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Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA  sono la figlia della "Cocca".

Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.

Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché  anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è  ancora comunità.  

. . . come minimo si risponde due volte altrimenti .....
. . . siamo a M@ sterchief. Sono anni che giri/ ate .....
. . . Velardi arriva buon ultimo.
Il primo fu il .....
Nulla obbligò a buttar giu il Conte 2, se non la .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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di Angela Baldoni
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Qualcuno mi sa dire perche' rincoglionire
viene considerato un inevitabile passaggio
alla fine del faticoso viaggio
vissuto da tutti con coraggio?
Il .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
La resa
L’alleanza permanente con i grillini e la misteriosa scomparsa dell’ala riformista del Partito democratico

30/5/2020 - 11:47

La resa


L’alleanza permanente con i grillini e la misteriosa scomparsa dell’ala riformista del Partito democratico


Zingaretti e Franceschini sono innamorati di Conte e dei cinquestelle e dimenticano le leggi fatte con Salvini. Gli adulti guidati da Gentiloni evitano la catastrofe nazionale e Orfini è l’unico che si fa sentire, ma come è possibile che i liberal e i blairiani del Pd siano finiti a braccetto di Vito Crimi?

A volte bastano poche parole per sprofondare nel ridicolo: Nicola Zingaretti ha detto che Giuseppe Conte, l’ex vice del vicepremier Matteo Salvini diventato a suo dire «il punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti» senza aver cambiato nemmeno uno dei provvedimenti che Zingaretti stesso e i suoi parlamentari definivano «fascisti», «liberticidi» e «vergognosi», ora addirittura «sta guidando l’alleanza dei democratici», sempre con Casalino del Grande Fratello e senza aver cambiato idea sui decreti sicurezza, sulla legge spazzacorrotti, sulla quota cento, sul reddito di cittadinanza, sul professore del Mississippi, sugli ammiccamenti ai cinesi, sul no al Mes, al contrario facendo cambiare opinione proprio a Zingaretti circa duecento giorni dopo la roboante promessa del segretario del Pd di cambiare i decreti sicurezza approvati durante il primo tempo del governo Conte.
Ieri è stato il turno di Dario Franceschini, il quale alle parole di Zingaretti ha aggiunto che sostiene da tempo che «l’intesa di governo tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle debba sfociare in un’alleanza permanente».
Perfetto. La trasformazione del Partito democratico in un corollario dei Cinque stelle ormai è irreversibile, avendo rinunciato fin dal primo giorno a esercitare una qualche forma di egemonia culturale sui grillini, come aveva invece fatto con abilità Salvini, il quale a questo punto può vantarsi di esserci riuscito, sia pure di sponda, anche col Pd.
Certo c’è la notevole eccezione del trio composto da Paolo Gentiloni a Bruxelles e da Roberto Gualtieri e Enzo Amendola a Roma, grazie al quale restiamo agganciati all’Europa e non siamo ancora diventati vassalli della Cina o della Russia, carissimi a Conte e Di Maio, o sprofondati in un Venezuela senza il petrolio come piacerebbe a Di Battista.
Per il resto, silenzio assoluto. Oppure vetero gauchismo statalista con Andrea Orlando, Peppe Provenzano e lo stesso Zingaretti. Oppure Francesco Boccia, a proposito del quale ci sarebbe da appellarsi al quinto emendamento della Costituzione americana. Oppure contumelie se altri esponenti della maggioranza, gli odiati renziani, si permettono non solo di criticare le baggianate grilline e la confusione di Conte, ma addirittura di proporre un’iniziativa, una legge, un emendamento che possa giustificare la loro presenza al governo da progressisti e non da complici delle scelte gialloverdi di Giuseppe Conte.
L’anomalia è Matteo Orfini, il quale non ha mai smesso di opporsi ai decreti sicurezza e al cedimento strutturale innanzi alla demagogia populista. Su Twitter, tra l’altro, ieri Orfini ha svelato che la direzione del Pd non si riunisce da mesi, nemmeno virtualmente, nemmeno nel pieno della più grave crisi economica e sociale della storia repubblicana: a proposito, qualcuno ha mai avuto più notizie della nuova presidente del Pd Valentina Cuppi?
Ma la cosa davvero sconcertante è il lockdown intellettuale dell’ala cosiddetta riformista del partito, l’area progressista fino all’altro ieri culturalmente blairiana e pugnacemente antigrillina, ora umiliata e prosternata ai piedi dell’alleanza democratica permanente con Fofò Dj, Dibba e Vito Crimi.





Fonte: Chiristian Rocca
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30/5/2020 - 13:12

AUTORE:
Lettore

... ecco a noi Valentina Cuppi, iscritta al PD il giorno prima di essere eletta Presidente del mio partito...

Lo statuto del Partito democratico, recentemente cambiato, dice che all’avvio della fase congressuale «la gestione ordinaria del partito è affidata al presidente». Ma forse qualcuno se n’era dimenticato

La scelta di eleggere come presidente del Partito democratico la giovane sindaca di Marzabotto, Valentina Cuppi, ha suscitato critiche e apprezzamenti per motivi diversi, dall’esiguità del suo cursus honorum al fatto che, fino al giorno prima della nomina a presidente, al Pd non era mai stata nemmeno iscritta («fino al giorno prima» non è scritto a caso: per evitare il rischio che i suoi atti potessero venire contestati, si è iscritta giusto alla vigilia dell’elezione a presidente).

In molti hanno esultato per la sua vicinanza alle sardine, la sua provenienza da una storia diversa da quella del partito (le «fabbriche» di Nichi Vendola), la sua giovane età (non che a trentasei anni possa essere considerata una bambina, ma nel gruppo dirigente del Pd sotto i quaranta non è che siano in tanti); i più perplessi hanno raccontato con costernazione il febbrile lavoro dei giorni precedenti, con un vertice democratico composto quasi esclusivamente da maschi di mezza età, a essere generosi, intenti a vagliare candidature di giovani donne sindache di piccoli Comuni (Marzabotto, Empoli e svariati altri), che alla «freschezza» dell’immagine univano il vantaggio di non poter fare ombra al resto del gruppo dirigente.

E così, come spesso accade in politica, quello che fino al giorno prima, con un altro segretario, era un uso strumentale di candidature femminili decise solo per motivi di immagine (e pertanto stigmatizzate come «figurine»), il giorno dopo è diventato invece un importante segnale di apertura e rinnovamento. E quelli che per anni avevano criticato l’idea del «partito liquido», in cui persino l’elettore di un altro partito poteva votare per il segretario, ora possono vantarsi di avere fatto molto di più, concedendogli non solo il diritto di votare, ma persino di essere eletto.

Discussioni forse capziose, e sicuramente noiose, su cui non varrebbe nemmeno la pena di soffermarsi, se non per segnalare un dettaglio passato finora inosservato, probabilmente anche a causa della recente e non indimenticabile modifica dello statuto (una delle tante grandi riforme del partito discusse dal gruppo dirigente del Pd in questi mesi oziosi). Statuto che all’articolo 5, comma 8, recita così: «In caso di dimissioni del Segretario nazionale e di formale avvio della fase congressuale, la gestione ordinaria del partito è affidata al Presidente dell’Assemblea nazionale, in qualità di Presidente pro-tempore della Direzione nazionale».

In breve, una volta avviato il congresso, con il segretario dimissionario, Valentina Cuppi sarà a tutti gli effetti il leader del Pd. Altro dettaglio da non dimenticare: il congresso del Pd può durare anche molto a lungo (Pier Luigi Bersani promosse la scissione con l’argomento che il congresso voluto da Matteo Renzi non si poteva fare in appena tre mesi, «cotto e mangiato»). Di conseguenza, se nel corso delle laboriose procedure interne dovesse aprirsi, chessò, una crisi di governo, a guidare la delegazione dei democratici al Quirinale sarebbe proprio la giovane sindaca di Marzabotto.

Auguri.