Un paese che amo, il paese della mia mamma.Anche ora quando vado a RIPAFRATTA sono la figlia della "Cocca".
Un paese con una storia importante che conserva vestigia di grande rilievo.
Un paese rimasto inalterato nel tempo, non ci sono insediamenti nuovi, potrebbe essere il set di film d'epoca perché anche le case, le facciate conservano la patina del tempo.Un paese che è ancora comunità.
... è l’ora di Tito
Ormai era in pensione!
Aveva lavorato come messo alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ne era orgoglioso. Orgoglioso di essere stato al servizio della cultura elevata, come diceva lui, indossando la divisa di usciere con un decoro capace di esprimere quella rispettabilità dovuta all’ambiente.
La famiglia di scienziati, che frequentava, lo faceva sentire parte di essa, fin dal mattino, con il saluto, cordiale e affettuoso.
Cominciò a lavorare quasi a trent’anni e non si sarebbe aspettato che quelle persone si fossero scomodate a stimare un custode. Certo, in molte occasioni aveva dimostrato ottime capacità e competenze nel saper risolvere problemi legati agli incontri del personale e doti organizzative per la gestione della sala convegni, tanto che anche il direttore accettava suggerimenti e si consultava con lui prima di prendere decisioni.
Era contento di ciò che aveva fatto con tanto zelo e amore. Sentirsi stimato e apprezzato gli faceva capire che il suo ruolo, in fondo, non era del tutto superfluo.
A lui però l’impegno e le riconoscenze gli erano serviti per dimenticare. Dimenticare la vita. Non solo per quello che ti costringe a subire, spesso con estrema cattiveria, ma anche per le sue inutili mete e l’unico modo è proprio quello di sentirsi gratificati, utili ed essere sempre distratti da essa.
Nel suo caso, i riconoscimenti gli servivano per scordare la ragazza che se ne era andata dopo due settimane di incontri. Nelle brevi escursioni pomeridiane si scambiavano baci, rubati ovunque. Erano momenti attraenti, belli, appassionanti e quell’incanto l’aveva unito a lei! Poi tutto finì. Disse che si sarebbe trasferita, ma non ebbe mai nessun recapito.
Tito lo prese come un tradimento.
Poi, era iniziata, la lotta con la tristezza che quell’abbandono gli aveva procurato. Una lotta che cercò, appunto, di alleviare rendendosi utile per non assecondare la lenta deriva esistenziale che avvertiva nascere e la paura della solitudine.
Anche essere riuscito a coordinare due break, per i ricercatori, uno a metà mattinata e l’altro a fine pomeriggio, lo fece sentire appagato, più tranquillo. Sfruttando una piccola stanza di sottoscala serviva caffè e macchiati. In realtà questo locale era già attrezzato allo scopo, ma da tempo non veniva adoperato. Tito volle provare. Cominciò col pulire la stanza, ripristinare le macchine in dotazione e fare in modo che non ci fossero odori poco confacenti all’ambiente. Fece il primo invito, a sorpresa, di pomeriggio. Nessuno si sarebbe aspettato l’evento. Furono tutti meravigliati e poi affascinati dai risultati.
Diventarono due appuntamenti, si direbbe quasi necessari, sia per staccare dall’impegno di studio, sia perché era un momento di vera dolcezza, che divennero famosi come:
“ Andiamo, e’ l’ora di Tito”.
In quella occasione conobbe da vicino le persone che si limitava a salutare al mattino. Scoprì che anche loro avevano problemi con il vivere, come tutti, tanto che l’impegno e in qualche caso la notorietà, spesso, servivano per sfuggire alla loro quotidianità .
Anche questo, lo aiutò a dimenticare ed iniziò ad affrontare la vita con più coraggio, rendendolo più forte.
Michele Baglini