Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
FINALMENTE DOMENICA!
“Prima del Virus” e “Dopo il Virus”, è il nuovo calendario. Con il Virus siamo precipitati in una situazione di emergenza. Tecnicamente, è la tipica situazione di merda (copyright Baricco). Pochi fatti nella storia recente hanno segnato un prima e un dopo. Moro e le Br (9 maggio 1978), il Muro di Berlino (9 novembre 1989), le Torri Gemelle a New York (11 settembre 2001), la crisi finanziaria iniziata nel 2007 e la bancarotta di Lehman Brothers (15 settembre 2008). Aggiungiamo diverse catastrofi, manca solo la guerra. La pandemia nel mondo ha fatto finora quasi 400mila morti, più di 33mila in Italia, di cui 27mila sopra i 70 anni. Molti, ma pochi rispetto alle epidemie del passato. Circola l’idea che il peggio sia passato, ma non sappiamo se si tratta solo della fine della prima ondata, come accadeva nelle grandi epidemie della storia.
Ora ci troviamo nella fase della cosiddetta ripartenza, con il Virus invisibile sempre in agguato e un crollo del Pil sotto del 13 per cento con quel che ne consegue. Tecnicamente, è la tipica situazione di cui sopra, con forte richiamo di mosche. “Andrà tutto bene”? Ecco la risposta in una vignetta di Altan: “Ho fiducia. Andrà tutto così così”.
Il Presidente Mattarella il 2 giugno è andato a Codogno, dove tutto è cominciato il 20 febbraio, luogo del primo focolaio e della prima “zona rossa”, per rendere omaggio alle vittime e per ringraziare tutti quelli che si sono distinti nel servire la comunità durante l’emergenza del Coronavirus. Ha annunciato che ha voluto insignire dell’onoreficenza di Cavaliere al merito della Repubblica un primo gruppo di 57 cittadini con diversi ruoli e professioni e ha detto: “Questi riconoscimenti ai singoli vogliono simbolicamente rappresentare l’impegno corale di tanti”.
Tra i 57 Cavalieri del Virus ci sono 11 medici, simbolo di una categoria che non si è tirata indietro e ha pagato un prezzo altissimo. Vorrei ricordare l’impegno dei tantissimi medici che hanno combattuto il Virus attraverso la storia di Cecilia Bartalena, giovane dottoressa dell’ospedale Cisanello di Pisa. Su YouTube c’è un servizio di Federico Plotti e un video di nemmeno due minuti che vale la pena di vedere. Si vede Cecilia che, dopo 13, 14 o 15 ore di lavoro, torna a casa dal marito e dalla figlia di 4 anni, è distrutta ma deve far finta che va tutto bene.
Poi si vede Cecilia con la mascherina, in primo piano, che dice:
“La mattina, il pomeriggio, la notte a turno arriviamo e ci dobbiamo vestire, filtrare, entrare nella parte ‘sporca’, cosiddetta ‘sporca’, dove sono ricoverati i pazienti Covid, tutti bardati entriamo dentro con questo scafandro e stiamo dentro circa sei ore in cui non si può mangiare, bere, andare in bagno, ehm è molto, molto scomodo”.
Riprende il servizio, il giornalista dice che “fare il medico non è per tutti” e mette in evidenza che la paura più grande è quella di contagiare le persone a cui si vuole più bene.
Di nuovo primo piano sul volto di Cecilia, senza mascherina, che dice:
“E ogni volta io penso: Ma chi me lo fa fare? Di sicuro non sono né i soldi né l’obbligo etico perché in questo momento sta venendo meno, ehm… ecco sono i pazienti perché loro non hanno scelta”.
Tenendo a mente le parole di Papa Francesco (“Peggio di questa pandemia c’è solo il dramma di sprecarla”) concludo con una estemporanea incursione nel campo sanitario. Perfino un incompetente in materia come me ha capito che è il settore più urgente su cui lavorare e in cui servono scelte radicali. Per sintetizzare l’inchiesta di Gloria Riva che ho letto su "L’Espresso” della scorsa settimana (31 maggio - 2 giugno) intitolata Ora però curiamo la sanità, potremmo indicare un piccolo elenco in cinque punti. Primo, con i 3,25 miliardi di euro stanziati nel decreto Rilancio destinati al Servizio sanitario nazionale si arriva solo alla fine dell’anno, per interventi strutturali serviranno almeno quattro miliardi all’anno per dieci anni, quaranta miliardi per il prossimo decennio. Una gran quantità di soldi che deve esser messa a servizio non delle lobby, ma dei pazienti, come dice Cecilia, e della popolazione che chiede questa sicurezza, diversa rispetto a quella richiesta per la “paura dello straniero che ci invade” che è stata agitata in questi anni mentre si tagliava la sanità. Secondo, è necessario rinforzare i Covid-Hospital, le terapie intensive, i pronto soccorso, le liste di attesa sono lunghe e “nei tre mesi in cui tutto era concentrato su Covid le liste di attesa per le altre cure e diagnosi si sono prolungate all’infinito”. Terzo, “non ci si può basare soltanto sulle grandi eccellenze delle metropoli, c’è bisogno di una forte rete territoriale”. Quarto, per gli anziani non autosufficienti l’Italia spende 558 euro procapite, contro gli 841 della Francia e i 912 della Germania. “Dalle casse pubbliche italiane escono 31,6 miliardi per l’assistenza agli anziani”, che per la metà sono sborsati dall’Inps attraverso “l’indennità di accompagnamento, 520 euro a pioggia”, spesso usata per pagare parte dello stipendio a una badante. Il nostro paese sta invecchiando, “l’Istat dice che nei prossimi 45 anni ci saranno quattro over sessantacinque ogni due cittadini” e questo ci impone di affrontare il problema dei servizi domiciliari e dell’assistenza agli anziani. Quinto, il viaggio meticoloso che la giornalista fa sulla sanità di oggi e di domani finisce con il concetto di “sanità geo-local”, come lo chiama il professor Francesco Longo della Bocconi: “Il Covid-19 ha dimostrato che la sanità ha bisogno di investimenti in hub ospedalieri centralizzati e infrastrutture territoriali decentrate”. A livello territoriale “occorre sviluppare le infrastrutture di vicinanza: case della salute, strutture intermedie, poliambulatori, cure domiciliari, cioè i servizi che si usano più frequentemente nella quotidianità. Questo consentirebbe di ridurre il peso della cura sulle spalle degli ospedali che, l’ha dimostrato il Coronavirus, non hanno le risorse per farsi carico dell’intera esigenza di cura da parte dei cittadini”. Non so come, in condizioni estreme e catastrofiche, sia stata presa la decisione di chi intubare.
La giornalista, quasi alla fine dell’inchiesta chiosa: “Semplice a dirsi, complicato a farsi, soprattutto finché la Sanità, che è il primo capitolo di spesa delle Regioni, resterà ad appannaggio di interessi politici ed economici locali”.
Durante l’emergenza tutti deploravano i tagli alla sanità, anche gli esponenti che votarono in Parlamento per i tagli alla Sanità. (“Le mosche non riposano mai perché la merda è davvero tanta”, Alda Merini, Alla tua salute, amore mio). Dopo l’emergenza stiamo attenti a parole che in passato volavano come mosche: “armonizzazioni”, “razionalizzazioni”, e tutti i sinonimi di “tagli”. Per il Welfare e per la sanità pubblica bisogna lottare e fare le barricate, scusate il termine un po’ datato, le buone riforme hanno un cuore rivoluzionario. Così come per il vaccino anti-Covid non deve accadere che il primo Paese che lo trova se lo tenga per sé, oppure che vada in balia delle leggi di mercato, bensì dovrebbe prevalere l’idea che si tratta di un “bene pubblico” per tutti. Per non ritrovarci nella situazione che tecnicamente sappiamo come si chiama. La quale richiama le mosche, che poi sbattono contro il vetro una prima volta, fanno un giretto della stanza e risbattono contro lo stesso vetro. Zzzzzz… E così fino alla fine. Sdeng!