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Invasione di campo largo Il Pd finge di volere candidati unitari, ma poi prevale l’apparato della ditta
Mario Lavia
Se per le suppletive di Roma Centro l’obiettivo di Letta era bruciare i ponti con Renzi e Calenda è stato centrato. Poi però sarà meglio fare un punto sul Nuovo Ulivo, visto che la desistenza-causa-inesistenza del M5S al centrosinistra non può bastare
«M’hanno rimasto solo ’sti quattro cornuti…» diceva Vittorio Gassman nell’immortale scena finale de “L’audace colpo dei soliti ignoti”: senza offesa per nessuno, è quanto è successo al Pd a Roma Centro, ove, partito per creare un campo largo, Enrico Letta si è ritrovato con una caricatura di vocazione maggioritaria in mano.
È questo l’esito della lunga telenovela andata in onda a Roma Centro, il collegio per la Camera dove il 16 gennaio si terranno le suppletive. Poteva essere un laboratorio per provare sul serio a mettere in piedi una vera coalizione di centrosinistra, magari attorno al nome di un indipendente, ma non c’è stato niente da fare. Dopo continui cambi di scena degno delle regie di Luca Ronconi, ivi compreso quello – memorabile – della fuga di Giuseppe Conte appena apparve la candidatura di Carlo Calenda, la conclusione è che il Pd candida Cecilia D’Elia, portavoce delle donne dem e vicina a Nicola Zingaretti, senza la convergenza di alcuno. Calenda e Italia viva infatti non l’appoggeranno (resta in campo Elena Bonetti, Iv, mentre Azione non candiderà nessuno) e il M5s, che in quel collegio non esiste, farà finta di votarla essendo appunto un fantasma: la chiamano “desistenza” ma in realtà è “inesistenza”. Poi c’è la destra unita (beccatevi questa lezione) con Simonetta Matone, già bocciata dai romani quando era la vice di quell’Enrico Michetti che voleva fare il sindaco.
È una conclusione paradossale, quella del Pd contro tutti. Almeno la vocazione maggioritaria di Walter Veltroni, che peraltro non era isolazionismo, veniva teorizzata per bene: era l’idea di un grande partito di centrosinistra che contendeva il governo a quello di centrodestra. Lasciamo perdere come sia andata. Ma qui invece siamo alle prese con l’effetto di una tattica disastrosa.
Il collegio probabilmente il Pd lo vincerà – d’altronde lo ha sempre vinto, prima con Paolo Gentiloni e poi con Roberto Gualtieri – anche perché lì la destra non appare in grado nemmeno di sfruttare le divisioni del (fu) centrosinistra. Tuttavia perché Enrico Letta non abbia costruito uno schema unitario, come invece aveva fatto nel suo collegio di Siena, resta un mistero. Poteva almeno verificare se esistesse la possibilità di una candidatura comune, come per settimane gli aveva chiesto Calenda.
Letta dice di volere il campo largo ma ha guardato solo ai grillini, dopodiché si è fermato, persino scartando il nome di un’indipendente come Annamaria Furlan che sapeva bene essere un nome non sgradito a Matteo Renzi. Poi, pur teorizzando che la decisione sarebbe spettata ai romani, è riuscito a imporre al Pd di Roma, che voleva Enrico Gasbarra, Cecilia D’Elia, bravissima persona. L’obiettivo cui Letta ha puntato, visti i risultati, era evidentemente dare il segnale inequivocabile che con Calenda e Renzi i rapporti sono saltati. Obiettivo raggiunto. Anche grazie, va detto, a una condotta di questi ultimi due che è apparsa improvvisata e in definitiva subalterna alle mosse del Nazareno.
Il senatore dem Salvatore Margiotta, che è uno che ha il pregio di dire quello che molti pensano ma non dicono, ha commentato sconsolato: «Una delle tante ipocrisie di questa stagione. Si teorizza il campo largo, e poi due volte su due alle suppletive romane si candidano persone – entrambe ottime, per carità – di apparato. Si condannano le correnti, e poi sui territori si costruisce “area Letta”. Ipocrisie».
La domanda è semplice: quand’è che nel Pd si fa un punto e si discute come (non) sta marciando l’idea del Nuovo Ulivo? Come si concilia l’idea di un campo largo con questi atteggiamenti autoreferenziali? Perché se continua così Enrico Letta rischia di passare alla storia come il leader che invece di rilanciare il centrosinistra lo avrà affossato definitivamente. Almeno questa è la grottesca lezione che viene da Roma Centro.