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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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L'onda che dal mare
alla prima sabbia
piano si sgomitola,
mi attrae.
La osservo mentre
si rivolta e si schiuma
formando un'ansa
che mi inghiotte. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Il carro dei poveri

12/6/2019 - 22:37


 
L'inventiva dei nostri contadini è sempre stata determinante nella ricerca dei mezzi di lavoro ritenuti più idonei ad alleviare la fatica senza diminuirne il profitto.
Così, poiché le strade poderali erano, per molta parte dell’anno, impraticabili per i comuni carri agricoli, si ricorreva a costruire dei mezzi di trasporto rudimentali ma pratici, tali da ovviare a queste difficoltà.
Nacque così la “treggia”, una specie di slitta rialzata, il cui pianale era formato da due stanghe di legno collegate tra loro da più traverse.
Le stanghe a forcella, o parallele, si allungavano oltre il pianale per poterle attaccare alla bestia.
Esistevano tregge di forma semplice e di forma doppia, ossia con una o due stanghe.
Sopra le traverse s’inchiodavano spesso quattro robusti pali di legno per renderle più consistenti.
La treggia poteva essere trainata a mano o dal cavallo o dai bovi. Il suo nome trovava probabilmente origine dalla parola storpiata traggere, trascinare.
Il legno usato era, in genere, il castagno, ma si usava, a seconda delle zone, anche il legno di quercia, specialmente per rinzoccolare la parte logorabile dello striscio a terra.
Con la treggia si trasportava di tutto: per lo più legna, fasci d’erba e di fieno, botti dell’acqua (treggioli), l’aratro, le sementi e i raccolti.
Per una maggiore ritenzione della roba spesso si poneva sul pianale un “graticcio” (stuoia intessuta di canne) o una cesta.
Nella campagna della Valdera ho visto sull’aia delle tregge costruite appositamente per trasportare solo la botte dell’acqua.
Ma la treggia serviva anche a trasportare le persone come donne e bambini, quando la strada era impraticabile e si doveva attraversare un ponte o un fosso, oppure quando si doveva, su un materasso, portare un malato lino alla strada maestra.
Accadeva, nei periodi di piene, che anche il medico, e il prete per l’acqua santa, dovessero usare di questo mezzo per raggiungere i più lontani casolari. Si racconta che se ne servissero persino i Vescovi quando andavano a visitare i loro “contadi”.

 

Del carro dei poveri si ha menzione anche nella letteratura medievale.
Nella commedia "La fiera" di Michelangelo Buonarroti il Giovane, si legge nella battuta di una zingara:

“animalin da rape (il bue) e da treggea”.

 

E Lorenzo Lippi nel suo poema eroi-comico "Il Marmantile racquistato":

Poiché la donna come altera e vana
sopra gli sfoggi ognor pensa e vaneggia:
e bench’ell’abbia un ceffo di befana,
pomposa e ricca vuol che ognun la veggia;
perciò colei ebbe la voglia strana
della grandezza di aver la treggia.
 
Anche il Fagioli nelle sue "Rime piacevoli" fa menzione della treggia in senso canzonatorio a proposito delle carrozze dei signori. Beco, la maschera fiorentina, chiamava per scherno “treggioli” i calessi fiorentini.

Dal nome della “treggia” originano molti nome di paese:
Treggiaia in Valdera, Treggiaia di Bibbona, Treggiaia di Baschereto, Treggiaia di Vaccole, di Massa, ecc.
Così pure le strade di campagna, percorribili solo con la treggia, erano chiamate treggiaie.
 
Nelle zone collinari, per impedite che l’attacco sul corpo della treggia andasse a toccate il terreno, si poneva l’aggancio alto sulla forcella. E poiché la legge proibiva di trascinare la treggia sulle strade pubbliche, alcuni contadini applicavano alla parte posteriore delle ruote di legno.
Anche oggi è possibile trovate in lontani casolari della Toscana vecchie tregge; anche se modernizzate per le nuove necessità e per le strade tese più praticabili.
Rimane, tuttavia, il ricordo di un mezzo di trasporto semplice e utile che tanto contribuì ad alleggerire la fatica dei nostri coloni in tempi in cui il destino del contadino era legato esclusivamente alla terra.

 

 
 

 
 

 
 

     
Fonte: Tratto da “Toscana contadina” di Evaldo Cacelli, Lucio Pugliese ed. Firenze 1990
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