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Una vicenda tutta personale viene descritta in questo nuovo articolo di Franco Gabbani, una storia che ci offre un preciso quadro sulla leva per l'esercito di Napoleone, in grado di "vincere al solo apparire", ma che descrive anche le situazioni sociali del tempo e le scorciatoie per evitare ai rampolli di famiglie facoltose il grandissimo rischio di partire per la guerra, una delle tante. 

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per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Bagno degli Americani di Tirrenia
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Molina di Quosa, 8 luglio
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Casciana Terme Lari-Pontedera, 12 luglio-3 agosto
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San Giuliano Terme, 30 giugno
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Marina di Vecchiano -giovedi 4 luglio
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Alzarmi prestissimo al mattino
è un'adorabile scoperta senile
esco subito in giardino
e abbevero i fiori
Mi godo la piacevole
sensazione
del frescolino .....
Nel paese di Pontasserchio la circolazione è definita "centro abitato", quindi ci sono i 50km/ h max

Da dopo la Conad ci sono ancora i 50km/ h fino .....
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Intervista al dr. Paolo Malacarne
di Gabriele Santoni

21/2/2021 - 9:17

Paolo Malacarne: “O la Sanità è pubblica o non è!”
  
Mi aggiro in auto per le stradine intorno a Pappiana e per un attimo perdo l’orientamento. Recupero un paio di punti di riferimento, mi fermo e chiamo.
 “Salve”, di là sento pronunciare il mio nome, “sono vicino a una struttura accanto ad un orto. “Gira l’angolo”, mi dice. Lo faccio a passo d’uomo e lo vedo in piedi, fuori casa che mi aspetta in mezzo all’aia. Ha ancora il cellulare in mano.
Paolo Malacarne ‘”il dottore’”, alza un braccio in segno di saluto. L’avevo contattato per whatsapp, chiedendo di potergli fare un’intervista per la Voce del Serchio. Sono andato dritto al punto e ho scritto: “Ho accettato di fare una rubrica di interviste per La Voce del Serchio e volevo cominciare da te”.  “Certo, volentieri”, mi risponde.
“Si parla di tutto: lavoro, potere, passioni, letture, vita privata e famiglia, religione, amicizia vera, costruzione della Comunità. Ti va?”
“Quando vieni?”, e ci siamo messi d’accordo.
 
Entro in casa con lui e sono accolto dalla moglie Grazia, gentile come la ricordavo. In un attimo realizzo di non aver niente per scrivere. Il dottore lo capisce al volo.
“Ti avrei proposto di metterti qui”, e ammicca un divano accogliente davanti al caminetto, “penso però che se devi scrivere è meglio mettersi alla tavola di cucina”, e mi porge un pacchetto di fogli riciclati.
Il tavolo è di “quelli di una volta”, intorno ci starebbero una decina di persone. Ci mettiamo uno in cima e l’altro in fondo. Togliamo le mascherine, siamo distanti oltre due metri. La moglie si siede anche lei, dalla sua parte.
 
Rompo subito il ghiaccio dicendo che l’idea dell’intervista mi è venuta dopo che ne avevo lette un paio la settimana precedente, sui quotidiani locali, che davano l’idea che finisse la carriera non sereno, anzi carico di risentimento. Aggiungo che sulla rete alcuni avevano avanzato l’ipotesi che si volesse fare del dottor Paolo Malacarne “un santo” e che questo a mio avviso non giovava alla sua immagine.


“È plausibile”, mi risponde secco. Quello che mi racconti ci sta. Io non frequento i social. La moglie però conferma. Lui sospira sereno. “Ti dico come stanno le cose, la verità vera.”


E attacca. “Ho colto l’opportunità di andare in pensione. Il 30 agosto avrò 63 anni e lo posso fare, ma sarei anche potuto rimanere.  Ho soppesato tutto e l’unica ragione vera per cui lo faccio è perché Grazia è andata in pensione,” E guarda la moglie sorridendo. “Credimi, non è una fuga dal lavoro”, mi dice, “anche se col COVID si fa una fatica enorme. Tutto si è ingigantito, ma non avrei avuto paura di lavorare. Non è vero che vado via perché sono in disaccordo con la Direzione. Per questo lo sono da sempre. Anzi il mio contrappormi mi motiverebbe a restare. Pensa che, come sai, io vado in bicicletta al lavoro (chi non ha superato il Malacarne sulla via delle Prata mentre va o torna dall’ospedale, ndr), in quel tratto di tempo più lungo del solito, penso spesso a come fortificare il mio lavoro opponendomi a metodi direzionali che non accetto. Ma la mia scelta di smettere è tutta personale e va incontro alla famiglia, il resto sono discorsi. Anzi, adesso io e Grazia dovremo imparare a gestire una convivenza più fitta, che è un bene, ma anche una cosa a cui non eravamo abituati. Con la Direzione invece non c’è niente da fare. Il COVID ne è stata la dimostrazione. Questa del virus, per la medicina, è stata un’esperienza fortissima e nuova. Ecco, mai come ora ho toccato la distanza fra direzione aziendale e il luogo di lavoro, la trincea. Esiste un documento ufficiale dell’OTGC (Organismo Toscano del Governo Clinico) intitolato ‘Andrà tutto bene se saremo capaci di cambiare’ dove al primo punto si mette in evidenza ‘la distanza delle Direzioni’. Tutto volato via, come se non fosse stato scritto. Le Direzioni devono ascoltare chi lavora. Ai primi di maggio è stato fatto un documento dai Primari di rianimazione. Se ritorna la pandemia (nel senso che se, come poi è accaduto, torna il virus più intenso) facciamo un programma, eccetera eccetera. Un lavoro graduale che presupponeva certe scelte che non sto qui a evidenziare. Bene, nulla è stato fatto.”
 
Mi spieghi cosa c’è di speciale nel tuo reparto. Perché a volte sembra, che ci sia qualcosa che va oltre l’eccellenza. Non saprei descriverlo, ma si percepisce una diversità positiva.
“A Pisa ci sono sette terapie intensive e sono tutte buone. Lo dico con cognizione di causa. Ma noi, e lo dico con convinzione, siamo una diversità nell’eccellenza.”
 
Che vuoi dire?
“Il clima. L’aria di lavoro che si respira. Una situazione rigorosissima e non rigida. Una comunità dove tutti si collabora. Dove chi sta all’apice tiene sempre la barra dritta e dirige, ma fa anche le notti, come tutti gli altri. Sai che quando si diventa primari spesso non si vede più un malato? Da noi non accade. Ti riassumo così: Una cosa che va fatta, si fa, punto. E tutti in reparto lo sanno e collaborano!”
 
Mi pare di capire che non accetti volentieri l’appellativo di persona rigida che spesso ti viene dato.
“Come ti ho detto sono rigoroso, la rigidità come sai è un’altra cosa. Ho preso questo rigore dalla mia famiglia. Sono stato un figlio molto amato. Mio padre faceva il Preside e mia madre era Segretaria d’azienda. Una famiglia borghese. Tutti e due in gioventù hanno avuto l’esperienza del sanatorio che li ha cambiati in positivo. Hanno cementato un rigore morale tradotto nel ‘fare per gli altri’ che mi hanno trasmesso.
 
Che esperienze giovanili politiche e sociali hai avuto?
“Ho formato un collettivo al Liceo classico e poi sono stato nei Cristiani per il Socialismo e negli Scout, lì mi ci ha avvicinato Grazia. Ho fatto anche volontariato con i portatori di handicap.”
 
“Sei credente, questo è chiaro.”
“Certo. Per me la Fede è il senso. La vita è un dono. La sofferenza dell’innocente è inspiegabile. La fede non la spiega, ma credo in Dio.”
 
“Non sei materialista?”
 “Finito io non finisce tutto. E questo per me conta.”
 
Dimmi di te.
“Ho studiato medicina e fatto volontariato. Mi sono fidanzato con Grazia giovanissimo e abbiamo tre figli ormai grandi. Ho fatto il servizio civile come andava fatto. A Bicchio fra Torre del Lago e Viareggio, dai preti operai. Il giovedì prendevo il treno e tornavo a Pisa per la riunione degli scout, poi riprendevo il treno e raggiungevo la struttura di Bicchio percorrendo l’ultimo tratto in bici, a tarda notte. Tutte le settimane. Questo è il mio rigore. Fare le cose bene, con coerenza, fino in fondo. Ammetto che per un periodo di crescita della mia carriera ho lasciato indietro i figli, non dedicandogli tutto me stesso, ma Grazia ha ‘tenuto la barra dritta’ e il ritmo. Ed è stato importante per tutti noi. La famiglia come fondamento della vita.”
 
Mi chiarisci bene come un credente come te concilia il lavoro che fa, fatto di sofferenze e spesso abbandoni.
“Va fatto un ragionamento sull’Etica”, mi risponde, “se un malato non ce la fa, va fatto morire in pace. L’ostinazione ragionevole, l’accanimento terapeutico, non hanno senso. Sono per la legalizzazione dell’eutanasia.”
 
Questo non confligge col tuo essere cristiano?
“Assolutamente no. La vita è un dono di Dio e la mia responsabilità non si esaurisce alla fine della vita. Decido anche alla fine della vita. Il reparto è una comunità che si fortifica nel momento che prende una decisione importante sul fine vita. Ed è fondamentale coinvolgere i familiari e costruire con loro questo momento. Tutto questo è molto più forte del ‘sollievo’ che il familiare può sentire di fronte ad una morte traumatica di una persona senza speranza. Ma nella costruzione del fine vita ci sta la elaborazione del lutto, che è un fatto necessario e la condivisione forte che è crescita soprattutto nelle difficoltà.”
 
La parola Comunità ritorna come costante nei tuoi ragionamenti ed io la penso come te. Senza la Comunità non si fanno passi in avanti. Non farlo come azzarda qualcuno, in questi tempi escludenti e bui, ‘trasforma il Popolo in volgo’, ahimè.  Anche la Politica deve ritrovare questa strada maestra. Cosa mi dici dell’esperienza Politica che hai fatto e che stai facendo?
“Io non mi sono mai sentito un politico. Anzi ho sentito e sento la Politica distante, anche se sono legato da sempre a principi che si rifanno alla Sinistra. Concordo con te che, se non si ricostruisce un luogo di crescita collettiva, di ascolto ed elaborazione dei bisogni, la Politica perde la sua essenza vera. Ti racconto un episodio di campagna elettorale. Insieme ad altri candidati abbiamo fatto un incontro. I cittadini hanno posto domande ed io sono stato tutto il tempo a prendere appunti. Altri hanno fatto il loro comizio e poi si sono immersi nel display del loro telefonino acceso lì davanti. È chiaro che chi ti guarda fa due più due.”
 
E comunque possiamo dire, senza tentennamenti, che la tua candidatura nell’area pisana ha avuto un successo oltre le aspettative. Anche adesso sei impegnato e lo fai come tuo solito, senza lasciare nulla al caso. Non è che pensi di candidarti a Sindaco di San Giuliano Terme?
Scuote la testa e dice al volo:- “Non sarebbe il mio mestiere, lasciamo perdere.”
Alzo le braccia rassegnato. “Peccato, avrei potuto fare il tuo capo di gabinetto, il Comune un po’ lo conosco”. E qui si ride di gusto.
 
Poi si fa di nuovo serio.
“Ho promesso di dare una mano a Sinistra Civica Ecologista, la lista con cui mi sono candidato alla Regione, fino alla pensione e ti dirò che, dopo le elezioni e il successo raggiunto, avrei sperato che la Politica mi utilizzasse di più. Ovviamente in quello di cui sono capace, il mondo della Sanità. Per dare mano. Ho sentito, invece, il timore di qualcuno a coinvolgermi.”
 
Forse perché sulla Sanità espliciti con chiarezza quello che pensi.
“Eh sì, su questo non accetto compromessi. O la Sanità è Pubblica o non è. Il resto è business e questo va sempre ricordato.”
 
Cosa farai quando sarai in pensione?
“Andrò in bici e in montagna a fare tracking. Il mare non è il mio forte, anche se ogni tanto mi tocca. E poi vorrei dare una mano allo Spi Cgil, insomma troverò da fare tante cose . Una volta ogni tanto vado anche dagli alcoolisti anonimi.”
 
Cosa leggi?
“Non amo i romanzi, ma ho una bella biblioteca di teologia, come continuazione e approfondimento dell’esperienza di Fede, dopo te la faccio vedere.”
 
E gli amici?
“Quelli di sempre. Ex scout, e i nostri figli che sono diventati amici a loro volta, che è bello credimi.”
 
D’istinto mi sento di dare per scontato, che Malacarne non frequenti i salotti che vanno di moda in certi mondi e mi risparmio la domanda.  Scopriamo invece che, oltre ad avere la stessa età, abbiamo anche amici in comune. Gli racconto della mia esperienza giovanile di operatore di comunità proprio con alcuni dei suoi amici più cari. “Il mondo è piccolo davvero”, diciamo.
Ci raccontiamo alcune storie giovanili. Si appassiona alla parola “acchiappa-nuvole” con cui mi descrivo, usurpando umilmente un appellativo affibbiato al grande Pietro Ingrao.
Poi si va sulle cose materiali.
A tavola mangi molto?
“La sera sì, il giorno poco. Bevo anche il vino con moderazione e mi indica sorridendo una boccia pronta per essere infiascata.”
Sono quasi le otto di sera, Grazia si è appassionata alla discussione e divaghiamo con piacere, sulla Scuola, il Comune di San Giuliano, i figlioli.  Ma bisogna andare, anche loro prendono le giacche.
“Provo a scrivere, ti faccio sapere. Ti mando una bozza. Grazie di tutto.”
“Ciao, buona serata, grazie a te.”
 
Mi accompagna alla macchina e si appresta a uscire anche lui con la moglie.
Nei giorni successivi ho inviato un messaggio al dottore per ringraziarlo dell’incontro dandogli alcuni riferimenti sui tempi di uscita dell’intervista. Poi ho chiuso così:
“Quando il COVID allenta va fatto un incontro conviviale con i nostri comuni amici, a presto.”
“Certo. Ora ci conosciamo un po’ di più!”, ha risposto.
 
C’è vita nella Comunità del Futuro, nei nostri sogni.

 
 

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