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Le dimissioni del segretario dem
“Zingaretti chiarisca se ritiene Draghi un’opportunità o un complotto”, intervista a Claudio Petruccioli
Umberto De Giovannangeli — 9 Marzo 2021
«Tra Tronti e Bettini non ho dubbi: sto con il primo. E dico a Zingaretti: il vero problema del Pd non è il “poltronismo” ma il giudizio sul governo Draghi. Sta qui il vero spartiacque.
Per Tronti, rappresenta una straordinaria occasione anche per avviare una riforma di sistema, mentre per Bettini sembra essere il frutto indigesto di una operazione perpetrata dai “salotti buoni”.
Zingaretti cosa ne pensa? I discorsi di Draghi, come quelli della Cartabia per fare un esempio, sono dentro a pieno titolo nella ricerca di identità del Partito democratico o ne sono fuori, se non addirittura un ostacolo?
Il Governo Draghi è un’occasione da cogliere o da subire?
Quando leggo poi ciò che afferma Bettini, che seguo con attenzione, su Il Foglio, mi viene alla mente una considerazione di Keynes: “Le difficoltà non risiedono nelle nuove idee ma nel sottrarsi alle vecchie che ramificano in ogni angolo della mente”». Più che una intervista a tutto campo, l’intervista di Claudio Petruccioli – una vita nel Pci, più volte parlamentare, direttore de L’Unità e presidente della Rai – a Il Riformista, ha i caratteri di un manuale della buona politica, in sintonia con il suo ultimo libro. Rendiconto. La sinistra italiana dal Pci ad oggi (La Nave di Teseo editore).
«Lo stillicidio non finisce. Mi vergogno che nel Pd, partito di cui sono segretario, da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie». Così Nicola Zingaretti ha motivato le sue dimissioni da segretario dei dem.
Siamo al cupio dissolvi del Partito democratico?
Di solito queste cose si cerca di spiegarle andando alla ricerca di quello che c’è dietro. Fatica sprecata. A mio avviso, i fatti importanti, e questo indubbiamente lo è, bisogna cercare di capirli riflettendo su quello che è evidente, non su quello che è nascosto, o si presume lo sia.
Cioè?
Per me la cosa molto evidente è che con la decisione del presidente della Repubblica di affidare a Draghi l’incarico di formare il nuovo Governo, è avvenuto un cambiamento sostanziale dell’orizzonte e delle coordinate in cui si muovevano tutte le forze politiche e in particolare il Pd. Ed è del tutto chiaro che le cose non possono continuare come erano andate avanti fino a quel momento. Se questo vorrà dire che il segretario non sarà più Zingaretti, o se lo indurranno a ritirare le dimissioni, vedremo, ma non è decisivo. La domanda da porsi è la seguente: che cosa pensa il Partito democratico nella sua interezza, e lo stesso segretario Zingaretti, che cosa pensano realmente del governo Draghi? Lo considerano per l’Italia, l’Italia di oggi, nella situazione in cui si trova da tutti i punti di vista, un passo avanti, un miglioramento, qualcosa che apre una prospettiva migliore per il Paese, oppure un regresso rispetto a quello che c’era prima?
Noi sappiamo che il Pd e Zingaretti quando ancora non si sapeva cosa avrebbe fatto Mattarella, erano attestati sulla linea “o si fa un Conte ter oppure si va al voto”. Non hanno mai alluso ad una possibilità diversa. Probabilmente perché non la pensavano, non la ritenevano possibile. È stato Mattarella che ha deciso quanto è avvenuto, secondo me facendo uno degli atti più importanti, significativi e coraggiosi fra quelli compiuti dai capi di Stato della Repubblica italiana, assumendosi la responsabilità di affermare che in queste condizioni non è possibile anticipare il voto. Questa cosa ha cambiato completamente il quadro in cui agiscono le forze politiche. Sta cambiando tutto.
La Lega, ad esempio, non solo con Giorgetti ma con lo stesso Salvini, sembra voler cogliere l’occasione del governo Draghi per togliersi di dosso la polvere sovranista e anti Europa; hanno capito che con quella polvere addosso non possono governare l’Italia; tanto più quando ci deve arrivare dall’Europa una valanga di euro. Quanto ai 5 Stelle, stanno vivendo una complicata, problematica ma effettiva fase di trasformazione.
Sembra vogliano diventare un partito governativo multiuso anche se pencolante sul centrosinistra (c’entra comunque anche in questo caso il rapporto con l’Europa). Per riuscirci si affidano alla leadership di Conte.