Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
Si avvicina l’anniversario della Strage di S.Anna di Stazzema, sulle Alpi Apuane, teatro del più grande, del più terrificante eccidio nazista perpetrato sul suolo italiano durante l'ultima guerra.
Più di cinquecento morti, tra loro più di cento bambini, in uno dei giorni più neri per l'umanità tutta.
Vi chiederete a questo punto cosa c'entri tutto questo con Dante e la Sua Divina, e me lo sono chiesto anch'io.
Mi sono chiesto a chiare lettere se nel Poema, se nel Verso Immortale, con la mia fiducia estrema nell'universalità, nell'enciclopedismo della Comedia, si possa trovare un qualche legame che tenga stretto l'uno (il luogo dell'eccidio) e l'altra (la poesia di Dante).
“e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia.
Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette;”
(Inf. XII, 55-60)
Canto XII dell'Inferno, meglio conosciuto come il Canto dei Centauri, Canto molto dibattuto dai critici contemporanei a Dante e quasi totalmente ignorato dai moderni, che hanno visto solo una "decompressione" prima dell'esplosione tragica del successivo, il XIII, quello dei suicidi.
C'è da dire innanzitutto che di fronte al grande, variegato, immenso bestiario dantesco i centauri, guardiani della valle del fiume Flegetonte (che ribolle di sangue e immerge i violenti contro il prossimo) sono una cosa a parte.
Niente a che vedere con i vari Cerbero, Minosse, Pluto, Caronte, per citarne alcuni che sono tutti, con diverse sfaccettature, emblemi, simboli del male e della commistione umana e insieme ferina, del male puro che trasforma l'uomo in bestia.
I Centauri non hanno nulla di mostruoso, di pauroso, di ripugnante, anzi pare che conservino in sé caratteristiche umane positive (contrariamente a tutti gli altri ministri infernali) e sembra che Dante addirittura indulga verso di loro, al punto quasi di provare una qualche "simpatia morale" per questi mezzi uomini mezzi cavalli.
E questo certamente sorprende.
Nei versi che riguardano i Centauri è presente una forte uniformità di rappresentazione: i demoni mezzi uomo e mezzi cavallo corrono tutti insieme, si fermano tutti insieme, si comportano come un’unica entità. Da questo punto di vista, risulta chiaro che la ragione di tale uniformità non vada ricercata in una qualche "compostezza" che si risolve in bellezza armonica (come molti commentatori moderni hanno evidenziato) ma nel fatto che questi mille e mille Centauri rappresentano, incarnano, un vero e proprio esercito organizzato, l’esercito più "efficiente e disciplinato" che l'Inferno possieda.
“Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille.”
(Inf. XII, 72,75)
Sono infatti migliaia e il loro compito è sorvegliare ed eventualmente ricacciare nel fiume bollente di sangue, scoccando frecce dai loro archi, le anime dei violenti che tentano di sottrarsi al martirio eterno.
Sono tre i centauri che si staccano dalla folta milizia ed interloquiscono con Dante e Virgilio e sono Chirone, il loro capo; Nesso, quello che uccise Ercole, ingannando in punto di morte la di lui moglie Deianira e l'altro è Folo.
C'è da aggiungere un fatto ancora, e cioè che nella tradizione medievale la figura del centauro è sempre associata al cavaliere guerriero, ma non leale e retto che combatte per l'ideale, ma bensì del feroce predatore (magari prezzolato) che scorrazza per le campagne e uccide inermi e ruba bestiame.
“mal fu la voglia tua sempre sì tosta.”
(Inf. XII, 66)
In questo verso Dante esprime disagio verso Nesso (sul quale poi salirà in groppa per attraversare il fiume bollente), sulla sua "voglia" insana. Ma bisogna soffermarsi ancora su un punto ulteriore, sul fatto di chi siano i dannati di questa bolgia, di chi siano i veri protagonisti del peccato, del male qui presente.
Il contrappasso è evidente e l'essere immersi nel sangue è giusta punizione a chi nel sangue in vita pose altrui.
Ma Dante in particolare qui non pensa solo agli assassini o ai semplici violenti contro altrui vita, ma in particolare (e tutti i suoi critici medievali l'avevano ben compreso) pensa a quelli che la Tragedia Greca chiama "Tiranni" a coloro cioè che incarnano (e ne cita molti) in sé violenza militare di matrice politica.
C’è il Tiranno laggiù nel profondo, e ci sarà di sicuro pure un colonnello o un sergente o un semplice, soldato semplice.
Lascio adesso cadere pensieri su Dante e la Comedia, e riappaio col pensiero in quel luogo appartato sulle montagne che guardano il mare della Versilia.
E mi chiedo chi furono quegli esseri umani che fecero così tanto scempio, che ebbero il coraggio sfrontato di sfidare Dio e l'Umanità intera, in questa terra rimasta ferita per sempre.
Furono uomini, sì, uomini come noi, rimasti impuniti, che dopo la guerra, ritornarono a casa, fecero figli, vacanze al mare, diventarono nonni e tennero per mano nipotini, invecchiarono e morirono, vecchi, nel loro letto.
E allora mi ritorna Dante, e come Lui osservava il mondo, e mentre vedo nel pensiero quei luoghi, scende dentro di me la sera e inizia a piovere incessantemente.
E sento in lontananza lo scalpitare di centauri.