Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
Entriamo in un argomento di attualità(?) con uno stralcio liberamente ripreso da "Pisa come, perché" a cura di Silvano Burgalassi e Anna Chimenti-Fiamma edito da Nistri-lischi (Pisa 1984).
Il volume ha per sottotitolo: "Esplorazione nella cultura del territorio" e tratta di molteplici argomenti che vanno dall'economia al vernacolo, dalla scuola alla storia locale.
Di B. Casini
Le attività economiche a Pisa nel basso medioevo
[...] Nel XII secolo il Comune dovette provvedere, per ragioni di sicurezza, a costruire una nuova (che fu l’ultima) cerchia di mura ed è quella che rimane in gran parte anche oggi.
La vita economica era caratterizzata da una miriade di microeconomie a carattere artigianale. Ogni capofamiglia in una piccola bottega, che molto spesso era situata nella stessa abitazione, svolgeva un mestiere ed in questa sua attività era sovente aiutato dalla moglie e dai figli e, qualche volta, da garzoni non appartenenti al nucleo familiare.
Il lavoro si consegnava al richiedente (non si effettuavano lavori a domanda incerta) il quale, molto spesso, pagava in generi di natura, data la grande penuria di monete.
I più bravi, i più attivi, i più intraprendenti si sollevarono da quell’amorfo ambiente di piccoli artigiani ingrandendo bottega mentre altri per incapacità, disgrazie o scarsa attività, furono costretti a chiedere lavoro a coloro che avevano “ingrandito bottega”.
Nacquero le corporazioni, libere associazioni costituite da coloro che esercitavano uno stesso mestiere.
Esse potevano essere: gentilizie, mercantili e artigianali.
Le corporazioni esercitavano funzioni economiche, politiche, giudiziarie, artistiche, tributarie, militari, religiose e assistenziali. In altre parole si proponevano di:
distribuire equamente fra gli iscritti le materie prime, impedire le sofisticazioni e le frodi nelle produzioni, evitare crisi di sovrapproduzione, vigilare affinché i vari prodotti fossero venduti al giusto prezzo;
inviare i propri capi nei consigli del Comune per fare conoscere i problemi della corporazione e influenzare le decisioni sia di politica interna che estera;
dirimere le vertenze fra i soci che non ottemperassero alla disposizione dei consigli;
operare in modo da produrre merci sempre migliori e più perfezionate;
distribuire tra i soci le gravezze e gli oneri imposti dal Comune;
in caso di guerra, organizzare militarmente gli iscritti;
tributare a Dio, alla Vergine e al Santo protettore l’ossequio religioso e suffragare le anime dei soci morti;
istituire un ospedale per l’assistenza agli ammalati dell’arte, dare aiuto ai più bisognosi e a coloro che non potevano più svolgere attività lavorative;
offrire assistenza alle vedove e agli orfani degli artigiani morti.
Nell’ambito di ogni corporazione non vi era contrapposizione di interessi tra il capo e i lavoranti, ma tutti vivevano come se si trattasse di componenti di una stessa famiglia. Si entrava nell’arte in qualità di garzoni; dopo un certo periodo di apprendistato si passava al gradino superiore di lavoranti e quando si era acquistata una sicura abilità professionale, dopo avere superato un esame, si diventava maestri[...]
…e questo era il milletrecento!