In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.
Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.
Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente.
Paola Pisani dopo il successo del libro “Gello anni ‘50: I luoghi della memoria " - pubblicato nel 2003 per le edizioni ETS, prosegue nella sua seconda esperienza letteraria la ricostruzione di un nostro recente passato. Nata a Gello di San Giuliano Terme, risiede a Pisa, dove ha frequentato il Liceo Classico "G. Galilei" e si è laureata in Lettere. Per trent’anni ha insegnato Lettere italiane e latine nel triennio del Liceo Scientifico "U. Dini" di Pisa.
Questa è parte della presentazione fatta al nuovo libro dedicato ai “Luoghi della memoria” “Pisa: la spesa in piazza”, marzo 2004, Vigo Cursi edit. Da parte di Lia Marianelli, Preside del Liceo Scientifico U. Dini –Pisa.
" Un dedalo di piazze, vicoli, slarghi improvvisi, negozi, bancarelle, ma soprattutto decine di esercenti, commercianti, artigiani, ambulanti
minuti e occasionali… ricompongono felicemente il mosaico di solerte attività che un giorno occupava il centro di Pisa: e mi sembra bello e anche giusto che una volta tanto i riflettori abbiano illuminato non i
personaggi importanti della politica e della cultura, ma questa specie
particolare di vip, far rivivere i quali equivale a far rivivere una parte
ormai dimenticata di noi che in quelle piazze hanno sostato in anni
ormai lontani: una liberazione improvvisa anche della nostra memoria. . ."
"Nello scrupolo della cronaca che ricostruisce con fedeltà la realtà
esterna, noi percepiamo viva l’emozione del racconto covato e macerato in una realtà interna, nascosta, lirica, soggettiva. . .che ad ogni passo trasforma il dato cronachistico, e ci restituisce luoghi e colori e rumori come vive e pulsanti creature corali. . ."
"Il filo di Arianna che l’autrice ci metta a disposizione per aggirarsi
senza perdersi nel suo labirinto è il filo degli odori, dei profumi, dei
sentori acri e improvvisi, indizi saldi di presenze umane, che la fantasia avverte e fissa per sempre nella memoria."
Lia Marianelli
Questa invece è una delle storie di una delle Piazze più famose ed ora perduta del suo stato di “spesa in piazza”.
PIAZZA CHIARA GAMBACORTI OGGI E IERI -
A chi si è lasciato alle spalle le luci di Corso Italia, appaiono più scure le ombre della sera in piazza Chiara Gambacorti. Il silenzio, che, a poco a poco, si incunea sotto la pesante volta di vicolo S. Bernardo, si dilata improvviso nel buio del quadrilatero centrale, contornato da fondali di alti edifici. Pochi i negozi, stinte molte delle insegne che recano tracce di rapidi avvicendamenti. In un recentissimo passato tutto il livello inferiore delle costruzioni perimetrali fu occupato da fiorenti esercizi commerciali, gestiti da dinamici titolari, affollati di clienti. I piani superiori erano popolati di famiglie, alcune delle quali impegnate nelle sottostanti attività commerciali, ambulanti e a posto fisso. Il "casone" sul fronte est fu il nucleo abitativo più caratteristico e popoloso. Al centro del quadrilatero, disposte intorno alla piazza, una ventina di bancarelle offriva ogni mattina una pittoresca visione, animata di voci, colori, odori. Gli acquirenti vi convenivano dalle vie S. Bernardo, S. Lorenzino, La Pera, la Foglia, Tre Re, vicolo del Moro… nomi antichi di antiche strade. Là si celano cortili ombrosi, dove si sfoglia la pietra serena, e sbiadiscono mattoni medioevali. In primavera, da muri screpolati si protendono pergolati grondanti di glicini. Dal tenero lilla dei grappoli penduli si riversa nei vicoli un delicato profumo. Le sue note persistenti permeano l’aria, si insinuano nella trama delle vie, si spandono nella piazza centrale.
La piazza non nacque come mercato. Anticamente, all’incrocio fra via la Pera e la soppressa via “Tre Re", sorgeva, con annesso cimitero, la chiesa di S. Lorenzo in Kinzica, altrimenti detta "S. Lorenzino alla pera" (dal cippo etrusco, tuttora visibile alla confluenza con via S. Martino), attestata fin dal 1127. Profanata nel 1784, ebbe i locali a livello stradale adibiti a stalle e ricovero per vetture.
Nel 1933 fu demolita (due colonne sono nel Museo civico), e lo sventramento urbanistico permise l’ampliamento dell’area. Destinata a mercato delle erbe la piazza fu dotata di una pensilina metallica con alberi perimetrali. Per gli eventi bellici, l’area centrale ne resto priva, ed i banchi ebbero come protezione un telone sulle crociere. Tra il 1960 e il 1962, una brutta tettoia in cemento armato, studiata a riparo delle strutture ambulanti, si rivelò rimedio peggiore del male, poiché, oltre a convogliare l’acqua piovana proprio su di esse, era utilizzata come improprio ricovero per le auto, man mano che rimanevano posti liberi, lasciati da banchi che cessavano l’attività senza essere rimpiazzati da nuovi. Intorno alla metà degli anni ’70 il processo involutivo iniziò ad apparire irreversibile.
Il 27 dicembre 1981 alle ore 14,45 un boato improvviso sconvolse questo cuore antico della città: una perdita di gas in un appartamento quel giorno disabitato (ma, secondo alcune voci , lo scoppio accidentale di un ordigno) causò il crollo di un palazzo a tre piani sul lato occidentale. Nove persone fra residenti e avventori del ristorante sardo "Il nuraghe" (succeduto al precedente "Corsani") perirono nell’esplosione. Oltre venti risultarono i feriti. Fu per Pisa la più grave sciagura dal dopoguerra. Intere famiglie rimasero segnate a vita, e per il destino commerciale dell’area fu la fine. Si dovettero abbattere i resti della pensilina, mentre le macerie dei caseggiati distrutti rimasero a lungo in loco, impedendo per anni una regolare affluenza. Il mercato si svuotò progressivamente degli abituali frequentatori, mentre scomparivano uno alla volta gli esercizi storici, e vecchi residenti se ne andavano.
Nel 1973 aveva già abbandonato la piazza uno dei suoi più illustri
abitanti, il pittore Piero Semeraro, che vi risiedeva dall’immediato dopoguerra, e forse vi si ispirò per la luce e il movimento delle sue opere.
Vi mantenne il suo studio per due anni ancora. Poi, se ne andò.
Nonostante sporadici tentativi di riqualificazione, la piazza si spense a poco a poco.
Oggi, appare come sospesa tra la malinconia della memoria e l’ attesa.
- EPILOGO -
Se una sera al crepuscolo, attraversando frettolosamente piazza Chiara Gambacorti, ci parrà di percepire un’improvvisa nota che rimane sospesa tra le nicchie silenziose di una porta chiusa, fermiamoci ad ascoltare: forse, riconosceremo l’eco di un antico stornello intonato a gola spiegata, e ci avverrà di cogliere la vibrazione di risate schiette di donna. Se è vero che dai vecchi muri si schiudono i ricordi, non sarà stata un’illusione.