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Consip, «Così hanno mentito creando false prove». Le mosse dei militari per danneggiare Renzi
Il giudice che ha sospeso i due carabinieri: falsi gravissimi
ROMA
La parola «complotto» non compare mai, ma da ciò che scrivono il giudice che ha deciso la sospensione dal servizio dei due carabinieri e i pubblici ministeri che l’hanno chiesta, traspare chiaramente l’accusa di aver truccato le carte per danneggiare Tiziano Renzi e - di conseguenza - il figlio Matteo, che era presidente del Consiglio quando la Procura di Napoli affidò l’inchiesta agli investigatori del Noe. Poi ci fu il passaggio del fascicolo a Roma, la revoca delle indagini a quel reparto dell’Arma e la scoperta - grazie agli accertamenti svolti dai carabinieri del Comando provinciale della capitale - che nell’informativa del Noe c’erano i falsi ora contestati all’ex capitano Scafarto (promosso «addirittura» maggiore, nota il gip Gaspare Sturzo nel suo provvedimento).
Per esempio l’attribuzione all’imprenditore Alfredo Romeo della frase intercettata «Renzi, l’ultima volta che l’ho incontrato», in realtà pronunciata dall’ex deputato Italo Bocchino. Scafarto lo sapeva, perché gliel’avevano detto e confermato i suoi collaboratori dopo aver riascoltato la registrazione, ma ha scritto il contrario: aggiungendo che quelle parole «consentono di inchiodare il Renzi Tiziano alle sue responsabilità». Per la Procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone, non si trattò di un errore bensì di «un volontario travisamento della verità», com’è provato dai messaggi whatsapp che i sottufficiali avevano inviato al neo-maggiore sulla paternità della frase. Scrive il gip: «Occorre condividere le conclusioni dell’accusa sulla coscienza e volontà di compiere il falso da parte di Scafarto», e cioè che «la falsificazione è frutto di una deliberata decisione dell’indagato».
C’è poi il capitolo del presunto interessamento dei Servizi segreti alle indagini sulla Consip, denunciato sempre nell’informativa sottoscritta da Scafarto che, a tratti in maniera esplicita, chiamava in causa l’ex premier Matteo Renzi. Sostiene ora la Procura di Roma: «Le attività di riscontro di dati oggettivi facevano emergere quelle che devono ritenersi omissioni e alterazioni della verità funzionali all’affermazione di una verità precostituita; piuttosto che operare una verifica delle pur lecite ipotesi iniziali, si è scelto, in modo volontario e consapevole, di rappresentare maliziosamente quanto accertato».
Nello stesso quadro rientra l’altra accusa di «mistificazione delle evidenze», relativa ancora ad alcune intercettazioni di Romeo per dimostrarne i contatti con un ex generale transitato dai servizi segreti, mentre invece si trattava di tutt’altro personaggio, considerato «un millantatore». Anche in questo caso, i messaggi whatsapp tra Scafarto e i suoi collaboratori dimostrerebbero che l’ex capitano era a conoscenza della vera identità dell’interlocutore di Romeo. Ma «ancora una volta - accusano i pm - al fine di supportare maliziosamente la tesi del coinvolgimento dei Servizi di sicurezza attivati dalla presidenza del Consiglio, inventa il coinvolgimento di un ex alto ufficiale della Guardia di finanza indicato, senza peraltro alcun riscontro, come appartenente ai servizi». E il gip condivide, attribuendo a Scafarto una «condotta cosciente e volontaria nel tentare di accreditare l’ingombrante presenza di presunti servizi segreti».
Le comunicazioni whatsapp tra Sessa e Scafarto (parzialmente recuperate nel telefono di quest’ultimo, ora accusato con Sessa di aver cancellato altre tracce sul telefono del colonnello e depistare l’inchiesta) hanno permesso ai pm di sostenere la tesi dell’inquinamento volontario, ma non solo. In un messaggio del 9 agosto 2016 al «signor colonnello», l’ex capitano si dice preoccupato per le possibili fughe di notizie sull’inchiesta, che effettivamente ci furono: è il filone d’indagine nel quale sono tuttora inquisiti il comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette e l’ex comandante regionale della Toscana Emanuele Saltalamacchia, oltre al ministro Luca Lotti e l’ex consigliere economico di Renzi, Filippo Vannoni.
In un inciso di quel messaggio Scafarto scrive: «Se abbiamo iniziato questa attività è per accontentare il vice e il dottore». Riferimento criptico senza nomi, che secondo gli inquirenti potrebbe indicare il colonnello Sergio De Caprio (l’ex capitano Ultimo, già vice-comandante del Noe) e il pm napoletano Henry John Woodcock, all’epoca titolare dell’indagine. Il quale aveva delegato al Noe accertamenti sull’imprenditore Romeo (ora di nuovo agli arresti domiciliari), che poi si scoprirà in contatto con Carlo Russo, amico di Tiziano Renzi (entrambi tuttora inquisiti per traffico di influenze illecite). Ma si tratta di profili distinti dal «frammento» che ha portato all’interdizione di Scafarto e Sessa, decisa per evitare che le ulteriori indagini possano essere «danneggiate o forzate per conclusioni non veritiere», considerato il «contesto gravissimo di operazioni di falsi e depistaggio» contestato ai due.