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In questo nuovo articolo di Franco Gabbani si cambia completamento lo scenario.

Non avvenimenti storico- sociali, nè vicende di personaggi che hanno segnato il loro tempo.Il protagonista è questa volta è il fiume Serchio, l'attore sempre presente nella storia del territorio, con grandi vantaggi e tremendi disastri.

Ma non manca il tocco di Franco nell'andare ad esaminare grandi lotte politiche e piccoli episodi di vita comune legati al compagno di viaggio nella storia del nostro ambiente. 

Il fu presidente Biden lascia la carica e fa un bel .....
E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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di Pasquale Pasquino
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di Tonino Serra Contu
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di Tonino Serra Contu
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dal Pensiero Prismatico.(post tutto da leggere di Ermes Antonucci).
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di Ylenia Zambito, senatrice
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di - Maestra Antonella
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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Freddo vento pioggia neve gelo ed influenza
si accendono e si spengono come le lucine a intermittenza
di piazze strade vie vicoli e viali cittadini. .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Dai ponti al mare: LA PIENA DEL SERCHIO.

10/11/2021 - 15:33



LA PIENA DEL SERCHIO
 
 
 
Ad ogni piena del Serchio si affollavano sugli argini tutti gli abitanti dei paesi, quasi come la gente che si assiepa sul bordo delle strade dove passa il giro d'Italia; solamente per questa corsa non c'erano maglie rosa, ma curiosità per i più piccini e paura per i più anziani che avevano visto lo straripamento del '52.
Quell'anno il Serchio era proprio alto e gonfio a tal punto che il sindaco di Pisa, temendo la rottura degli argini sinistri che avrebbero portato l'acqua alla Torre, costrinse il collega di Vecchiano ad aprire una falla nell'argine destro in un punto poi chiamato "Lo Schianto", dove il fiume faceva una gran curva e la corrente appoggiava con maggior forza. La potenza della massa dell'acqua era tale che sarebbe bastato, a detta degli esperti, dare un colpo di taglio con la lama di una vanga per fare di quella fessura una nuova foce per il Serchio. 
Per maggiore precauzione furono messi dei candelotti di esplosivo e fatti brillare a distanza con una fucilata.
Alle spalle del punto scelto per la rottura c'era, e c'è tuttora, una bella casa in pietre a due piani. L'ondata che provocò lo schianto dell’argine saltò tale costruzione per poi fare una corsa folle fino a Camaiore, riempendo perfino il lago di Massaciuccoli e tutta la bonifica, inondando centinaia di ettari di campi coltivati, devastando vigneti e orti, affogando pecore e galline, procurando danni a povera gente che aveva solo la terra di sostegno, isolando famiglie di contadini che vivevano già in semisolamento, ma risparmiando la città e i cittadini.
Questo pagare, per salvare altre cose ed altra gente, ai vecchianesi e specialmente ai nodichesi che furono i più
colpiti, non andò molto a genio tanto che negli anni successivi controllarono le piene con un’attenzione non certo dettata da quella morbosa curiosità per le scene spettacolari che la natura ci offre ogni tanto.
I fucili che quella volta erano serviti a salvare la vita a colui o coloro che dovevano mettersi in salvo per ultimi perché destinati all'ingrato compito, continuarono ad ogni piena a circolare sugli argini, ma portati da altre spalle, da gente questa volta che non avrebbe esitato a servirsene per difendere la terra, invece di offenderla.
Tale asprezza e malcontento e sfiducia l'avrebbe avuta chiunque avesse pagato di persona non una, ma ben due volte.
Quella piena del 28 dicembre 1952 ripeteva in modo identico un'altra inondazione subita dai più vecchi, in modo ancor più duro il 17 novembre 1940, quando non ci furono avvisi per mettere cose ed animali al sicuro, ma fu fatto tutto di nascosto, stupidamente e inconscientemente.
Tutta la zona di Nodica e di Vecchiano fu disastrata, senza poi che nessuno prendesse quei sussidi che ora lo Stato dà a chi colpito da calamità naturali (poi in fondo prende di più chi perde di meno), ma tutti persero quella volta ogni animale da cortile che possedevano.
Stefano del Ciucci portò in salvo il cavallo, mucche e maiale sui monti di Vecchiano dove viveva la futura sua nuora; Ferdinando portò al piano di sopra il maiale i conigli i polli e il cane, poi questo mangiò sette galline e il maiale invece due nidiate di coniglietti appena nati perché due femmine partorirono sotto il letto. Non vi furono pompieri, chiamate ai vigili o alla protezione civile, ognuno provvedeva per sé stesso e a chi non poteva farlo e furono i vicini di casa che portarono per una settimana intera, ogni giorno, pasti caldi ed assistenza a Beppe che viveva solo in Pucinaia, con l'acqua a mezze scale e le due gambe inferme, inchiodato com'era sul letto.
Giorni e giorni rimase la fanghiglia sui muri, nei cortili e nelle stalle, nelle strade e nei campi e sparirono sotto il fango spinaci e cavoli, finocchi e bietole e le folaghe ebbero la meravigliosa visione che tutto il mondo fosse diventato un grande lago dove nuotare e mangiare ed i gabbiani vennero da Livorno e da La Spezia a beccare quella grazia di Dio che la sventatezza degli uomini aveva fatta galleggiare ora in quel mare marrone. Grilli e topi, bachi e talpe e carogne di polli e di gatti, tutto passò nelle pance di quegli spazzini alati e dalla mente della gente fino a dodici anni dopo, quando altri sciagurati ripeterono quel gesto balordo.
Ora però si stava più all'erta, c'era il telefono per sapere lo stato del fiume a monte, camion per spostare velocemente al sicuro in caso di bisogno quanto c'era di trasportabile, ma rimaneva la stessa grande paura della piena.
Tutti andavano sull'argine a vedere, intere famiglie con i vecchi che dicevano che quella del '40 però era peggio e i bambini ad occhi sgranati nel vedere il Serchio spostato in alto e ingigantito ed ora non ci voleva nessuna forza per far arrivare un sasso dall'argine all'acqua, bastava uno sputo.
Tutti si domandavano da dove potesse venire tutta quell'acqua che passava, veloce anche, ed ognuno chiedeva al vicino fino a che punto pensava sarebbe cresciuta e la gente diceva:
" ‘un’ha telefonato nissuno a Lucca pe’ ssapé’ se ariverà artr’acqua?"
"Sie, e ‘arabigneri han detto che questa è la prima sciabordata, ma che n’ariveranno dell’artre."
"Ma cresce ora?"
"Quando sono arivato prima, ‘ver sasso era scoperto e ora è disotto di ghieci centimetri."
"Anch'io guardavo ‘vella bacchiola di vetricione prima, e gliera scoperta e ora è mmezza sotto."
"Io ‘nvece ho piantato uno steccolo in tèra e a mme mmi pare sii ferma." 
"Stanotte chi ci sta di guardia?"
" ‘un avé’ paura che ‘ nodiesi senz'artro pattuglieranno ll’argini tutta la notte e questa vorta vedrai ‘un ischianta."
"Di là a Metato sono digià a mette’ ‘n sarvo le bestie del Baldacci."
"Dici niente perde’ vacca e mmiccio!"
"Certo povere bestie, la piena ne spicina dimórte tra riccioli, listrici, tassi e tutti ‘velli che si fanno la bua ‘ndelle ripe."
"A pproposito di bestie, lo sai che dar Moroni hanno ammazzato una vorpe che cercava di rimontà’ sull'argine all'asciutto?"
"L'hanno sgainata a bastonate de’ ragazzacci, ma c'erino anco ‘velli grandi che stavino a guardà’!"
"Io ‘r vergato lo farè’ ma a ‘ve disgraziati che se la piglino co’ uno ‘nnocente."
"Beh, ’nnocente ‘nnocente mia tanto, che se t’avesse sgranato du’ o tre polli anc’a tte, diresti che ni ci stava bene, ma questa vorta potevano fann’anc’a mmeno."
"Hanno fatto ma dimorto, ma dimorto bene ‘nvece, che più se ne leva di ‘ulo di ‘velle bestiacce, meglio è."
"Ma stai zitto po po’ di chiorba, che è una vergogna accanissi contro chi ‘un si pole difende’, perché allora ‘un istai di guardia la notte a armi pari pe’ vvede’ se la freghi? E ti garba ma dormì’ e chiaccherà’ a te!"
"Hanno detto che s’è rotta una diga a Ponte a Moriano."
"No, a Ponte a Moriano dighe ‘un cènno, semmai a Gallicano."
"A mme m’han detto che è quella di Piazza al Serchio, ma ‘vesta o ‘vell’artra è l’istesimo, loro stanno co’ piedi all'asciutto e l'acqua ce la mandino a nnoi"
"Nati di ‘ane, ‘vando ni ci vole te la levino anche se agganghisci di sete e ‘vando ni pare ti ci affogano. Accidenti a’ lucchesi e anc’all'ENEL."
"Ragazzi mi sembra, o è un po’ che ‘un cresce?"
"Si è vero, è sempre all’istesso segno da cinque menuti e se resta ‘osì per un'oretta, allora si pò indà’ a dormì’ tranquilli anche questa vorta."
Tutti controllavano il sasso messo sull'argine dalla parte dell'acqua o lo stecco piantato dove prima era il livello e che doveva fare da segnale se sommerso o lasciato all'asciutto.
"Via via , si può stare contenti."
E così, a pericolo scampato, ognuno diceva la sua ricordando che l'altra volta era stato peggio e si parlava ancora per un po' in capannelli sempre più esigui, finché solo qualche pessimista si tratteneva sull'argine temendo un'altra ondata ritardataria, mentre i semprall'erta nodichesi si davano il cambio fino all'alba, fedeli seguaci sostenitori del detto:


"È meglio avè’ paura che toccanne"

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