Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Giovanni Targioni Tozzetti (Firenze, 11 settembre 1712 – Firenze, 7 gennaio 1783) è stato un medico e naturalista italiano laureatosi in medicina a Pisa nel 1734. La sua opera maggiore è "Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana" per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa (Firenze, 1768-1779). Sicuramente però uno degli aspetti più interessanti dei Viaggi fatti in diverse parti della Toscana è quello geografico: Targioni Tozzetti infatti perseguiva il proposito di definire una mappa "letteraria" della sua regione, intento conseguito con grande precisione e cura.
Qui, nella continuazione del viaggio da Serravezza a Firenze, tratto Pietrasanta- Pisa, si riporta il suo studio sulla morfologia del nostro territorio con “strane” (adesso) annotazioni e consigli di regimazione delle acque.
[…] Da Livorno alla Foce del Lago di Montignoso, sono nove foce d’acqua che entrano in mare, le quali oggi sono tutte con poco fondo, e pericolose. Si potrebbe di dette nove foce farne due buone, ed una mediocre; e le dette nove sono queste. Cominciando da Livorno la Foce di Stagno, la quale si avrebbe a serrare, com’è detto; la Foce del Fiume Arno, la quale è la principale, quale si avrebbe a mutare donde l’è oggi, e metterla altrove, come io ne dirò a bastanza. Di poi segue la Foce di Fiume Morto, la quale si avrebbe a serrare, e voltarla, e farne il principio dove s’avrebbe a fare la Foce d’Arno, che di tre se ne farebbe una sola perfetta e buona. Dipoi segue la Foce di Serchio, dal qual fiume se ne avrebbe a cavare più acqua che fussi possibile, e per tutte le vie che si potesse; e quelle che si potesse, metterle nel Fiume Arno, che sarebbero quelle che si pigliavano a Librafatta, e che venivano a far macinare al Mulino delle Carte, e dipoi venivano in Osoli. Per detto fiume d’Osoli, mettendovi detta acqua, con quella solita sua, si potrebbe condurre da Librafatta ogni cosa che facessi di bisogno a Pisa; e dipoi dette acque metterle nel Fiume d’Arno, come ho detto o in una parte, o in due, secondo fosse più a proposito. Dipoi per giù di detto Fiume Serchio, di sotto Torre a Filicaia, dove sta la Posta, per quella fossa che si fece gli anni passati, dove facendo quello Scandiglio, fare detta fossa più larga, e più fonda che non si fece in quel tempo, e cavare di detto Fiume Serchio più acqua si potesse, e tirala in Fiume morto, per alleggerire l’acqua alla Foce del Serchio, e così ancora per un basso che è dalle Capanne di Bosco al Fiume, farvi un altro esito per cavar più acqua che si potesse, e la metteresse in detto Fiume Morto; e ordinato un Fiume nuovo a detto Fiume Morto, che principiasse dirimpetto a un pezzo di Torre antica. Che è tutta murata a mattoni, che si dice per antico essere stata la Torre di Foce, avanti però che si facessero i due esiti, bisognerebbe fare il detto Fiume nuovo, che pigliasse il Fiume morto, e tiralo fra due cotoni che sono in detto luogo, e farlo venire verso il Fiume d’Arno, infino al diritto di San Bartolomeo di S. Rossore, e lì, se facesse di bisogno, voltarlo alla volta di Mare, dove oggi il Mare ha fatto un gran Golfo, perché il Fiume d’Arno ha spinto il mare con pieno tanto innanzi, che detto luogo è restato in dietro, ed ivi il Mare presentemente ha buon fondo. Condotta che fosse in questo luogo la bocca del nuovo Canale di Fiume morto, bisognerebbe aprire i sopraddetti esiti affinchè cavassero dal Serchio più acqua che si potesse, e la mettessero in detto Fiume morto, per farla andare per esso Fiume nuovo a detta Foce nuova, coll’avvertenza di voltare essa Foce nuova in modo che imbocchi a diritto nel Mare, verso il maggiore e più possente Vento che regni in Mare. Quando detta foce sarà stata aperta un anno, vi si potrà cominciare a voltare una parte del fiume d’Arno, alla Volta degli Asini, dirimpetto a S. Pulinario di Barbarecina, e mandarlo per quel fosso che al presente v’è fatto. E perché il detto fosso non sarebbe capace di tant’acqua, bisognerebbe allargarlo di verso S. Pulinario e di verso di Barbarecina, e di verso S. Piero in Grado, e attraversare detto S. Rossore con detto Fiume d’Arno e andare a trovare detta Foce nuova per diritto, come ho detto. E quando esso Fiume d’Arno avesse fatto la sua capacità e fatti gli argini da ogni lato del fiume, colle macchie di salci e alberi da Pisa al mare e lasciarlo andare tuto alla volta del Mare in detta Foce nuova, alla quale, avanti che vi si mettesse tutta l’acqua che v’ha da ire, bisognerebbe fare una grossa parata di buoni e lunghi legnami da ogni banda di detta foce, lasciando una larghezza ragionevole, piuttosto nel manco che nel troppo largo e dette parate farle più lunghe che si potesse in mare, e senza ficcare palo alcuno, incatenare detti legnami l’uno con l’altro, e riempirli con buone pietre, e grosse e acconciarle in un certo modo che sarebbe buono, ma io non lo so scrivere. […]
p.s e n.b-
San Pulinario è la storpiatura di Sant’Apollinare, la chiesa di Barbaricina; Torre a Filicaia e Posta sono la Torretta di Via dei pini (rotatoria di Via del mare) con la casa dirimpetto e lo Scandiglio è il fosso della Storigiana; Torre antica o Torre di foce era la Torre Riccardi di San Rossore, ma lo strano Librafatta non lo considero un refuso toponomastico linguistico, ma il vero nome di Ripafratta datogli dai romani. Dopo la “miracolosa” deviazione dell’Auser ad opera del vescovo Frediano, il fiume corse per la nuova strada e dovette fare un balzo per entrare nel territorio pisano rompendo il suo lineare flusso, ovvero il suo “pelo” dell’acqua che i latini chiamavano “libra”. Quel punto di rottura diede il nome alla località e paese, Librafratta, la ripa non c’entrava niente.