In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Ritorniamo indietro, quando si parlava di Comacchio.
Partito il pullman, da Vecchiano a Comacchio, dovevamo far passare il tempo del viaggio raccontando ai partecipanti (questa volta più di fuori che vecchianesi), la storia della Ginestra, dello scopo della sua nascita e, logicamente, la storia del luogo da visitare. Mi ricordo con piacere quello che domandò un signore pisano, avvocato credo: “Scusi, lei parla chiaramente in dialetto pisano, ma a sentirla penso che sia di Comacchio e non di Migliarino”.
In fondo in fondo era vero! L’anguilla mi legava all’altra sponda dell’Italia, l’anguilla che ho sognato per una vita di farmi tatuare su un braccio sempre ostacolato però da genitori prima e consorte e figli dopo.
Comacchio era una fissazione, i suoi canali, il suo odore, le sue botteghe e pescherie, le fabbriche di scatolamento dell’anguilla con la visione della splendida Sofia Loren che era addetta alla stidionatura della regina dei pesci e… le feroci festose baccagliate che facevo con i pescatori locali.
“Nato di can pisanaccio che ciapate tutte le ciecolin e così noatri no se ha più anguile!”
“Natacci di ‘ane ma voi che fermate tutte l’anguille che vanno a trombà e così attrappoo di cee ‘un ce ne sarà più. Assassini!”
E tre o quattro grappe alla volta e manate che sapevan di pesce!
In una libreria del corso trovai un fantastico libro: “Sorella anquilla”, bello grosso molto bel fatto e fotografico, ma un altro piccolo e seminascosto mi coinvolse di più “Da Comacchio ad Argenta, le lagune e le bocche del Po nel 1905” di Antonio Beltramelli (1879-1930) del quale riporto pochi stralci tralasciando, per motivi di spazio, la lotta fra guardie e fiocinini (i bracconieri del pesce), molto molto interessante.
[…] Nulla è stato detto ancora di Comacchio; nessuno, ch’io mi sappia, ha tentato dimostrarne le molteplici bellezze; dimenticata in una solitudine grande è, anche per coloro che le vivono attorno, un’incognita. I rarissimi visitatori che vi giungono, hanno la mente piena di preconcetti sì che guardano con occhio indifferente; sorridono di scherno e di sdegno.
La maggior parte degli uomini è schiava della tradizione e la tradizione (forse per le ultime propaggini delle lotte medioevali) è nemica di Comacchio. I lontani ne odono parlare qualche volta, ma di sfuggita, con noncuranza studiata perché il paese delle anguille non può prendersi in considerazione (ah beata ed eterna bestialità umana!); e così si è perpetuata e si perpetua la tradizione ostile. Io so che molti luoghi, segnati dalle guide internazionali, non hanno neppure lontanamente il fascino di Comacchio; ma so anche che la Città sperduta, non è fatta per quella specie di viaggiatori i quali hanno Ie sensazioni contate sul ritmo del Baedecker (la guida turistica per eccellenza. n.d.r). A me piace esaltarla, comunque sia, e qualcuno troverà che la mia parola non ha saputo avere armonie sufficienti a renderne il carattere e la suggestione. […]
[…] Torme di monelli e di uomini nel caratteristico costume estivo composto da un paio di brache dai colori vivaci (nella maggior parte sono a larghe bande rosse e celesti); da una specie di camiciotto di vergatino e, qualche volta, da un tipico berretto di feltro; gruppi di donne e di giovanette dal nobilissimo tipo, e preti, e gente di classi diverse, e venditori ambulanti. Nella grande e lunga via, in quell’ora vesperale, era certa un’agitazione insolita. Qualche fanale cominciava ad accendersi nei vicoletti più oscuri; nella penombra lucente, negli ultimi aurei sprazzi di sole passava, si incrociava, rinnovellandosi di continua, una fiumana di tipi vari. Mi vi trovai confuso e quasi stordito e andai senza sapere dove, portato dalla comune gaiezza. Poi la visione d’un canale solitario mi attrasse ed ecco, la scena cambiò ad un tratto: la quiete mi fu intorno, il silenzio di Comacchio, la pallida. […]
Qui l’autore riporta la bellissima descrizione del lavoriero che fa il prof. Alessandro Zappata di Comacchio, nel suo carme latino: De Anguillarum Comaclensium Piscatione, premiato dalla R. Accademia di Scienze di Amsterdam.
[…] “Già nelle placide acque appare il labirinto, opra dell’estrema estate e d’arte antica. Già il labirinto dalle tortuosità dedalee scoprì le profonde cavità, formando co’ suoi avvolgimenti innumerevoli recessi. Si piega e ripiega in mille vie, forma a tondo i ricurvi aditi, nascondendo l’artificio con gli intricati giri. Da una parte guarda verso la salsa laguna, dall’altra verso l’aperto mare, donde i flutti spinti dal moto alterno delle acque alimentano i pescosi campi per canali in molte parti tagliati. Esso ha due lati uguali e racchiude uno spazio triangolare non equilatero (da questo carcere non speri alcun ritorno l’anguilla) ed è costrutto di manipoli insieme congiunti di canne (antica arte) con travi trasversali su pali posti ad eguale distanza. L’estrema apotecula (botteghino) di forma triangolare, parimenti piantata di tremule canne, siede fra gli acquosi calaùri. Appare una cavità di canne per i cefali con l’apertura quasi rotonda, Ia capace baldresca e la triplice atéla, al vertice e ai lati, di forma triangolare, donde per Ie dense canne non può più ritornare l’anguilla” […].
[…] Allorché passa l’ultimo autunno dalle bufere di acqua e di vento, nelle notti più buie e più tempestose, le anguille scendono dalle lagune al mare. Allora, esse sono giunte alla loro maturità compiuta, più non si nutrono ed un insofferente desiderio di emigrare le coglie, sì che seguono qualsiasi corso d’acqua si presenti loro pur di ubbidire a l’istinto che le spinge altrove; si affrettano a grandi torme verso le calate (le calate sono canali più o meno profondi che servono di guida ai pesci perché calino nelle còvole e conseguentemente nei lavorieri) e vanno ad arricchire il bottino dei pescatori. Esse viaggiano di notte, quando il cielo è perfettamente oscuro. È provato, da lunghissima esperienza ormai, che le anguille non partono in tempo di plenilunio, se le notti sono serene; ed è pure provato che, se hanno preso l’avvio a cielo coperto e, durante il loro cammino, fra le nubi diradate la luna appaia, prese come da strano, incomprensibile incantesimo, si fermano, né v’è caso continuino il viaggio finché l’argento lunare splenda su le acque lagunari. È certo una strana magia che ha del fantastico. […]
[…] Una volta imprigionate entro la cogolara e le òtele, per quanto si agitino e guizzino e tentino freneticamente una via d’uscita, non riescono a vincere le solidissime pareti della prigione che le contiene. Nei mesi di settembre, ottobre e novembre e, più esattamente, nelle notti comprese fra il plenilunio ed il novilunio, hanno luogo le grandi pesche, per dare un’idea delle quali, tolgo, dall’opera citata di Arturo Bellini, le seguenti notizie: “Nei tempi andati era uso che quando una valle pescava in una sola notte 4000 pesi (35000 chilogrammi circa) si faceva un tiro di mortaio, ed un secondo se, oltre i primi 4000 pesi, altrettanti se ne pescavano, e cosi via dicendo di 4000 in 4000. Il primo tiro importava che le famiglie di tutte le valli testaticamente percepivano un boccale di vino o suo equivalente valore. Ripetendosi lo sparo una o più volte, il premio di questa seconda pesca si limitava alla sola famiglia di quella valle che eseguiva lo sparo. La Valle Caldirolo, quando il massimo Campo Mezzano godeva di tutta la sua fertilità, raccolse più volte in una sola notte oltre 12.000 pesi (107.000 kg. circa) e quindi quattro furono i tiri in ognuno dei suddetti verificatisi incontri” […].
Allora?
Chi aveva ragione?
e poi: secondo mio padre le nostre anguille di calata partono di marzo e secondo i vallivi di novembre, allora qualcuno mi spieghi se le nostre tirreniche vanno a Gibilterra e ci incontrano quelle adriatiche dell'anno prima o queste ci trovano le nostre nell'anno dopo?