Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
FINALMENTE DOMENICA!
Il 2020, così assurdo e imponderabile, per i linguisti dell’Oxford English Dictionary è un anno indefinibile e non avrà una parola simbolo. Ai professori inglesi evidentemente è sfuggito l’inizio di Propaganda Live di venerdì 27 novembre:
“Quest’anno continua a essere un anno di merda, si può dire tranquillamente, proprio così, lo dico proprio piatto, perché ormai no… voglio dire, siamo così, siamo che è morto il più grande di tutti e, niente, insomma è una notizia, è difficile prescindere da quanto è successo… che era l’altro ieri? neanche mi ricordo più… sì, mercoledì di pomeriggio: Diego Armando Maradona non c’è più, Diego Armando Maradona ci sarà per sempre, mi sento di dire la più grande delle banalità, ma è la cosa più giusta da dire”.
Così Diego Bianchi ha aperto Propaganda Live. Con le feste che s’avvicinano, non ne parliamo, che tristezza… una delle poche cose allegre che mi può capitare è il Capodanno 2021 con Propaganda Live!
Non pensavo che anche uno atifoso come me, con una memoria calcistica in bianco e nero (da ragazzino i miei idoli erano “l’angelo dalla faccia sporca” Omar Sivori e “il gigante buono” John Charles) si commuovesse e partecipasse al compianto di milioni di persone per Diego Armando Maradona. Forse perché io mi faccio commuovere dalla commozione pacifica degli altri, dalla serie sono felice quando gli altri sono felici e il contrario. Io, per me sono già convinto di questa risposta.
Se poi riguardo il riscaldamento con le scarpe slacciate sulle note di Live is life nella partita contro Il Bayern di Monaco, che dire? Be’, per gli acalcio come me (però da ragazzetto giocavo benino) basta questo balletto… na na na na na…
Guardando un film, anche leggendo gli articoli che sono stati pubblicati sui giornali e sul web in questi giorni alla fine ho pensato qualcosa che non avevo capito prima di Diego Armando Maradona.
Il film che ho visto è il documentario Maradona by Kusturica, presentato nel 2008 fuori concorso al Festival di Cannes e trasmesso nel corso della trasmissione Atlantide sulla 7 mercoledì 25 novembre, giorno in cui Maradona è morto, lo stesso in cui è morto (quattro anni prima) l’amico Fidel Castro. Intanto ho capito che Maradona ci ha insegnato a sognare. “Ho due sogni: il primo è giocare un Mondiale, il secondo è vincerlo”. “Salir campion”, è il sogno di Diego ragazzetto in bianco e nero che gioca nel fango, padre operario e madre casalinga. “Sono cresciuto in un quartiere povero di Buenos Aires. Un quartiere senza acqua, senza luce e senza telefono.” “Mi resi conto solo da grande che a mia madre, quando vedeva che non c’era da mangiare, veniva mal di stomaco. Non era mal di stomaco, volevamo che mangiassimo noi.”
Quella ragazza che ti piace e vorresti baciare, ti bacia. Non riesci ad arrivare in porto con gli studi, e ce la fai a pieni voti. Hai un ideale dentro di te, lo porti avanti e si avvera. Ti senti triste, e incontri qualcuno che ti fa giocare e ti rallegra. Non hai mai vinto niente in vita tua, ecco il tuo riscatto e sei primo. Maradona arrivò al Napoli nella stagione 1984/1985 e, come succede a Macondo in Cent’anni di solitudine, la realtà fu a un passo dalla fantasia. Tra il mondo reale e quello immaginario, nel romanzo di Gabriel Garcia Márquez, c’è uno scarto minimo. Ogni domenica Maradona faceva vedere cose che sembravano impossibili, stava in campo non come uno super allenato che lo fa per mestiere, ma come un poeta o un artista, gioca come un ragazzino pieno di talento che si diverte e gli capita di fare qualche miracolo col pallone. Le vittorie del Napoli negli anni che seguirono (due scudetti, coppa Italia, coppa Uefa), mi pare chiaro, contribuirono a rendere allegra la gente e ad alimentare i sogni di un futuro migliore nei ragazzi come Diego. Se qualcuno era bravo il complimento era: “Sei come Maradona.” Però se qualcun altro avesse fatto il gradasso e fosse stato un millantatore arriva il rimprovero: “Oh, calmati, chi ti credi di essere… Maradona?” Ecco, per farcela devi sognare e inseguire il tuo sogno per tutta la vita. Senza montarti la testa.
Nell’articolo che ho letto, Il mito ribelle che donò la felicità alla mia infanzia di Roberto Saviano (la Repubblica, 26 novembre 2020) mi ha colpito un passo che si vede anche in una scena del film di Kusturica. Il padre di un ragazzino malato chiede a Maradona, appena arrivato a Napoli, alla metà dei suoi anni Venti, di giocare una partita di beneficenza ad Acerra per raccogliere fondi per far sì che suo figlio possa fare un’operazione per salvarsi la vita. “Ferlaino, il presidente, non acconsente alla richiesta e Maradona paga una clausola da 12 milioni di lire nell’85 e gioca in questo campo di patate, fangoso dicendo: Si fottessero i Lloyd di Londra, io gioco lo stesso”.
Corrado Ferlaino aveva paura che i giocatori si infortunassero (specialmente Maradona) e poneva problemi assicurativi. Maradona era figlio del popolo, conosceva la sofferenza e la fatica di vivere, pagò la penale all’assicurazione. La partita si giocò, c’era tanta gente e tanti bambini che non erano mai stati allo stadio San Paolo di Napoli. Nel film si vede il riscaldamento dei giocatori del Napoli in un parcheggio fangoso. Maradona, per scaldarsi, si muove come un pugile e tira pugni nell’aria, poi si fa una foto con dei bambini. Comincia la partita. I fondi erano stati raccolti, agli spettatori era bastato vedere Maradona, a Maradona sarebbe bastato giochicchiare. Macché. Diego non fece la differenza tra un’amichevole in un campo fangoso e una finale al Maracanà, giocò come era abituato a fare da piccolo, correndo nel fango, scartando gli avversari, fece una finta per mettere col culo a terra il portiere e segnò un gol dei suoi con scivolata nel fango. Frase celebre di Maradona: “Se stessi con un vestito bianco a un matrimonio e arrivasse un pallone infangato, lo stopperei di petto senza pensarci”. Era come ritornare nel fango in cui era nato.
Maradona è stato anche vizi, eccessi, escort, alcol, cocaina, che è la parte più triste della sua vita. La Camorra conosce le sue debolezze, gli fornisce il veleno e lo tiene in scacco. Scriveva Borges: “Ho commesso il peggiore dei peccati / che possa commettere un uomo. / Non sono stato / felice”.
Nelle mie solitarie passeggiate sui Monti Pisani ho incontrato un giovane escursionista di Recanati che si è trasferito a San Giuliano. Al pensiero che veniva dal paese di Leopardi ho detto: Bello! E lui: Leopardi era triste. È la considerazione che facevano i miei studenti, e io non avevo una risposta pronta, ora ce l’avrei: Anche Maradona… Maradona è stato un eroe triste. Siccome il calcio è bellezza, come la poesia, abbiamo avuto la fortuna di vedere un frammento di bellezza, come se avessimo visto Leopardi che scrive L’infinito. Certo, quel gol di mano non è poetico, se mai astuto, ma l’errore è dell’arbitro. “Morreu un deus imperfecto”, ha titolato Público.
C’è una curiosa autointervista con un Diego in giacca e cravatta che intervista Diego in maglietta (rintracciabile sul sito Internazionale.it, 25 novembre 2020, Diego Armando Maradona, lo specchio dell’Argentina).
Diego in giacca e cravatta chiede al Diego in maglietta di cosa si fosse pentito.
“Di non essermi goduto le mie figlie che crescevano, di essermi perso le loro feste… Mi dispiace di aver fatto soffrire mia madre, mio padre, i miei fratelli, coloro che mi amano. Mi dispiace di non aver potuto dare il cento per cento nel calcio perché con la cocaina ho dato vantaggi agli altri. Non ottenevo vantaggi, li davo agli altri.”
Diego in giacca e cravatta chiede al Diego in maglietta di dire qualche parola quando sarebbe arrivato il giorno della sua morte.
“Cosa gli direi? Grazie di aver giocato a calcio, grazie di aver giocato a calcio, perché è lo sport che mi ha dato più gioia, più libertà. È come toccare il cielo con le mani. Grazie al pallone. Sì, metterei una lapide con su scritto: grazie al pallone”.
Maradona era genio e sregolatezza, è inutile dire ma se non avesse fatto quella vita di eccessi e dipendenze... Probabilmente la sua sregolatezza era parte del suo essere genio. Era mancino, giocava con la sinistra, che “secondo il Piccolo Larousse significa il contrario di come si deve fare”, osserva Eduardo Galeano. Io non so dire se era il più grande di tutti, dico solo che nella mia personale classifica romantica, che comprende anche Mané Garrincha, Diego Armando Maradona è il Numero 1.
Potrei finire qui, ma è troppo bello l’omaggio di Makkox per Diego che tento di riassumerlo, è meglio vederlo sul sito de LA7. Il cartoon dura due minuti. Titolo: Numero D’10.
Maradona è in cielo e si prepara a battere una punizione. Dio è il portiere, dispone la barriera e mette un uomo, Sebastiano come al solito trafitto di frecce, sul palo.
Dio vuole qualcuno sdraiato in barriera, perché quello tira sotto la barriera.
In barriera Gesù si mette le mani davanti e un angelo gli dice: “Perché ti proteggi con le mani lì?”
Gesù: “Lascia perdere… voi angeli non potete capire”.
Maradona tira… Una voce: “Famose a croce.”
La palla sorvola la barriera.
Gesù: “Lui non le ha mai evitate le barriere, ha sempre provato a saltarle.
ZOW… Dio rimane con le mani in mano. SCIUN! La palla si infila nell’incrocio sinistro della porta.
Dio:” Dai, Diego, mi dici come fai?”
“Ah ah ah… nessun segreto è questione di gioia e di allenarsi tanto… tipo, palleggiare con un frutto, così.”
“Ma quella è una mela! Non hai preso mica una delle mie mele?!”
Maradona corre sul campo con la mela al piede e Dio lo insegue urlando: “Corri, corri, tanto te la tolgo!”
“Eh eh… dite tutti così…” “Te la tolgo quella faccia da schiaffi…” Te lo tolgo quel vizio…” “Te la tolgo quella palla…” “… Ma dovete prima arrivarmi”.
E corre tra le nuvole calciando la mela rossa.
Si vede di spalle, con la maglia azzurra Numero D’10.