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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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La bonifica nel tempo.

26/1/2021 - 9:41


 
I nostri vicini hanno sofferto più di noi della mortale “malaria” che colpiva le popolazioni che abitavano ai margini del lago di Massaciuccoli. L’anofele era sconosciuta e la malattia, ora debellata, era creduta dovuta alla pestifera aria che si respirava nelle zone acquitrinose del padule. Per mandare lontano l’aria mortifera furono tagliati tutti gli alberi della zona costiera e cercato di bloccare l’ingresso delle acque marine nel lago, altro motivo di paura nella convinzione che quel mescolio fosse anch’esso causa delle morti. L’assurdo poi è la forzata ripiantumazione voluta da Lucca per la paura che le arie malsane arrivassero in città!
Studiosi ingegneri ed eminenti esperti si cimentarono nell’enorme lavoro di bonifica durato secoli e che ancora preoccupa per altri motivi. Il progresso ha debellato la mala aria, ma ora la lotta è contro la subsidenza!
Questo riassunto è tratto da: “Paesaggio Naturale ed Antropizzazione nella zona lucchese del Parco Regionale Migliarino S. Rossore Massaciuccoli dal 1740 al 1847” a cura di Nicola Laganà 


 Il taglio delle Macchie delle Marine

 
La Repubblica di Lucca aveva condotto una politica di salvaguardia di questa striscia disposta tra la foce del Serchio ed il confine con Motrone. A questo riguardo Baldassar Del Giudice aveva condensato decreti (del 1505-1586) che vietavano di incendiare, danneggiare o tagliare legname e di “estrar legname” di querce, lecci, peraggini, melaggini, prugnoli, con poche deroghe per gli ontani, le stipe ed i zinepri (ginepri).

Dopo un taglio parziale, nel 1727 il Consiglio Generale trattò della convenienza di ripetere il diboscamento, da cui, oltre l’utile per le moltissime legna da vendersi, si attendeva un miglioramento dei terreni, e conseguentemente dell’aria di quei luoghi infetti (come sosterrà lo Zendrini), affidando l’incarico alla Cura sopra il Taglio delle Macchie, che rimase fino al 1733 (Bongi). Dal 22 maggio 1744 all’Offizio sopra la Foce subentrò la Cura sopra la Bonificazione de’ terreni, che lavorò fino al 1766, trasformando terreni diboscati in seminativi, tutti di eguale misura, col nome di Chiuse [di 24 Coltre, cioè 9 ettari e mezzo circa], prima affittati, poi dati ad enfiteusi tra il 1749 ed il 1786.
Queste operazioni attirarono dai paesi lucchesi la manodopera, che rimase per coltivare i terreni conquistati al bosco ed agli acquitrini. Luigi Pedreschi ha sintetizzato così le operazioni:
L’applicazione delle famose Cateratte alla foce del Canale Burlamacca (1741) e il successivo taglio di una parte della macchia (vennero abbattuti 44.000 alberi di alto fusto, cioè querce, ontani, lecci, frassini, ecc.) ridussero fortemente la malaria e consentirono la creazione, su di un migliaio di ettari, di aree coltivate (le cosiddette Chiuse, difese dal vento marino, a partire dalla seconda metà del XVIII sec., da piantate di pini). Poi pini domestici e marittimi (assieme ai lecci) sostituirono le essenze tradizionali in 2 fasce separate, più ristrette e vicine al mare (Pineta di Levante a S e Pineta di Ponente a N), successivamente allargate a seguito dell’avanzamento della costa, e che in genere non superarono il mezzo miglio.
Essi vennero scelti perché resistenti alla salsedine e capaci di adattarsi al terreno sabbioso, ma anche perché fornivano legname per le costruzioni navali e pinoli per l’alimentazione. Nacque così il primo bosco pinetato litoraneo del Settecento, presto imitato anche dal Granduca di Toscana!

 

(sono abbastanza suscettibile sia al tono delle parole ascoltate sia di quelle scritte/lette e questo punto esclamativo mi sembra un segnale di attenzione campanilista(?) a noi del “granducato” che pensavamo fossimo stati, con Scipione Salviati, i primi a piantar pini da pinoli!)


Queste piante dovevano ricostituire la barriera che proteggeva le coltivazioni dai venti marini.
Da notare poi che la vegetazione selvatica intorno al lago e nelle zone paludose era costituita soprattutto da canneti e falascheti (Claudium mariscus). Questi ultimi venivano sfruttati per impagliare sedie e fiaschi, per costruire capanne, canestri, ecc. e per la lettiera (strame o farletto) degli animali, o per concimare gli olivi. A questo proposito, il maggior sfruttamento del padule – ha scritto Paolo Dinelli– si verificò nei secoli XVII e XVIII, quando gli abitanti di Massarosa e delle altre frazioni non si erano ancora estesi ai piedi delle colline e lungo la strada di Lucca, ma stavano raccolti sui monti, intorno alle loro Pievi, dalle quali, in una determinata stagione dell’anno, allorché il falasco era alto dell’acqua, scendevano per la falascara.

Allora il Commissario di Viareggio di notte e in segreto, spediva l’ordine di falascara al pievano di Pieve a Elici il quale, ricevuto il messaggio, faceva suonare la campana a martello. Il suono di quei rintocchi, che rompevano il profondo silenzio della notte, avvertiva gli abitanti ancora immersi nel sonno che la mietitura aveva inizio. Così tutti correvano a perdifiato per giungere primi presso il lago.

La situazione igienico-sanitaria migliorò ed iniziò la sistemazione del terreno prosciugato e diviso in 113 lotti regolari di 24 coltre (chiuse), che si unirono agli antichi colonnelli. Questi lotti vennero assegnati a sorteggio, in enfiteusi, finché durasse la linea mascolina, per un canone annuo simbolico di 3 Scudi a nobili e ricchi borghesi. Iniziò così la migrazione dalle comunità della Vicaria, da Lucca e dalla sua pianura, dal Camaiorese, dalla Garfagnana di centinaia di contadini e braccianti, che fecero aumentare la popolazione di Viareggio e Torre del Lago. Altri, legati ad attività commerciali o alla marineria, vennero da località pisane, livornesi, pistoiesi, fiorentine e liguri.
La bonifica sembrò che avesse risolto il problema delle epidemie, ma ogni tanto ci furono anni neri. I più gravi furono il 1754 ed il 1755, quando si manifestarono epidemie varie, intervallate dal vaiolo. Per questo un anonimo redasse nel 1785 un Memoriale, attribuendo le cause dell’aumento della mortalità: 

prima al sollevamento di sì grande quantità di Padule per la costruzione di tante, e così larghe fosse, dal quale inalzandosi delle perniciose esalazioni, dové soffrire l’Aria una considerabile alterazione; la seconda al Libbero ingresso che l’acque Marine cominciarono ad avere copiosamente nelle Acque stagnanti di quei Paduli.

 Egli riteneva che il progetto dello Zendrini (e non il taglio della macchia) avesse reso migliore l’aria, poiché dopo la costruzione delle Cateratte divenendo l’Aria migliore, come è a tutti noto, non solo rispetto agl’Abitanti, che le nuove coltivazioni avevano richiamato a Viareggio, ma ancora agl’Abitatori delle vicine colline, i quali, come si rivela da un Memoriale dell’Ill.mo Offizio della Foce del dì 28 X.bre 1742 cominciarono nell’anno seguente alla costruzione delle Cataratte a provare tosto i benefici effetti col godimento di una migliore salute in tempo, in cui appena potea dirsi cominciato il Taglio delle Macchie.


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28/1/2021 - 13:38

AUTORE:
P.G_

La malaria è una malattia da infezione causata da un protozoo parassita, che si chiama plasmodio (Plasmodium), che vive e si riproduce alternativamente nel sangue umano e in diverse specie di zanzare appartenenti al genere Anopheles. L’uomo contrae la malattia in seguito alla puntura infettante della zanzara femmina, che rappresenta il cosiddetto vettore, che a sua volta si infetta pungendo (per il suo pasto di sangue) una persona nel cui sangue circolano i parassiti malarici. Ne consegue, dopo pochi giorni di incubazione, la malattia; malattia che tipicamente si presenta con febbre anche elevata e con altri disturbi sistemici simili a quelli che si osservano in individui con infezioni similinfluenzali. Dal momento che in Italia la malaria è scomparsa in quanto efficacemente debellata, soltanto gli individui che tornano da paesi in cui ancora la malaria persiste.

Narra un’antica leggenda vietnamita che le zanzare nacquero dalla triste storia amorosa di un amante tradito. In un villaggio sulle palafitte due giovani sposi vivevano amandosi felici, quando la sposa si ammalò e morì in pochissimi giorni. Il “Genio della palude”, toccato dal dolore dello sposo, punse il suo dito e da una goccia di sangue trasse nuova vita per la fanciulla morta: la sposa tornò a vivere e vissero a lungo felici, dimenticando l’orribile passato. Ma una sera la sposa fuggì e insensibile alla disperazione e alle preghiere del consorte ripagò la vita ricevuta pungendosi un dito e restituendo la goccia di sangue. Improvvisamente il suo corpo divenne polvere, la polvere cadde nell’acqua della palude e si animò: nacquero così le larve di zanzara. Ancora oggi la sposa non si rassegnerebbe al suo destino ed ogni notte punge, nella sua veste di zanzara, con la speranza che una goccia di sangue possa restituirle la vita.