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Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative. 

E non c'è da cambiare idea. Dopo aver sostenuto la .....
. . . sul Foglio.
Secondo me hai letto l'intervista .....
L'intervista a Piazza Pulita è di 7 mesi fa, le parole .....
Vedi l'intervista di Matteo Renzi 7 mesi fa da Formigli .....
per pubblicare scrivere a: spaziodonnarubr@gmail.com
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Arabia Saudita
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Incontrati per caso...
di Valdo Mori
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Dalla pagina di Elena Giordano
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storie Vere :Matteo Grimaldi
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Indaco il colore del cielo
non parimenti dipinto
Sparsi qua e là
come ciuffi di velo
strani bioccoli di bambagia
che un delicato pennello
intinto .....
tutta la zona:
piscina ex albergo
tutto in stato di abbandono

zona SAN GIULIANO TERME
vergogna
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Dai ponti al mare: MARINO E LA CAPRA.

2/1/2022 - 15:20

  
 
Mio nonno Marino aveva sempre lavorato sul fiume, prima come cavatore di rena, poi come barcaiolo al soldo di ricchi cacciatori che volevano battere il Serchio senza stancarsi nel remare. Partivano all'alba ed arrivavano anche fino alla foce, sparando a conigli sulle rive, ad uccelli nell'acqua, a fagiani in volo e la sera tornavano ai ponti carichi di selvaggina.
Mio padre a quei tempi era piccolo e faceva il lavoro dei cani, correndo a raccogliere la preda e sperando che qualche "signore" avesse portata una buona colazione e ne potesse rimanere un po' anche per lui.
Erano tempi in cui si contava a centesimi e tutti soffrivano la fame. In casa di mio nonno erano in sette, due genitori e cinque figli e dove non arrivava il soldo del padrone, ci pensava il Serchio con le sue ricchezze.
Reti ne potevano comprare poche o nessuna e allora le mani sopperivano alla mancanza di altri mezzi. Con le mani e un rocchetto di filo si costruivano pezzi di tramagli, bertibelli, bilancine, retine; con le mani ed un coltello e qualche generosa canna, mai mancata sulle ripe, cesti e nasse; con le mani e una forchetta si potevano anche prendere le pacifiche e lente lamprede che sotto i ponti si divertivano a ciucciare qualsiasi cosa, perfino i sassi.
Pesce a colazione, pesce a cena e a pranzo, ma non sempre, perché c'era da lavorare anche un poco di terra. Quando c'erano le cacciate qualche coniglio impallinato, misteriosamente, spariva nei macchioni:
"Eppure mi sembra di averlo preso bene!"
"Si vede che non bruciavano bene i pallini e ora forse morirà chissà dove e lo mangerà qualche volpe."
Quando poi la notte mio padre, correndo scalzo al buio sull'argine, riusciva a ritrovare il luogo dove il giorno, non visto, aveva sotterrato il coniglio fantasma, se nel frattempo qualche animalaccio non lo aveva già scovato scavato e sbafato, allora erano polentate a non finire, nel senso di cercare davvero di non finire la carne perché doveva bastare per più giorni, visto che per insaporire le "pallette" ne bastava un pezzettino e un po' di sugo.
(Sempre meglio della mitica aringa legata ad uno spago al soffitto sopra la tavola da pranzo e che serviva a dare odore a due fette di pane: quando levavi e lasciavi il salacchino eri contento perché il giorno dopo ce l'avresti ritrovato sempre intero e il pane invece puzzava di pesce che ne sembrava imbottito.)
Per mio padre la carestia finì quando entrò a lavorare come guardiano di cani per la regina Elena in San Rossore.
I regnanti lessavano manzi e polli, bevevano una tazza di brodino e la carne veniva data ai cani.
Siccome i cani sono animali che appartengono alla famiglia delle bestie e queste, per essere tali, devono essere trattate male mangiare poco e a volte anche digiunare, allora, secondo la filosofia o meglio la fame, mio padre per non far torto a nessuno portava via loro pranzo e cena lasciando solo qualche ossetto ciucciato cosicché‚ ben presto, prese il nome di Bombolino.
Misteri dei soprannomi.
Tutto finì quando il re decise di assumere definitivamente tutti coloro che avevano lavorato per la tenuta, ma a condizione che fossero più alti di lui e non ci voleva certo molto a superare il suo metro e sessanta.
Mio padre fu licenziato e dovette tornarsene al Serchio.
Confinante con la riserva reale vi era allora la tenuta della contessa Dal Borgo, proprietà che partiva dall'Aurelia ed arrivava fino al Marmo, delimitata a nord dal Serchio e a sud da Fiume morto. Sul Serchio la nobildonna aveva fatto costruire uno chalet ed un retone per andarsi a divertire nel veder pescare e aveva dato l'incarico di tenere efficiente l'impianto a mio nonno. Il retone era circa a un chilometro sotto i ponti ed era in un punto dove la riva scendeva a strapiombo sull'acqua con un salto di quattro o cinque metri. Il casotto era stato costruito sotto un gruppetto di alti pini e tutto intorno vi erano cespugli di lecci, rovi, qualche grossa quercia, moltissimi noci selvatici e, più lontano, campi di erba medica per fare foraggio alle bestie dei contadini che abitavano nel gruppetto di case del Marmo.
Mio nonno abbandonò la vecchia casa che si trovava sotto da Ugo, quasi sull'acqua, tanto che d'autunno o di primavera, per le piogge o per il disgelo, con il Serchio in piena erano molte le sere che dovevano andare tutti a dormire al piano di sopra e per tutti si intendono le sette persone della famiglia e la vacca da latte che aveva la stalla allagata.
La nuova casa al Marmo era invece di là dall'argine, un po' lontana dal paese, ma all'asciutto, vicina alla baracca da pesca. Per pescare dal retone che, essendo la riva alta, era stato costruito su un pontile che partiva al pari del terreno e finiva su una serie di lunghissimi pali incrociati piantati sul fondo del fiume, si usavano due burberini. Una volta tirata su la rete, si scendevano delle ripide scale di legno fino all'acqua dove c'era una barca per poter andare a togliere il pesce intrappolato in un codino.  Sopra il pontile, molto largo e lungo, c'era una pergola di vite che faceva delle piccolissime pigne di un uvetta verde ed aspra, ma molto fresco e, lì sotto, mio nonno ed i suoi amici giocavano a carte per intere giornate fumando la pipa e tirando su ogni tanto la rete, ma più per dovere che per vera passione.
Ormai la contessa, dopo che si era persa al gioco quasi l'intera tenuta e finiti gioielli e liquido, aveva abbandonato tutto. Non si vedeva più nessuno a reclamare pesce od altro, se non raramente qualche amico o parente che approfittavano del luogo solitario e selvaggio per venire a farsi delle gran mangiate di pesce arrosto e scolarsi damigiane di vino.
A proposito di damigiane mi ricordo che, quando andavo a trovare mio nonno al retone, ce ne era sempre una pronta sul tavolo con la gomma dentro come se dovesse essere infiascata da un momento all'altro, ma difficilmente prendeva d'aceto anche se stava aperta. Una mattina, mentre nessuno faceva caso a me, bevvi una bella sorsata di vino a digiuno e Dio solo sa quanto stetti male. Se ne accorse mio padre dopo un po' non vedendomi correre in su e in giù od arrampicarmi sugli alberi e dovette portarmi a casa in braccio, mentre mi contorcevo fra dolori atroci di pancia ed un sudore freddo da far paura mi bagnava tutto.
Quando la rete era un po' che pescava veniva tolta, lavata e messa ad asciugare nel campo vicino alla baracca. Era una rete larga una ventina di metri, fatta con le maglie a scalare del sette, poi cinque, tre ed infine, al centro, una toppa dove la larghezza era appena un centimetro o meno.
Quando il giorno seguente si andava per togliere la rete dal campo si aveva quasi sempre la sorpresa di trovare, impigliati per le zampe, merli, passeri ed anche qualche fagiano, che vi avevano camminato sopra finendovi poi imprigionati.
Una volta mio nonno, andando deciso a farsi un arrostino di uccelletti, rimase di stucco quando vide contorcersi sopra la rete una grande capra che, per liberarsi, con le corna peggiorava continuamente la situazione.
A parte il fatto che l'animale doveva essere per forza di qualcuno e non selvatico, non ci fu alcun desiderio di metterlo ai ferri come le altre prede, ma solo quello di fargli invece pagare caro il misfatto compiuto.
La rete era tutta in pezzi e già molto meno avrebbe fatto scoppiare la rabbia di mio nonno che, avendo un caratteraccio, si sfogò dapprima in uno smoccolìo da far paura, poi, ringhiando come era solito fare quando era arrabbiato e cioè parlando stringendo i denti, prese la capra per le corna e la coda, di peso, e:

"Naaata di ‘ane, farrrabutta troia, ma vedraai che ora ti paaago io!"

e così dicendo si avvicinò, tirandosi dietro la bestia e finendo di rompere l'ultimo pezzo di rete, alla riva del Serchio deciso a buttarci dentro la capra.
Arrivato alla sponda prese a dondolare avanti e indietro l'animale per dargli così una bella spinta tanto da buttarlo lontano nell'acqua fonda dove sarebbe affogato sicuramente e, quando credette di essere pronto, con un ultimo urlo dette l'ultima energica spinta tutto felice.
"Vai malideetta, affoga!"
e giù la capra che, dispettosa come solo lo sono quegli animali, aveva infilato all'ultimo momento un corno nella tasca dei pantaloni e mio nonno si ritrovò a rotolare nell'acqua con quella bestiaccia che si prese poi un morso al volo in un orecchio che, se l'avesse dato un animale ad un cristiano e non il contrario, ci sarebbe stato pericolo di un attacco di rabbia o di tetano.
Il tragico finale fu che la capra, non si sa come, riuscì a risalire la riva e sparire e mio nonno invece dovette chiamare aiuto perché non vi erano appigli di sorta per poter montare all'asciutto e quando alla fine arrivò Sveno in barca, ce ne furono anche per lui che era arrivato tardi e giù cappellate e moccoli per sfogarsi e anche un pestìo di piedi così forte che alla fine il barchetto dovette essere tirato in secco perché si erano allentate tutte le stoppe 

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4/1/2022 - 16:14

AUTORE:
Marco

Tempi e mondi diversi ma se capitava di avecci in tavola con la polenta anche paio di salsicce la famiglia era felice.
Ora per farla felice uguale ci vole almeno una BMW SUV 4 rote motrici!
E dura poo uguale!!

4/1/2022 - 14:57

AUTORE:
Bruno della Baldinacca

...perché indietro in certi casi non si torna; specialmente quado si cozza l'automobile nuova contro un palo o che la sentiamo sgranare contro un muro che tornado anche subitaneamente indietro si riga due volte. Potevo stare a casa acciderba e non mi succedeva niente.

Certo, il panforte che Cecco del Milani (Cooperativa dai duchi Salviati) ci dava con i punti spesa realizzati nell'annata per Natale negli anni /50 veniva diviso in 13 parti uguali, sia per me che ero piccino ma non Giordano che aveva due spalle come Steve Rivers di quei tempi, ed un panforte da un chilo, avergli dato il via lo spolverava in due minuti.
Oggi dice Sandra a Francesco: lo vuoi il pandoro? no, lascia sta vai, ho già mangiato altri dolcetti che eran li, come sempre da un anno all'altro il dolcetto ormai non manca mai, come la frutta
Alla Baldinacca passava un melaio del trentino, lasciava una cassa di mele in novembre e dovevano durare fino alle feste di Natale, le più ammarcivano perché mì mà le rimpiattava sull'armadio ed io mettevo una seggiola sul canterale e una o due le fregavo perchè lo stesso melaio ripassava l'anno dopo in novembre.

La Placida (mì mà) classe 1901 metatese fino al /25 gli brillavano gli occhi (anche nel raccontarlo) quando riceveva la domenica una fetta di pan bianco e ne asserbava un pezzettino per la cena e poi per tutta la settimana polenta, e poca eran 5 sorelle e due fratelli e più le galline che anche loro mangiavano granturco.

Nel /26 sposando mi pà migliarinese vide per la prima volta il mare.

Portò in dote tre piante di fichi brogiotti neri che nei primi anni /50 spesso erano il mio companatico che insieme a qualche pigna d'uva di strafugo eran quello che mi mettevano qualche chiletto in più addosso; ed anche li un coniglioletto di stalla diviso in tredici commensali era manna se ti toccava la gambetta anteriore e la buzzetta ripulita ben bene come la testa del coniglio, levava fame.

In questi giorni di nostro distanziamento fra umani causa covid e varianti, circola su web la domandina: ci torneresti agli anni/80 senza pc e/o smartphon?
....se volevo star zitto, ci stavo ma ho risposto subito di no.
Ognuno è storia a se ed io ho patito tanto la non scolarizzazione e quando vedevo altri andare "Appisa" ne soffrivo e poi se vedevo oltre i loro libri anche le enciclopedie che io non avevo "mi'nsurtava".
La legge del compenso poi se non ha pareggiato, poco ci manca, ma son stato quasi sempre zitto per mezzo secolo ed ora alla Sandra gli succede come alla sig.ra Agnese Landini che rsu marito lo pagano profumatamente per parà e lei lo pagherebbe se stesse zitto un menutino.

...si era bello fregà le ciliege al Moro del Tabucchi, le pesche ai Nodiesi ed i poponi a Fredo del Lelli ed ora?
Ora rmaiale n'ce l'ho la robba vedella ammarcì mi dispiace e ne regalo un fottio e quel che avanza leva fame diceva mì pà.

La via di mezzo? bella cosa sarebbe e chi lo stabilisce?
....vai piano mi raccomando disse la mamma del principe De Curtis detto Totò; nel fil "Totò al giro d'Italia".
E' si...

4/1/2022 - 12:35

AUTORE:
P.G_

Che bel racconto, di una vita d'altri tempi, ma poi non così lontana negli anni.
Viene da domandarci se si era più felici, quanto le ristrettezze economiche influenzavano le nostre vite, quanto era più facile sopportare le ristrettezze e gioire delle piccole cose.
Quanto questo benessere che noi abbiamo oggi somigli, quanto si avvicini alla vera felicità.
Non molto , credo.
Confrontandola con quella di oggi sembra di essere in un altro mondo ed è questo che mi domando, due mondi talmente lontani che forse una via di mezzo sarebbe la più auspicabile.