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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Ripafratta, 12 luglio
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Alzarmi prestissimo al mattino
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Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
GENOVA
Renzo Piano: “È il Ponte della nuova Genova, amatelo e durerà mille anni”

3/8/2020 - 13:07

Renzo Piano: “È il Ponte della nuova Genova, amatelo e durerà mille anni”
L’autore del progetto: «Oggi siamo sospesi fra dolore e orgoglio. Auguro a quest’opera una vita lunga: essendo figlia di una tragedia ha addosso un’eredità pesante»
Renzo Piano nel suo studio genovese di Punta Nave davanti ai bozzetti del Ponte San Giorgio. Da subito l’architetto si è offerto di realizzare a titolo gratuito questo ponte in sostituzione del Morandi, crollato il 14 agosto del 2018 provocando quarantatré vittime

GENOVA. Architetto, ma lei che cosa ha visto, che cosa ha scoperto quando è salito per la prima volta sul nuovo ponte, a cinquanta metri di altezza sul greto del Polcevera? «Il Mediterraneo». 
Renzo Piano, 83 anni fra un mese esatto, architetto e senatore a vita, è l’uomo che ha ideato e donato il progetto per il collegamento che da oggi sostituisce il Ponte Morandi, collassato e crollato il 14 agosto 2018, portando con sé 43 vite. In tutti questi mesi e fino alla vigilia dell’inaugurazione Piano ha seguito passo dopo passo la costruzione, visitando spesso il cantiere, e invitando a osservare sobrietà e silenzio quando i toni si alzavano troppo. Ora la grande carena bianca di nave che attraversa la Valpolcevera è pronta ad iniziare il viaggio verso il futuro. 
  Siamo arrivati alla fine di un percorso che è anche un nuovo punto di partenza, per la Liguria e non solo, visto il carattere simbolico che ha assunto il ponte per l’Italia, un modello che dimostri che le grandi opere si possono fare bene, nei tempi giusti.«Quello di oggi per me è un momento sospeso fra due sentimenti profondi. C’è il cordoglio per le 43 vittime, il lutto che deve ancora essere elaborato, che non è ancora diventato storia. La sofferenza che abbiamo dentro. E c’è l’orgoglio per il lavoro portato a termine dalle 1184 persone che hanno costruito il ponte. Ciascuno di loro ne ha fatto praticamente un metro e hanno diritto ad essere orgogliosi, fieri. Li ho sempre visti con la luce negli occhi, e nessuno ha mai detto no, non si può fare. È stato un lavoro serio, non un miracolo.

Oggi è il giorno della riconoscenza e vorrei poterli abbracciare tutti. L’anno scorso, in occasione del primo anniversario, avevo detto che l’unica cosa che si potesse fare era rimanere in silenzio e guardare il mare, che è la nostra grande consolazione. Oggi è diverso, viviamo questa sospensione fra due sentimenti che si incontrano». 
Il nuovo ponte di Genova merita un augurio: lei ha detto che nessun ponte dovrebbe mai crollare e che questa opera dovrà durare mille anni e più.«Auguro al ponte una vita lunga, e soprattutto felice. È figlio di una tragedia, ed è un’eredità pesante. Quando finisci un’opera, sia essa un’università, una biblioteca, una sala da concerti, è naturale augurarle lunga vita: qui ancora di più, per il significato reale e simbolico che ha un ponte: collegare, unire, ricucire un territorio ferito». 
 
 Lei ha anche detto che occorre una condizione perché un’opera possa durare mille anni, al di là delle sue caratteristiche tecniche.

«Certo, a una creatura che comincia la sua vita, che cosa puoi augurare se non di essere amata? Anche il ponte dovrà essere amato, adottato, entrare nell’esperienza della gente. Finché un’opera non la fai tua, non diventa un pezzo di te. Essendo erede di una tragedia, il ponte dovrà sapersi conquistare l’affetto della comunità. È vero che c’è un robot che analizza i dati, che il ponte sarà sempre controllato e manutenuto, ma nessuna opera può durare per un tempo lungo, per mille anni, se non è amata». 
 
 Quali sono le parole che le vengono in mente per definire le caratteristiche del nuovo ponte?

«È un ponte genovese, direi. Forte, sobrio. Un ponte fatto di acciaio, ma forgiato nel vento, per questo mi viene in mente la poesia di Giorgio Caproni, Genova di ferro e aria. È anche un ponte che gioca con la luce. Nelle ultime sere mi sono fermato a guardare l’effetto sulla chiglia della nave, sui piloni che vengono accarezzati dalla luce. Per questo lancio un messaggio accorato: amiamolo, fatelo vostro». 
Lei avrebbe voluto chiamarlo semplicemente il Ponte di Genova. Si chiamerà Ponte Genova San Giorgio, mentre Gino Paoli dice che sarebbe stato più giusto intitolarlo a lei che l’ha progettato e donato.

«Intitolarlo a me?

Beh, non esageriamo. È un’opera corale. Gino è un poeta e un amico, il problema è che ha un po’ più anni di me e quindi è sempre stato avanti e io a rincorrerlo disperatamente... Genova San Giorgio va bene, sono felice così, è giusto così. Un santo protettore del ponte: è una scelta che va bene. E poi ci saranno i bambini che gli daranno il nome che preferiscono». 
Oltre alle persone che non ci sono più e a chi ha lavorato al ponte, c’è un’altra dedica che vorrebbe fare?

Magari a suo padre Carlo, nato il 14 agosto, che era di Certosa, in Valpolcevera?

«Sì, quando ci penso, vedo un’immagine sfocata di un bambino di sei anni che cammino per le strade del quartiere, il naso in su, a guardarmi intorno, tenuto per mano da mio padre. Certosa resta per me un posto straordinario, dal nome nobile. La Certosa, dimmi niente». 

 Questa è la sua opera più importante a Genova dopo la trasformazione del porto antico, in attesa che vedano attuazione altri progetti come il Waterfront e la nuova Torre piloti. Quale sentimento la accompagna oggi?

«È difficile misurare i sentimenti. Genova resta nel mio cuore e anche se non ci passo molto tempo, non me ne sono mai allontanato. Il Porto antico è diventato un pezzo di città, oggi nessuno immaginerebbe che fino al 1992 un muro lo dividesse dal resto della città. L’architettura vive di tempi lunghi, come le montagne, i fiumi, le città, figuriamoci un ponte».



Fonte: ANDREA PLEBE
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