Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
CARO GIUSEPPE CONTE
Nel Paese dove uno studente su quattro è privo delle competenze minime di analisi e comprensione di un testo nella sua lingua madre (lo rileva il rapporto Ocse “Pisa 2018”), il ministro dell’Istruzione si è dimesso il giorno di Natale inviando una lettera al premier Giuseppe Conte, a causa del mancato stanziamento dei fondi attesi dal suo ministero nella manovra finanziaria. E no, non è la sceneggiatura di un cinepanettone, è la triste realtà del Belpaese all’alba dei nuovi anni ‘20 che inizieranno tra pochi giorni.
Lorenzo Fioramonti probabilmente non era un gran ministro, sicuramente si sarebbe potuto risparmiare molte dichiarazioni spericolate, ma il suo gesto merita rispetto almeno per due motivi. Il primo motivo è semplice: ha ragione lui. Se l’Italia non tornerà a investire su istruzione e cultura la qualità della popolazione che abita questa striscia di terra continuerà ad abbassarsi. Sono già oggi in tanti gli italiani raggirati da notizie false perché incapaci di leggerle come tali, imbarbariti da informazioni inesatte e parziali mascherate da verità. Sono in tanti ad essere vittime di campagne di comunicazione giocate sulla manipolazione di menti non allenate al pensiero critico, menti stimolate alle peggiori pulsioni, menti permeabili allo slogan e impermeabili al ragionamento. Sono in tanti a essere incapaci di scrivere frasi di senso compiuto nella loro stessa lingua. Il prepotente ritorno del razzismo, l’abominevole esultanza di fronte al migrante che affoga, l’egoismo elevato a ideologia politica, sono gli aborti di una società che ha fallito.
Una società che ha fallito certamente tra le mura domestiche, in quelle famiglie che dovrebbero trasmettere dei valori sani; ma ha fallito soprattutto in quelle istituzioni che dovrebbero formare persone civili, persone in grado di utilizzare liberamente il loro cervello a prescindere dalla quantità di nozioni infilate in esso. Un Paese dove i docenti delle scuole sono costretti a lavorare in aule che cadono a pezzi, con stipendi da fame e in situazioni dove spesso mancano le condizioni minime per preparare gli Italiani di domani, dove i ricercatori universitari sono sfruttati e spesso persino ricattati, è un Paese condannato ad essere sempre più marginale, sempre più debole, sempre più esposto ai pifferai magici.
Il secondo motivo per cui la decisione di Lorenzo Fioramonti merita rispetto, è che in un Paese in cui raramente qualcuno lascia una poltrona per questioni di principio, lui l’ha fatto. Avrebbe potuto ingoiare il rospo e far finta di accontentarsi della (solita) promessa “metteremo più soldi l’anno prossimo”, ma non l’ha fatto: ha invece aspettato l’approvazione della manovra finanziaria e nel giorno in cui qualche suo collega scriveva una letterina per chiedere una lista di doni a Babbo Natale, lui ha scritto una lettera al Presidente del Consiglio per rassegnare le dimissioni. Un gesto non banale e persino coraggioso.
Buongiorno