Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Alessandro Manzoni nel suo romanzo ci descrive con realismo e poesia incomparabili il flagello della peste che nel 1630 colpi tutta l’Italia. Questa terribile epidemia riapparve in Toscana, con una virulenza eccezionale, nel 1633, mietendo anche a Cascina numerose vittime.
Di per sé stessa tremenda, la peste aveva effetti indotti altrettanto gravi e dannosi.
La paralisi dei commerci: nessuno più si avventurava in viaggi, né si ammettevano forestieri entro la cinta muraria, così che venivano a mancare viveri e mercanzie.
La carestia: la gente stava chiusa in casa per paura del contagio, trascurava le normali attività produttive, limitandosi al minimo indispensabile, e nascondeva agli altri eventuali scorte di viveri.
Il sospetto: le persone diffidavano le une delle altre, timorose - era l’ipotesi migliore - che il proprio vicino potesse essere contagioso, quando poi non si scatenavano in una fanatica caccia all’untore, il capro espiatorio dell’impotenza contro il male, della superstizione e dell’ignoranza.
In questo contesto gli antichi cascinesi cercarono nella fede l’ultima ancora di salvezza e si rivolsero a S. Rocco — la Chiesa lo ha sempre indicato come protettore contro le epidemie — perché salvasse la città dalla distruzione. E il santo esaudì le preghiere.
La riconoscenza del popolo eresse nel Santuario della Madonna dell’Acqua un altare in onore del santo, alla cui base c’è un’iscrizione in latino che suona così: “Questo altare fu innalzato con le offerte di pie persone l’anno della salvezza 1633, nel quale un gran numero di cittadini di Cascina fu ammalato di un grave morbo contagioso”.
Da allora i cascinesi presero a ringraziare S. Rocco per il suo intervento miracoloso.
LA FESTA DEL COCOMERO
Il canto che esce dal Santuario della Madonna dell’Acqua si spande all’intorno nella campagna assolata e silenziosa di metà agosto. La melodia si fa ora più forte ed e udibile a tratti anche da S. Giovanni alla Vena, sull’altra riva dell’Arno, da Cascina e da Fornacette: i fedeli sono usciti dal tempio, preceduti da un buon numero di preti paludati a festa, il sudore che scorre a rivoli sulle guance arrossate, e si sgranano cantando in una processione che attraversa il prato, percorre un piccolo tratto della via Fiorentina e poi rientra in chiesa.
È una processione che viene da lontano, vecchia nel tempo: è la processione delle reliquie di S. Rocco, che il popolo di Cascina venera e onora da quando, nel 1633, gli si rivolse perché facesse cessare l’epidemia di peste che minacciava di sterminare gli abitanti della città.Terminata la funzione religiosa, la gente sciama sul prato antistante il Santuario e sulle vicine rive dell'Arno. Dai cesti che le donne hanno al braccio saltano fuori pane, prosciutto, formaggio e vino. I numerosi banchi disseminati all'intorno offrono — a pagamento, s’intende — dolci, bibite e soprattutto cocomero, il fresco frutto di stagione che col tempo e andato caratterizzando, dandogli anche il nome, la festa di S. Rocco.
I ragazzi, sul prato, corrono, mangiano, giocano. Gli uomini bevono, fumano e ragionan d’affari. Le donne intessono chiacchiericci, l’occhio attento a che i figli non si faccian male e agli uomini non manchi niente. Si fa sera, si chiamano i ragazzi e a gruppi si torna, a piedi come si era venuti, verso Cascina.
È questa una descrizione che più o meno si adatta a una qualsiasi festa di S. Rocco, o del cocomero, dalla prima meta del '600 fino agli anni precedenti la seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra la festa si è spenta e oggi è morta: la gente va al mare e ai monti, i santi vengon lasciati tranquilli in Paradiso e la peste non si sa cosa sia. Resta il cocomero, l'aspetto di festa popolare che in passato affiancava quella religiosa, e resta anche — fortunatamente — la voglia di ritrovare antiche radici perdute. In quest'ottica l’Amministrazione comunale di Cascina sta cercando da qualche anno di far rivivere, ai primi di settembre, quando cioè tutti o quasi sono rientrati dalle ferie, questa antica festa, pur limitatamente al cocomero.
Tratto dal libro “Beppe der Cei” di Paolo Vestri, Pacini editore, febbraio 1986