Il 15 novembre p.v. L'Amministrazione Comunale di San Giuliano Terme apre la stagione del Teatro Rossini di Pontasserchio, con la direzione artistica di Martina Favilla - Presidente dell’Associazione Antitesi Teatro Circo. Una proposta artistica originale e di grande rilevanza, sostenuta dal Comune di San Giuliano Terme, Regione Toscana, Ministero della Cultura, che posiziona la città di San Giuliano Terme come area della cultura e della multidisciplinarietà con particolare attenzione all’inclusione sociale e alle nuove generazioni, con metodologie innovative.
La madre lo aveva abbandonato per andare a cercar fortuna, il padre l'aveva invece già trovata abbandonando la madre e Angelo crebbe con una zitella per vocazione, zia per forza, vicina di casa per caso. Abitava in quelle casine sulla via di Migliarino, alte quanto una persona, larghe quanto un letto e tutte in fila con i servizi fuori e abitate da famiglie in attesa di una migliore sistemazione e che poi si adagiarono su quella situazione precaria con l'aumento della famiglia e delle spese, con la sola soddisfazione di non pagare nessuna forma di affitto.
Angelo non andò mai a scuola, non andò alle gite del prete o del Bargagna o alla recita dalle suore. Da grande cominciò a frequentare tutte le sale da ballo della Versilia e del Massese, da solo, prima con l'autostop e poi con un motorino comprato con i primi guadagni del lavoro fatto con l’imbianchino Rino, lo schiacciaragnoli del paese.
Eppure quello che sembrava sarebbe uscito il peggiore di tutti di noi, senza guida, senza freni, senza scuola, cresceva felice, sorridente, contento di quello che aveva, anche se solo come un cane e come un cane pronto a scodinzolare attorno a chi gli carezzava la testa. Nessuno gli faceva regali per le feste e nessuno lo controllava quando rientrava tardi la notte. Aveva sempre qualche avventura piccante da raccontare al bar, cose fatte con ragazze più grandi di lui a Stiava o a Camaiore. Fumava già come un grande e si prese il soprannome di “Fumacchio”.
Veniva spesso a casa mia anche se mia nonna, meno mia madre, brontolavano che "raccattavo" ogni tipo di vagabondi e non stava bene perché avevamo una ragazza in casa e la gente spettegolava.
Il Mosquito lasciò il posto ad un Motom smarmittato, il Motom ad un Guzzino che finalmente aveva il sellino dietro per portare qualche amico in giro. I motori venivano sgangherati, sciagattati da una voglia di correre e di cadere. Non passava settimana senza che mia madre non incerottasse Fumacchio sulla fronte, sul naso, o non fasciasse ginocchi e stinchi spellati. La consolava il fatto di aiutare quel povero ragazzo e la confortava la certezza che io non sarei montato su quel maledetto motore perché io di sera non uscivo e Angelo di giorno lavorava.
Un sabato sera andai con lui a Vecchiano (in casa avevo detto che sarei andato alla Casa del popolo) per trovarmi con una certa ragazza che valeva certo più di una sbucciatura, qualora fossimo cascati, o di due patte, nel caso fossi stato scoperto. Arrivati a Nodica, buttandosi tutti e due a destra per prendere quella maledetta curva della chiesa, sentii uno spaventoso rumore e un acciottolio lontano di qualcosa che si era staccato e perso.
"Ferma Angelo che si é perso un pezzo."
"Seee!"
"Ma non hai sentito quella botta?"
"Si, ma non ti preoccupare, si sarà perso il carburatore!"
La sua conoscenza di motori si limitava a mettere miscela dal Microbo in piazza, quando era al secco.
Si muoveva agile come un gatto, era elegante, alto, biondo e piacente, conosceva ogni tipo di ballo, ma a Migliarino non aveva né legami né amicizie.
Io avevo molta simpatia per Angelo, ma non molto tempo da passare insieme perché la vita della scuola non conciliava con quella lavorativa dell'amico e così pure la sua passione per le sale da ballo festive con le mie domeniche da passare con una bimba di paese.
D'estate a Bocca di Serchio, in quei pochi giorni di ferie che aveva, ci voleva tutto il mio affetto per lui per andare in giro sulla spiaggia ad abbordare ragazze di fuori, in compagnia di uno che aveva stampata addosso una bella canottiera di pelle bianca che si sarebbe scurita a fine stagione e un ciuffo di capelli in fronte, non schiariti come i miei dal salmastro, ma resi quasi bianchi dagli schizzi della calcina usata nel suo lavoro.
Fumacchio non aveva cultura, era sul semianalfabeta, ma una grande passione per il disegno gli faceva fare contorni netti a figure un po' ingenue in paesaggi astratti del suo particolare mondo e i colori tenui usati rivelavano la sua natura mite ed in pace con la realtà. Non era un pittore, non ne aveva la pretesa, ma esprimeva sulla carta le sue impressioni e, forse, si sentiva migliore di altri in quei brevi momenti di impegno.
Scarabocchiava su quaderni e fogli, disegnava tavole, tavolette, muri e pareti, usava gessi, carboni e pezzi di mattone e gongolava felice quando, la sera che era invitato a casa mia, riceveva lodi e amorose ed incoraggianti botte sulle spalle da mia madre che lo vedeva sempre volentieri.
Era primavera e il sangue caldo, la voglia di balli e nuove ragazze, le serate sempre libere, lo spinsero a tentare a Lucca nuove conoscenze nelle sale di Lunata e Pontetetto.
La via più sicura sarebbe stata quella di Avane Filettole Ripafratta Montuolo, ma Fumacchio preferiva quella di Pontasserchio San Giuliano, con la galleria del Foro, perché c'erano più curve, più pericolo e gusto nell'andare tutto curvo in avanti pendendosi a destra o a sinistra, fino a far strusciare il cavalletto sull'asfalto con un ferrigno rumore di pentole sbatacchiate a forza.
I soldi guadagnati facendo il cameriere da Inaco e il manovale con Brècche, venivano spesi tutti in sigarette, camicie sgargianti, quasi più delle mie che scandalizzavano i vecchi paesani, o per pagarsi l'ingresso in discoteche e così rimaneva ben poco per regolarizzare la tassa di circolazione del Guzzino.
Le pattuglie della stradale lo avevano già fermato diverse volte e Angelo aveva sempre avuto la fortuna di trovare militi giovani o padri di famiglia che gli avevano perdonato la mancanza del bollo.
La penuria di soldi, la paura che non andasse sempre bene, spinsero Fumacchio ad un tentativo estremo: usare la sua passione per il disegno e falsificare un vecchio bollo.
Venne a casa mia, prese inchiostro, penne, pennarelli, compasso, righelli e, studiando colori e caratteri, rifece ex novo un bel bollo tondo rosso e celeste con data, timbro e ufficio.
Contento del suo lavoro aspettò la domenica seguente per la grande prova.
Con quel suo motore che aveva il cambio a fianco del serbatoio a destra e che per azionarlo bisognava levare la mano dal manubrio e forzare la leva che entrasse in tacche corrispondenti alla prima, seconda o terza marcia, si avventurò per la strada più lunga perché fosse più lungo il tempo della "prova", andando più veloce per dare più nell'occhio e dove poter fare più rumore per destare più attenzione. Finalmente, sull'ultimo tornante del Foro, ecco una pattuglia sulla piazzola a sinistra dove chi proviene da Lucca, uscito dalla galleria, si ferma per ammirare il panorama di Pisa che abbraccia, nelle belle giornate, anche fino al porto di Livorno e le isole. I militi stavano parlando dei loro affari, Fumacchio passò, sgassò, scalò la marcia, ridette gas e loro niente.
"Come, sono tre domeniche che mi fermano e oggi noo? E io rigiro!"
Arrivato all'imbocco della galleria il ragazzo girò, rischiando di scontrarsi con un lucchese abbagliato dal sole pisano, ripassò davanti alla stradale, questa volta dalla loro parte e con la testa rivolta verso di loro.
Dovevano controllargli il bollo, ne sentiva il bisogno.
Alla terza passata, non perché si fossero insospettiti di quelle manovre, ma perché prima di quel momento non vi avevano prestato attenzione, i poliziotti alzarono svogliatamente la paletta facendo la felicità di quel fraudolento motociclista.
"Documenti prego. No, il bollo no! La patente, la carta d'identità, cosa le pare."
"Mi faccia vedere il libretto di circolazione; no, il bollo lo lasci stare, voglio il libretto."
"Ecco il bollo, l'ho fatto ieri, guardi il bollo."
"Noi vogliamo i documenti, non so se ha capito, vogliamo sapere chi è lei e basta."
"Sono Angelo Pellai, sono di Migliarino, ecco il bollo."
"Guardi, il bollo va bene, va bene, mi dia ora un documento."
"Ecco la carta d'identità. ….E il bollo."
"Bravo! Tutto a posto, può andare, grazie e buona domenica."
"Ma il bollo va bene?"
"Si va bene, tutto a posto, È stato solo un controllo perché un genitore ha telefonato in centrale che suo figlio ha preso il motorino stamani e non è ancora ritornato a casa. Vada, vada."
"A me non mi cerca mai nessuno, non vi preoccupate, ma una cosa ancora: il bollo va bene?"
"Si, certo, perché? Non dovrebbe?"
"Niente, così, chiedevo, arrivederci."
"Arrivederci."
"FHIIII!!"
"Cosa c'è? O non mi avete detto di andare."
"Aspetta un po'. Hai fatto troppe domande del bollo; ora che ci penso non mi garba."
"Non vi garba il bollo?"
"No. Non mi garbano tutte le domande, perché le facevi?"
"Perché il bollo l'ho fatto io da me e se sta bene a voi, allora ne faccio degli altri e li vendo."
Verso le dieci di sera il maresciallo di Migliarino, il prete e una delegazione di paesani, uscirono dalla Questura di Pisa spingendo avanti a loro a patte un ragazzo biondo che si lamentava, non per gli scapaccioni che piovevano, ma per non essere potuto andare a ballare quella domenica.