Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Questa è una piacevole gradita “intrusione” nella sezione che curo da tempo: un racconto di un’amica, Paola Magli, nata e cresciuta in un paese (Migliarino) per poi essere “emigrata” in città (Pisa), ma senza aver mai dimenticate le sue origini.
Paola, e la redazione, hanno voluto fare omaggio ad un’altra amica del territorio, Matilde Baroni, che ha tirato fuori dal cassetto una foto di quarant’anni fa che mostra il nostro Serchio da una insolita visuale, dall’Azienda Agricola "Il Mucchieto", Molina di Quosa-Rigoli.
A cena a casa del Magli (1967)
Nel Viale dei Pini a Migliarino mio nonno Lino era riuscito, con il sudore del suo lavoro, a comprare un appezzamento di terra ed a costruire la casa per la famiglia.
La stanza della cucina era a pian terreno e la porta dava nel corridoio; era una stanza comoda, arredata in modo semplice e funzionale. Gli arredi di questa stanza erano disposti lungo due pareti e appena si entrava si vedeva il mobile del mettitutto. Sull’altra parete una stufa-cucina a legna che serviva, sia per preparare il cibo, sia per riscaldare la casa. Quando arrivava la sera per preparare la cena, veniva caricata di legna e lo schioppettio che produceva ci faceva compagnia.
Sulla stessa parete c’era il fornello moderno che funzionava con la bombola a gas; le massaie lo usavano solo d’estate e in qualche occasione particolare. Vicino al fornello a gas troneggiava un bell’acquaio di marmo bianco e sopra a questo era appesa una grande piattaia di legno.
Il compito di preparar la cena toccava alla più vecchia della casa, che allora era la mia bisnonna, da parte di padre, chiamata da tutti nonna vecchia: il suo nome era Gemma. La nonna più giovane (madre di mio padre) e mia madre lavoravano nei campi insieme agli uomini, ma quando erano in casa offrivano il loro servizio aiutandosi tra di loro, diventando così, tutte massaie!
Io e mia sorella, più piccola di me di tre anni, aspettavamo l’ora della cena in corridoio giocando in quel piccolo spazio dove potevamo cantare, utilizzare alcuni utensili e far finta di essere grandi.
Gli uomini, dopo aver lavorato nei campi e aver svolto gli ultimi compiti di cura agli animali, si lavavano e cambiavano i loro panni polverosi. Verso le ore 20.30 arrivava la confusione e gli uomini ci chiamavano per andare a cena, mentre le donne finivano di apparecchiare la tavola.
Era una bella tavolata, la nonna vecchia si sedeva per prima, e mia madre e la nonna cominciavano a servire tutti noi già seduti. Mio padre e suo padre (mio nonno) erano i due capitavola e sedevano uno di fronte all’altro, mio zio aveva il posto accanto a suo padre. Io e mia sorella stavamo vicine, di fianco alla bisnonna, ma molto spesso ci dividevano subito e ci cambiavano di posto per via dei nostri litigi chiassosi e irrilevanti. Mia madre si sedeva al fianco di mio padre, aspettando però che mia nonna avesse finito di servire tutti, così da essere tutti insieme.
Cominciavano gli uomini a mangiare e a parlare, organizzando la giornata di lavoro del giorno seguente, e scappavano parolacce quando entravano nei discorsi politici, le donne stavano sempre zitte, forse ascoltavano.
A volte mio zio non era d’accordo con le idee politiche di suo padre (mio nonno) e allora i litigi verbali riempivano la cucina ed echeggiavano in tutte le stanze. Solo alla fine del pasto, con la pancia piena e qualche bicchiere di vino, gli animi si calmavano.
Per me era sempre un momento di grande tensione e di sofferenza perché, quando si mangiava, pretendevano che noi piccinaccole, stessimo composte e zitte (anche noi eravamo femmine). Purtroppo la nostra energia infantile non si spengeva mai e molto spesso ci arrivava qualche sculaccione, e quando andava male, ci mandavano a letto senza cena.
Gli anni passavano, il fiasco del vino non ha mai cambiato di posto, era sempre al centro della tavola per tutti i commensali adulti. Le donne annacquavano il vino, mentre gli uomini sorseggiavano con gusto e piacere quei bei bicchieri rosso rubino.
Noi continuavamo a mangiare nella scodella della minestra anche il companatico, fatto di verdure che il generoso orto dava, e le preziose uova, servite come frittata, come sode, come al padellino, come affogate, come al pomodoro…
Però piano piano la situazione economica cambiò e finalmente, una volta alla settimana, arrivava nei nostri piatti anche la ciccia… quella carne tanto desiderata dagli uomini. Il pane era quasi sempre fresco, l’olio era quello bono, le pastasciutte incominciarono ad essere sia al pomodoro che al ragù di carne. Passavano sulla tavola prosciutto, salame, salcicce e la domenica era una giornata speciale perché sulla tavola appariva anche un dolce cotto in un tegame sul gas.
Le massaie cominciarono ad abbondare con le quantità del cibo da preparare per i pasti, così poi la nonna vecchia doveva avere fantasia e creatività nel riutilizzare gli avanzi e presentarli come piatti nuovi.
Bene, non mi rendevo conto che il nostro aver poco in tavola era comunque avere molto, perché ogni sera mangiavamo, ed andavamo a dormire in sazietà.
Il cibo, le parole, gli ideali, gli affetti riuscivano a saziare tutti e tutte. La terra ci regalava tanta bellezza che si rinnovava ad ogni stagione trovando sempre il modo di nutrirci.
Colmate dalla libertà che avevamo noi bambine, e saziati i maschietti dalla possibilità di giocare all’aria aperta, condividevamo il gioco, l’esplorazione del territorio, e la spensieratezza.
Oggi mi sento onorata e privilegiata di essere stata partecipe di quei pranzi e di quelle cene.