Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante.
Diverse persone mi hanno chiesto cosa voterò al referendum. Ecco la mia risposta: non lo so, o meglio non lo so ancora. Mentre alla riforma Renzi del 2016 ero convinto di votare No.
Sorvolo sul piccolo risparmio calcolato in centinaia di milioni a legislatura. Concordo su questo punto con quanto ha detto l’ex Presidente della Consulta e professore emerito di Diritto costituzionale Valerio Onida: “Non si risparmia sulle istituzioni”. Una democrazia inefficiente e piena di burocrazia ci costa molto di più. Tralascio anche il fatto che si tratta di un referendum confermativo, dato che la legge su cui siamo chiamati a esprimerci è stata approvata a larghissima maggioranza dalla Camera dei deputati neanche un anno, per questo essere chiamati a esprimerci con il referendum ci mette un po’ a disagio.
Potrei votare Sì per tre buoni motivi.
Il primo è perché la proposta di diminuire il numero dei parlamentari (la proposta in questione è di portare da 630 a 400 i deputati e da 315 a 200 i senatori, in totale i parlamentari passerebbero da 945 a 600) viene discussa da decenni con buoni argomenti. Per esempio, quello che le Camere funzionerebbero meglio con meno parlamentari. Lo ha detto chiaramente Riccardo Fraccaro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: “Il taglio dei parlamentari non è una riforma populista e serve per snellire e rendere più efficiente il Parlamento e accrescerne il suo ruolo”. Questo nostro Parlamento era meno numeroso fino alla riforma del 1963 senza lamentare per questo difficoltà di funzionamento, ricorda l’ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, anche lui professore emerito, in un bell’articolo intitolato Se la Costituzione resta nascosta dietro una diatriba tutta politica, in cui si paragona all’asino di Buridano che non sa scegliere tra due bei sacchi di fieno e due bei secchi d’acqua come l’autore non sa scegliere tra un bel Sì e un bel No.
Il secondo riguarda il fatto che ci avviciniamo agli altri paesi europei per quanto riguarda il numero dei parlamentari eletti direttamente, con probabile miglioramento della qualità dei deputati ed esclusione degli assenteisti e degli incompetenti.
Il terzo è che questa volta si modificano soltanto tre articoli della Costituzione e tutti e tre sullo stesso argomento, ciò rende il nostro voto puntuale su un argomento preciso come il taglio dei parlamentari senza temere per questo di stravolgere la Carta. Se avremo un Parlamento con meno deputati, è chiaro che dovrà essere modificato il regolamento parlamentare e sarà un’occasione per migliorarlo. Il taglio dei parlamentari sarà anche una spinta in più per modificare la pessima legge elettorale e il perverso meccanismo dei candidati bloccati e nominati dai partiti, senza la possibilità per i cittadini di esprimere preferenze.
Però potrei votare No per altri tre motivi.
Il primo riguarda la questione della rappresentanza democratica, cioè del rapporto tra eletti ed elettori. Scrive Zagrebelsky: “Qualunque asino sa che tanto più elevato è tale rapporto, tanto più evanescente è il rapporto tra i primi e i secondi”. E questo è un argomento che rende il No preferibile. Lo ribadisce bene Alfiero Grandi del Comitato del No: “Non si tratta di un taglio dei parlamentari, ma di un taglio del Parlamento, perché in alcune regioni si crea una soglia implicita di sbarramento della rappresentanza dei parlamentari da parte dei territori molto alta qualunque sia la legge elettorale”. Non vale la pena modificare la Costituzione col rischio di aprire le porte alla tentazione di altre e più importanti e pericolose modifiche costituzionali e aprire la strada a un pensiero autoritario che favorisce l’estrema destra.
Il secondo argomento lo prendo da Romano Prodi sul Messaggero ripubblicato dalla Voce del Serchio: “Il vero problema non sta nel numero, ma nel modo in cui i parlamentari vengono eletti”. Quindi la sola riduzione non garantisce la qualità e l’autorevolezza dei deputati e dei senatori (vedi il punto due per il Sì). La riduzione, invece, rafforzerà il potere delle forze politiche che potranno controllare ancora di più gli eletti con l’effetto di rafforzare la nuova casta.
C’è anche la posizione intransigente: No, perché chi ci ha governato e ci governa e prova a cambiare la Costituzione dovrebbe pensare prima a realizzarla.
Il terzo è semplice: è un referendum populista, solo se vincesse il No si riaprirebbe la possibilità di discutere tutto da capo e di fare una legge elettorale come si deve.
Questi mi sembrano i punti principali a favore del Sì e del No su cui riflettere per prendere una decisione che non sia basata sul processo alle intenzioni, per esempio un voto politico per il rafforzamento o l’indebolimento del governo in base all’esito del referendum. Su questo il terreno di gioco sono le elezioni regionali, ma soprattutto la vera partita sarà su come il governo riuscirà ad affrontare le grandi questioni che si troverà di fronte.
Questo è un referendum si fa in un momento in cui il nostro paese è doppiamente devastato dal Covid-19 e dalla crisi economica. Molte e assai ragionevoli argomentazioni sono state messe in campo per il Sì e per il No, senza però prospettare un vero rinnovamento democratico. Questo referendum non mi appassiona, vedo le speculari debolezze dei due schieramenti, se vincesse il Sì o il No penso che non porterebbe nessun vantaggio per la vita delle persone. Lo sento molto distante da quel mio primo voto dato pieno di entusiasmo al referendum sul divorzio. Votammo in tanti e vincemmo perché si capiva bene che riguardava la vita di tutti noi. Quel 12 maggio del 1974 è lontano anni luce. Chiedo scusa se sono pessimista, ma non riesco a vederci nulla di buono. Mi piacerebbe leggere qualche commento di chi la pensa come me, ma soprattutto di chi non la pensa come me.