che in fondo non cambiavano mai nemmeno loro.

 
 

 
 

     
Fonte: nel libro le frasi non sono sottolineate e neanche in corsivo, ma ho voluto evidenziare i sentimenti di chi non ha mai visto il mare. Sono di una tenerezza commovente, almeno per me.
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