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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

. . . uno sul web, ora, che vaneggia che la sua .....
. . . . . . . . . . . a tutto il popolo della "Voce". .....
. . . mia nonna aveva le ruote era un carretto. La .....
. . . la merda dello stallatico più la giri più puzza. .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Qui Bologna, nel giardino di Monet
di Ovidio Della Croce

25/10/2020 - 9:57

FINALMENTE DOMENICA!

 

 

Pronto? Sono il curatore di questa rubrica che vi parla da Bologna. Sto dettando al registratore del telefonino circondato dalle ninfee di Monet. Sono arrivate dalla Francia, uscite per la prima volta dal Musée Marmottan Monet di Parigi, fondato nel 1934. “Monet e gli impressionisti”, si intitola così la mostra bolognese, 57 capolavori di Monet e dei maggiori esponenti dell’impressionismo francese: Manet, Renoir, Degas, Corot, Sisley, Caillebotte, Boyudin, Pissarro, Signac e Berthe Morisot, unica donna del gruppo. Doveva inaugurarsi a marzo, ma con la pandemia non fu possibile e le ninfee subirono una brusca ritirata. Un po’ come tutti noi. Le frontiere chiuse non consentirono di rispedire le opere al mittente. La mostra fu rinviata a data da destinarsi. Le ninfee sono rimaste recluse nell’oscurità di un antico palazzo di Bologna fino al 29 agosto, data di apertura della mostra, che si può visitare fino al 14 febbraio. Si entra in piccoli gruppi a distanza di 20 minuti l’uno dall’altro, si girano le varie stanze in sicurezza e con qualche sorpresa luminosa e colorata.
 
Mia figlia Laura mi fa notare le immagini indecifrabili da vicino, si leggono meglio da lontano. Vicino a un dipinto di Monet le figure sono sfumate su un impasto grumoso di colori. Già quando dipinge la Senna, le stazioni o i treni le forme si sono rarefatte, quasi svanite, sono un’idea, se facciamo un passo indietro le figure indeterminate si precisano, in questo modo Monet crea bellezza. Dal 1883 Monet si stabilisce in campagna, a Giverny, a 70 chilometri da Parigi. E si dedica a costruire il suo giardino artificiale, vagamente giapponese. Singolari sono le diverse raffigurazioni del ponte giapponese che traversa il suo giardino. C’è un cartello nella mostra che ricorda come i suoi fiori lo hanno conquistato: “Il mio giardino è l’opera d’arte più bella che io abbia creato”. Da allora non ha più avuto altro modello. Raffigurerà solo, l’acqua dello stagno, gli alberi che vi affondano le radici e le ninfee che vi ondeggiano. Così fermerà il tempo che fugge. Abolirà il cielo e l’orizzonte, dipingerà solo piccoli e fragili fiori in grandi tele. Accompagnato dalla musica di Debussy mi colpisce la data di composizione di una tela che rappresenta le ninfee: 1914. Semplice riflessione: è scoppiata la guerra e Monet continua a creare le sue opere.
 
Dopo la visita della mostra mia figlia Laura mi scatta una foto sulla panchina mentre guardo Monet ritratto nel giardino di Giverny. È vecchio, barba lunga, indossa un cappello di paglia. Sembra entrato in uno dei suoi quadri. Quasi cieco guarda la natura che dipingerà e che i nostri occhi guarderanno. E potranno trovare un po’ di consolazione. Mi viene in mente la solita domanda senza risposta: che cos’è l’arte? Non lo so, so che per fortuna c’è stato Monet che ha dipinto incessantemente le ninfee del suo giardino mentre fuori infuriava la guerra. Allora provo a riformulare la domanda: a cosa serve l’arte? Leggo e scopro che, dopo la guerra, nel 1918, Monet vuole donare alla patria vittoriosa un suo monumento, delle enormi Ninfee che ha realizzato nel suo atelier durante il massacro. Ma alle quali continuerà a lavorare fino alla sua fine, nel 1926. L’anno dopo lo Sato francese installerà a Parigi le Ninfee, all’Orangerie, nel giardino delle Tuileries. All’inaugurazione nessuno capì il senso di quel dono. A pensarci però è semplice: accanto alle statue di bronzo e ai memoriali della Grande Guerra che spuntavano in tutte le piazze d’Europa, talvolta funebri e retorici, ecco il fascino della natura che circonda e consola chi la guarda, ecco la meraviglia delle ninfee contro l’orrore della violenza e della distruzione.
 
Come due comuni turisti passeggiamo sotto i portici. Colgo al volo la frase che una vecchia signora con un soprabito cammello e i capelli argentati, seduta a un bar, dice a una ragazza: “Bisogna stare bene e fare tutto quello che si può fare”. A Bologna stasera c’è una temperatura ideale, la luce penetra sotto la solita nebbiolina, gli alberi hanno indossato un bel soprabito autunnale, le foglie morte nascondono le strisce azzurre dei parcheggi, i colori del crepuscolo sono belli, pittorici. Nelle vie del centro molti bar e ristoranti hanno approntato una pedana in strada, i tavolini sono distanziati, dentro i locali sono state installate separazioni in plexiglass. Ci incamminiamo verso San Vitale, “Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta”. Eccoci di fronte alla Trattoria da Vito. Quella di Dalla, Morandi e Guccini. È lì dal 1938. Era tanto che ci volevamo andare. “Qui negozio sicuro” è scritto sul vetro della porta d’ingresso. E poi altri cartelli avvisano la gentile clientela del numero massimo di 6 persone a tavolo e che “causa Covid il locale chiude alle 24”. Varchiamo la soglia, ci disinfettiamo le mani con il gel. I tavoli non sono più a due centimetri l’uno dall’altro come un tempo, ma doverosamente distanziati. Be’, però le tagliatelle al ragù erano davvero buone e l’atmosfera conviviale. Dice l’oste con la mascherina: “Qui vendo convivio, non c’è nessuno che mangia e poi va, mangiano e stanno”. Speriamo di tornare presto così, con i tavoli a due centimetri. Ciao Bologna.

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27/10/2020 - 13:38

AUTORE:
Cristina

Sono d'accordo con gli altri, leggerti è sempre bello caro Ovidio.

Mi hai fatto ricordare il mio primo viaggio a Parigi nel 1997, ero al primo anno di università. Quel viaggio il mio amico Tommaso lo stava programmando da mesi e mi ricordo queste telefonate interminabili in cui mi raccontava tutto quello che di meraviglioso Parigi ci avrebbe offerto.

Ogni giorno aggiornava la lista, e mi chiamava. Quando siamo arrivati alla stazione a Pisa, pronti a partire, eravamo in quattro, emozionatissimi.E sul treno continuavamo a fare progetti. Tommaso in realtà Parigi la conosceva benissimo e parlava un francese impeccabile, tanto da essere scambiato per un perfetto parigino.

Oltre alle tappe classiche ci proponeva ogni giorno una Parigi insolita e noi lo seguivamo incantati.
Sainte Chapelle, prima di tutto ci ha voluti portare lì e subito dopo al megastore Virgin sugli Champs-Elysees, che non so se esiste ancora. Immenso, su tre o quattro piani, potevamo fare tutto quello che volevamo, ascoltare tutto quello che volevamo, provare tutto quello che volevamo. Un'emozione, aveva ragione Tommaso.

Ecco, sarò sincera, il Monet che ho visto al museo d'Orsay mi è piaciuto, ma non mi ha regalato l'emozione potente di quel pomeriggio ad ascoltare musica. Sarà che avevo 19 anni, sarà che gli impressionisti, così precisi così bravi così perfetti, non mi hanno mai travolto.

Però lo scatto che hai pubblicato è bellissimo, come immagino sia stato il viaggio con tua figlia.

27/10/2020 - 8:45

AUTORE:
Bruno F.

Caro Ovidio,

Mi associo ai commenti degli altri lettori per aggiungere che anch’io ho apprezzato moltissimo il tuo articolo, non solo per l’ammirazione che porto per Monet ma per il “taglio” umano e personale che gli hai dato.

Certo Laura è un’ottima fotografa, ma diciamo pure che tu sei un ottimo soggetto: sembra che il pittore ti stia guardando ma non per redarguirti per l’intrusione nel suo quadro; anzi apprezza la tua presenza (ma, forse, come dici tu, non ci vedeva già troppo bene).

Tagliatelle al ragù e Dalla completano un quadro tutto tuo che neanche Monet avrebbe potuto riprendere.

Bel lavoro e te lo comunico oggi quando qui si festeggia “Labour Day”.

Un abbraccio,

Bruno

26/10/2020 - 8:42

AUTORE:
Patrizia

Edi, te l'ho mai detto che leggerti è un vero piacere a cui non rinuncerei mai?
Fatto questo, per me, doveroso preambolo continuo con Palazzo Albergati di Via Saragozza che ospita la mostra. Degna cornice.

Ti chiedi perchè, in piena guerra, Monet continui a dipingere le sue impareggiabili ninfee, e ti dai anche una risposta: in tanto orrrore c'è bisogno di Bellezza, quell'estetica gentile capace di trasportarti in un altrove sognante e sognato.

Il paragone attiene anche a quanto ci sta capitando oggi con il Covid. Credo che ognuno di noi si sia creato un luogo dell'anima, per sfuggire la paura attanagliante.

Torno a Bologna, alle osterie, e alla Bellezza che gratuitamente offre ai suoi
visitatori. Ho vissuto anni felici in quella città, solo la finestrina di Via Piella (di cui ti ho parlato) mi riempiva di allegria, la genialità dei bolognesi di aprire una finestra, con scuretto su un torrentello, un po' come il nostro fosso, ma celato agli occhi dei meno attenti, crea un'atmosfera di mistero, per poi stupirti e svelarsi appena la apri e ti affacci.

Magari, chissà quando, andiamo insieme a zonzo per Bologna fuori dalle rotte canoniche.

25/10/2020 - 18:45

AUTORE:
Antonietta Timpano

L'articolo è di un'inaspettata serenità. Ed è molto bello.
Da Monet all'osteria "Da Vito".
Dalla rarefatta bellezza dei fiori e delle ninfee di Monet alle tagliatelle al ragù saporitissime, gustate 'in sicurezza'.

La foto scattata da Laura è altrettanto bella.
Sembra che Monet ti stia guardando, con uno sguardo tenero e compiaciuto. Come se intuisse che per vedere la mostra hai viaggiato da San Giuliano a Bologna, sfidando il virus. Sembra che ti ringrazi.

Io ringrazio te per la compagnia che i tuoi articoli domenicali mi tengono.
Oggi è apparso Monet. Inaspettatamente ha rinfrescato i pensieri.

25/10/2020 - 16:02

AUTORE:
Daniela

Leggere questo articolo è stato come fare un bel viaggio pieno di delicate sorprese. La prima è certamente l’incontro con l’amore che il vecchio Monet prova per le sue ninfee, la natura e la vita; la seconda è la descrizione emotiva con la quale Ovidio ci parla delle tele, dei colori, dei pensieri di pace dell’artista per la sua patria e per il mondo; la terza è l’affetto che unisce un padre e una figlia e che si manifesta con riservatezza in questa splendida fotografia in cui il pittore sembra salutare Ovidio, ma anche noi più lontani; la quarta è un soffuso profumo di tortellini con musica di sottofondo. Non voglio disturbare, mi ritiro e chiudo piano la porta.

25/10/2020 - 15:32

AUTORE:
gio'

Nell'utimo viaggio a Parigi, qualche anno fa, ho visitato anche il museè D'Orsay, uno splendido sito artistico, ricavato in una ex stazione ferroviaria da Gae Aulenti, una archistar connazionale che rende onore al nostro paese nel mondo...

In uno spazio relativamente piccolo, hanno realizzato una splendida esposizione, valorizzando in modo conveniente oggetti d'arte notevoli ed importanti, presentati in una cornice suggestiva con cura ed attenzione....

C'erano anche in quell'occasione numerosi dipinti di Monet, fra altre opere di contemporanei coevi e predecessori illustri, di scuola francese, e non ho potuto che ammirare i lavori dell'artista, le sue esplosioni di colore, le suggestioni cromatiche rivoluzionarie e inedite all'epoca, gli accostamenti e variazioni di intensità a definire nuovi spazi e luce, in paesaggi estivi di campagna capaci di impressionare l'anima, con nuove sensibilità e suggestioni inesplorate.....

mi sono perso tra le famose ninfee, e sono stato abbagliato dal talento e dalla perizia, e più' ancora da ispirazione e originalità compositiva, rendendo omaggio doveroso ad un grande....

Non ho potuto fare a meno di considerare che i nostri macchiaioli toscani, sono stati ancora una volta anticipatori della Wave, e degni emuli di una tradizione gloriosa e universale, e che la Maremma da loro fissata in opere di indubbio valore, non abbia da temere confronti con l'Ile de France o la Provenza....

Resta comunque, il modo e l'approccio diverso dei cugini d'oltralpe nell'interazione con l'arte, che riescono a valorizzano e rinnovano costantemente, promuovendone la diffusione e la facile fruizione, se paragonati alla nostra sciatteria e colpevole trascuranza....

Con le opere che noi nascondiamo e dimentichiamo nei magazzini, trascuriamo o lasciamo deteriorare incivilmente, loro allestirebbero altri mille spazi D'ORSAY, e gran parte delle opere che detengono, e permettono di fruire al godimento universale, con merito globale encomiabile , sono estere....

AH CHE VERGOGNOSO CONFRONTO, con un paese degenere che lascia depauperare il principale patrimonio storico e artistico mondiale, e andare in malora gioielli senza tempo, a Pompei, Agrigento, in altre cento città e mille borghi, senza un rimpianto!

25/10/2020 - 11:17

AUTORE:
Marilena

Che bell articolo! Ricordo un bellissimo viaggio in Francia con Giuseppe anni fa. A Giverny l'atmosfera era incredibile. Rivedo il sentiero della casa di Monet, con il suo tappeto tempestato di fiori. Sul ponte l'aria era densa, le ninfee delicate nei loro colori galleggiavano sulle grandi foglie, così come l'aveva ideato Monet... Sembra impossibile che oggi non si possa viaggiare.. noi non ne abbiamo il coraggio. Mi fa piacere che tu e Laura abbiate visto questa mostra, così abbiamo potuto usufruire della sua bellezza anche noi