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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Dai ponti al mare: IL PONTE SUL SERCHIO

26/9/2021 - 19:07


  Il ponte di muro sull'Aurelia fu rifatto nel '50 dopo che gli americani, tentando di buttar giù quello di ferro della ferrovia che correva pochi metri a valle, lo avevano bombardato e fatto cadere nel '44. Nel periodo di costruzione del nuovo ponte ne fu adattato uno provvisorio di legno dall'altro lato del ferroviario, a destra cioè di chi andava a Pisa col treno. Questo ponte che gli americani, volendosi forse far perdonare lo sbaglio eressero in tempo da record, veniva dalla vecchia Aurelia e dal paese di Migliarino. Era il naturale proseguimento di quel viale di cipressi che traversava la tenuta Salviati, nato sul tracciato della medievale, e prima romana, Via Pietrasantina che univa il territorio lucchese a quello pisano, correndo su una colmata ed evitando il "malo vento", cui il toponimo moderno di Malaventre fa un chiaro riferimento: cioè le malsane arie esalate dalle paludi costiere che poi formeranno, bonificate e ridotte, la Bonifica del lago di Massaciuccoli.

Questa strada, che correva per chilometri fra un doppio filare di cipressi prima e di platani poi, venne chiamata Viale dei pini (?) e non più Aurelia (o Emilia), perché questo nome fu preso da un nuovo tracciato più comodo rettilineo e funzionale, che tagliava un paio di curve, evitava un centro abitato e, cosa forse più verosimile, univa l'uscita della nuova autostrada Firenze-mare (o Firenze-Migliarino) ad un'arteria nazionale.Il Viale dei pini, arrivato alla salita che portava al ponte di legno degli americani, passa ora sotto la ferrovia e si innesta a sinistra, sempre considerando l'itinerario diretto a Pisa, alla nuova Aurelia. La rampa del ponte provvisorio, terminato il suo scopo ed ora abbandonata, serve solo per arrivare alla stazione di Migliarino Pisano e l'asfalto si interrompe con una voragine a perpendicolo sull'acqua per riprendere dall'altra sponda e sparire dopo pochi metri in un ammasso di sterpi. Mi sono sempre domandato come mai la vecchia via Aurelia/Via dei pini, molto prima degli anni quaranta, arrivata al Serchio girava a sinistra ad angolo retto, traversava il fiume a destra sull'antico ponte e, in corrispondenza del ristorante "Da Ugo", girava nuovamente a destra andando parallela al Serchio verso il Marmo per poi, dopo poche centinaia di metri, curvare definitivamente verso Albavola e Pisa.

Se la Via dei pini era la vecchia Via pietrasantina delle antiche mappe dove si vedono chiaramente disegnate le case della Torretta, allora il ponte che traversava il Serchio si sarebbe dovuto trovare proprio dove gli americani avevano eretto quello di legno e non venti metri a sinistra e così si potevano spiegare anche quelle curve che ora sono state eliminate, ma di cui si serbano tracce se si va alle Case Rosse del Dal Borgo. Fine ingloriosa di una strada dove romani e barbari, contadini e principi, avevano camminato verso vittorie, rovine, lavoro e ricchezze.  

Il mistero mi si è svelato anni dopo quando ho trovato una vecchisima mappa che giustificava questa strana curva: quando non c’era il ponte c’era un guado, poi una barca e il fiume lo permetteva solamente dove vi è ora la chiesa, alla Barca appunto.

Il ponte fu voluto dall’illuminato Duca Scipione Salviati che, con la fondazione (nel settembre 1854) di una Società anonima per la costruzione del “Ponte sul Serchio presso Albavola” (vedi foto articolo precedente) e del rifacimento della “Via che da Viareggio va a Pisa”, volle dare una spinta economica al paese di Migliarino.

L’opera, rifatta ora in cemento, era originariamente una massiccia costruzione in pietre e mattoni, a tre volte, con gli sproni fendiacque dei due pilastri tutti in pietra e sagomati nella classica forma a prua di barca. I piloni, "le pigne", erano molto più lunghi della larghezza della strada che reggevano e le parti eccedenti avevano sulla sommità, a livello scorrimento, quattro nicchie con balaustre e colonnini in pietra bianca di San Giuliano. I viandanti, i curiosi e i pescatori migliarinesi sostavano spesso in quei semicerchi al sicuro dalle auto che, sempre più numerose, transitavano dalla Numero Uno. Oltre alle nicchie, anche tutta la lunghezza del ponte era bordata di un muretto in bella pietra chiara scolpita, con il corrimano in lastroni smussati e lisci che sono ora visibili sul fondo del fiume quando l'acqua è chiara. L’inaugurazione del ponte avvenne l’11 dicembre 1856 con la proibizione di continuare ad usare il traghetto, la barca traiettizzia, che aveva dato nome al nucleo di case nato intorno alla riva destra del Serchio e che venne appunto chiamato “La Barca”. La Società costituita avrebbe incassato per 100 anni il pedaggio da e per Pisa e avrebbe, al termine di un secolo, ceduto proprietà e diritti alla provincia di Pisa. Nei primi anni del 1900 la neonata ferrovia Pisa-La Spezia chiese ed ottenne di far passare i convogli sul ponte in muratura, ma la aumentata circolazione stradale e il maggior numero di treni finirono per indebolire la costruzione tanto da far edificare un nuovo ponte in ferro ad uso solamente ferroviario e a far anticipare la cessione del manufatto, da parte della società, senza attendere i 100 anni previsti...La platea di fondazione delle spalle del ponte, anch'essa in larghissimi e spessissimi lastroni di pietra, proseguiva verso l'acqua in una banchina che, con la bassa marea, rimaneva scoperta e transitabile come un bell'imbarcadero. Questa costruzione veniva sfruttata dalla famiglia di mio nonno paterno che abitava a ridosso del ponte, in golena, e che aveva perfezionato tecniche di pesca per tutte le stagioni ed occasioni.
In primavera, con un po' d'acqua alta, la banchina veniva sommersa e visitata da centinaia di pescetti che andavano a rovistare nelle palline di sterco lasciato dalle pecore del Fruzzetti che usava quel passo per andare di là dalla ferrovia, da quando un treno merci gli aveva sfracellato metà gregge al passaggio a livello dove l'altro mio nonno faceva il sorvegliante. Mia nonna materna mi raccontava che aveva impiegato una settimana per togliere tutto il sangue dalle finestre e dai muri. Bastava andare piano piano sotto il ponte e buttare il giacchio sulle pietre perché fossero assicurati pranzo e cena per due giorni.
D'inverno invece, mio padre prendeva delle zolle di terra ed erba; alla sera le metteva bene in fila sulle pietre sommerse e le ritirava su velocemente la mattina dopo, scolandole in una rete fitta fitta e rimediando così una padellata di "cee" senza stare al freddo e al bagnato tutta la notte.
D'estate infine, per la differenza di temperatura fra acqua e terra dovuta alla strozzatura che l'aria trovava spostandosi sul fiume da mare a monte, sotto il ponte vi era sempre una vivace circolazione di brezza, sia di giorno che di notte. Nelle giornate di afa molta gente vi si recava per trovare refrigerio e chiacchierare con mio nonno Marino, Sveno, Cunde, il Gobbo ed altri che si facevano portare giù dall'osteria di Ugo, proprio sopra al ponte e alla casa di mio padre, fiaschi di vino e ponci, raccontandosi storie della guerra passata e dei pesci pescati, aumentando il numero delle cannonate e quello delle prede, litigando e ridendo fino a tardi mentre mia nonna Maria brontolava che: se rimanevano tutti a cena, non c'era niente da mettere in tavola.

Fonte: la foto della costruzione del ponte della ferrovia è dell'archivio Fabio Ceccherini che la ha pubblicata sul sito: Sei di migliarino se... ...
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