Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Non deve essere solo una celebrazione di caduti, stragi e profonda brutalità questa voglia-bisogno di ricordare, ci sono altri pacifici degni personaggi che ne hanno diritto, specialmente se sono del tuo paese.
Nel maggio del 1917, su “Il Ponte di Pisa”, giornale che usciva solamente la domenica, c’era questo lungo articolo:
Il poeta falegname di Migliarino.
Dalla produzione poetica di M.G. Barsotti il prof. De’ Negri ha fatto una presentazione veramente organica, per modo che la figura del geniale artista balza viva e fresca dall’opera sua, nei suoi aspetti più interessanti è quasi il Barsotti che, per bocca del suo presentatore, presenta sé stesso:
Quando stride la pialla affaticata
sul duro legno e me curva il lavoro,
io penso che giammai, forse, l’alloro
poserà sulla mia fronte accasciata.
E un’onda di tristezza inusitata
su me si stende mentre il sole d’oro
brilla sui campi e libera il tesoro
d’inni sonanti dalla strofa alata.
Oh come allor volentier morrei
senza un sospiro solo di rimpianto,
per questa vita ch’io maledirei!
Ma il pensier de’ miei bimbi affrena il pianto,
triste retaggio de’ verd’anni miei,
e non impreco più: lavoro e canto.
Ma dove canta il Poeta?
Nei luoghi ch’egli stesso ci presenta così bene: lungo il Serchio dalle sonanti acque turchine, su rocciosi colli di Vecchiano, veri nidi di streghe, nella chiara luminosità del meriggio, nel fascino mite della notte.
O notte! Anch’io t’invoco; o che d’arcano
pallore circonfusa erma tu splenda,
e risponda del vento al fiero: la villa abbandonata. Ecco la villa: invito;
nei cupi spazi ricercati invano
ammiro, fin che il tuo velo si stenda,
il divino mister de l’infinito.
Il mirabile paesaggio si anima a poco a poco. Dolci figure di donna entro al verde dei boschi e nei canneti la nota gentile dell’eterno femminino. Una stornellatrice che canta, ma la voce le vien triste a mancare, perché ripensa all’amore suo primo: una bionda figura di fata che veglia al balcone solitario; un’amica gentile cui il poeta indirizza due sonetti deliziosi in forma di epistola, che della lettera hanno tutta la freschezza e il fare spigliato; una fanciulla misteriosa di cui parla nel suo silenzio eloquente: la villa abbandonata. Ecco la villa:
È deserta. Le imposte
chiuse come occhi ciechi,
sbarran la strada agli echi,
de la vita; nascoste,
ne gli oscuri ambulacri
dormono le memorie,
de le lontane istorie
restano i simulacri.
Su la torre merlata
immota la campana
guarda la via lontana
in fondo a la vallata.
Non un sussurro vola
entro la muta casa;
da l’abbandono invasa
s’erge sinistra e sola,
e l’ombra del mistero
come un serpente striscia
su la parete liscia
del turrito maniero.
Ella è partita e il vento
non bacia più le chiome,
non dice più il suo nome
al vespro sonnolento.
E finalmente la giovinetta sorella del cantore
…cui tre lustri sfiorano la chioma
bruno ondulata fu di ridenti sogni
lieta si pasce l’animo gentile…
La dolce sorella cui il Poeta vuol sciogliere il suo più bell’inno il giorno della vittoria.
Quando, o sorella il dì che muor saluta
l’ultimo raggio del sole cadente,
a la lontana giovinezza torna
il mio pensiero.
E rivedo i miei fiorenti anni in che lieti
correvan per le piagge erme, cogliendo
fiori e farfalle al volo incoscienti
de l’avvenire.
A noi rideva il sol da la vallata
in un perenne scintillio di raggi
circonfondendo di dorata luce
la nostra vita.
Ma lungi dal mio capo, ahimè, disparve
rapidamente la prima illusione;
or più tristi pensier gravan la mente
usa a le lotte,
né più farfalle inseguo; ma una forma
evanescente che mi fugge ognora,
un’ammaliante deità superba
che à nome gloria
………………………………………………………………………
Ma se pur venga il dì che a la mia fronte
splenda un sol raggio de la gloria, allora
io scioglierò, sorella, un canto a l’aure
nel tuo sorriso
e a te le strofe voleran d’intorno
come una pioggia di dorata luce,
benedicenti nel bollente metro
l’arte e la vita.
Sogni di gloria, dunque, ma come la veglia succe al sonno, così lo scoramento tien dietro alla fede baldanzosa. E la voce dell’inesorabile necessità grida al povero, illuso, operaio:
… che giova sulle carte aver vegliato
dietro un miraggio che non è sincero?
Ah, taci! Il verso non ti ha mai sfamato!
E dopo il disinganno il dolore, e dopo il dolore la morte. La morte del suo bambino che il Barsotti piange in una breve elegia che è veramente un gioiello:
Dormi, o mio piccolo fiore
de gli angeli il sonno tranquillo,
de l’ardua vita l’assillo
a te non strugge più il core.
Cinto di luce immortale
fra gli astri e gli aerei fiori,
del cielo fra i bianchi fulgori
al volo sciogliesti l’ale.
Per la precipite china
che al campo de’ morti conduce
anch’io m’incammino e la luce
del tumolo s’avvicina.
Aspettami, bimbo, perché
il core mi sento già stanco,
io voglio adagiarmi al tuo fianco
ne l’ultimo sonno con te.
Pur la vita riprende, anche per il Barsotti, i suoi diritti, e la poesia, divina consolatrice della pallida melanconia dal mondo, ancora una volta gli sorride al sopraggiungere della primavera:
Io sento la mia balda giovinezza
entro le vene rapida fluire,
e al sol di maggio alta salire
di novi canti un’agile freschezza.
Lascia il pensier la consueta asprezza
s’acquieta il fiotto delle torbide ire,
e l’anima s’innalza ad inseguire
l’idea che splende de la sua bellezza.
Ad ogni suon che per l’eterea volta
lieve s’espande in sussurrio di fonti
soffermasi ella trepida ed ascolta;
trepida ascolta e a’ sogni s’abbandona;
ma l’armonia de’ liberi orizzonti,
nel largo endecasillabo risuona.
Con poche poesie tratte dal volumetto “Le canzoni dell’Esare”, Averardo De’ Negri che la sottile acutezza del critico piega alle manifestazioni del terso, brillante giudizio, ci ha rivelato nitidamente la figura del poeta falegname di Migliarino, che giovane e promettente ancora (è nato nel 1879) e nutrito di piccoli studi (non ha fatto che la terza elementare) possiede tutte le prerogative, tutte le squisitezze di un nobile artefice di versi.
A M. G. Barsotti rinnoviamo rallegramenti ed auguri quali si merita coll’anima sua eletta; ed all’amico prof, De’ Negri che fu del poeta come il Cristoforo Colombo per i soci e gli uditori della Università popolare, diciamo la più calda riconoscenza per il godimento che ci ha offerto colla presentazione di questo popolano, di questo operaio che la pialla ha nobilitato coll’esercizio gentile dell’arte.
Articolo lunghissimo per un “popolano” di paese, una bella riconoscenza che dovremmo anche noi fare a chi ci ha fatto conoscere la pura poesia.
Una sola cosa stona nello scritto: cosa ci voleva a scrivere, almeno una volta, MARCO GIUNIO, anziché uno sterile M. G.?
La poesia del figlio morto è davvero un gioiello, commovente come poche altre e un grandissimo errore è stato quello di aver disperso la lapide della tomba del bambino dove vi erano questi versi.
Averla posta in visione sarebbe stato il più bel riconoscimento.
Vai Marco, se in cielo suonano le arpe, te danni di “bombardino”!
Marco, nella foto della Banda di Migliarino a Roma, penso anni ’30 ’40, per le celebrazioni dell’Anno Mariano, è quello in piedi in basso a destra con cappello e occhiali.
Il labaro riporta:
"OPERA NAZIONALE DOPOLAVORO
(?) AZIENDALE
TENUTA SALVIATI
(?) ANNO MARIANO”